GERUSALEMME E KHARTOUM ANNUNCIANO LA NORMALIZZAZIONE DEI RAPPORTI
Il mondo arabo che riconosce Israele,
il Sudan si aggiunge alla lista
Il Sudan diventerà il terzo Paese arabo, negli ultimi due mesi, a normalizzare i propri rapporti con Israele, continuando il percorso avviato da Emirati Arabi Uniti e Bahrein per una ridefinizione dello scacchiere internazionale. Lo ha annunciato il 23 ottobre il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, lo hanno confermato nelle ore successive il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (nelle immagini mentre interviene dopo l'annuncio dell'intesa) e le autorità sudanesi. “L'ostilità decennale con Israele è finita”, la dichiarazione del ministro degli Esteri sudanese Omar Gamareldin. Lo stesso Gamareldin ha però aggiunto che l'accordo dovrà essere approvato dal consiglio legislativo sudanese ancora in via di formazione. Rimane in ogni caso l'importanza dell'annuncio che dimostra come nel mondo arabo siano in atto molte trasformazioni. E il Sudan rappresenta forse la dimostrazione più significativa di questo cambiamento: dopo aver finanziato l'Egitto nella guerra del Kippur contro Israele; dopo trent'anni di dittature di Omar al Bashir con aiuti ai terroristi di Al Qaeda, Hamas, Hezbollah; dopo un prolungato rapporto con il regime degli Ayatollah iraniani; negli ultimi anni Khartoum ha scelto di cambiare le sue alleanze. Dal 2014 al 2016, ancora sotto il regime di al Bashir, il Sudan rompe con l'Iran e si sposta progressivamente dalla parte dell’Arabia Saudita e del resto dei paesi arabi del Golfo Persico. Lo fa per opportunismo: al Bashir - tra i responsabili dei crimini del conflitto del Darfour - spera sia di ottenere il sostegno finanziario dei paesi del Golfo sia di trovare un appiglio per arrivare a Washington e negoziare il depennamento del Sudan dalla lista dei paesi che finanziano il terrorismo. Una cancellazione che permetterebbe l'eliminazione delle sanzioni internazionali e darebbe respiro alla tragica crisi che vive l'economia sudanese. “Ma con tutto il rispetto per gli Stati sunniti, la loro influenza non può essere paragonata a quella israeliana a Washington”, spiega il giornalista israeliano Roi Kais, sottolineando come al Bashir sceglierà di avviare un primo contatto con Gerusalemme, ma senza spingersi fino in fondo nel dialogo. Non avrà comunque il tempo di fare molto, viene infatti deposto dopo una sollevazione popolare per le condizioni economiche disastrose del paese. Salutato al Bashir, il dialogo Khartoum-Gerusalemme si intensifica. Nel 2019, il generale Abdel Fattah al Burhan, che presiede il Consiglio militare sudanese e divide il potere con un traballante governo provvisorio civile, incontra in Uganda il primo ministro Netanyahu. Lo fa senza il consenso del governo, suscitando scalpore in patria e divisioni. Non tutti voglio normalizzare i rapporti con “il nemico sionista”. Il paese dei tre no a Israele - quelli pronunciati, da Khartoum nel 1967, dalla Lega araba contro lo Stato ebraico: no a pace, riconoscimento e dialogo – è diviso sul cambiare orientamento, e passare a tre sì.
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LA SCOMPARSA DELL'ECONOMISTA MILANESE
Fabio Ranchetti (1948-2020)
"Every morning I wake up as a newly born baby, scriveva Maynard Keynes. Cioè, ogni mattina dobbiamo tutti, giovani e meno giovani, ricominciare a studiare e (cercare di) capire e cambiare la società, senza pregiudizi, senza idee viete trite e ritrite, e senza tener conto degli interessi costituiti che ostacolano la realizzazione di una società più aperta, equa e ricca (in ogni senso)”. Così scriveva l'economista Fabio Ranchetti in un messaggio di auguri ai propri studenti mentre si apprestava a prendere posto in cattedra per un nuovo anno di insegnamento all'università. Docente di economia a Torino, Pavia, Pisa, Milano e stimato studioso, Ranchetti è scomparso di recente all'età di 72 anni. Molti suoi autorevoli colleghi lo hanno ricordato in queste ore. Tra questi l'economista Tito Boeri, riportando le parole dell'amico e collega: “'Gli insegnanti dovrebbero tenere l’atteggiamento degli allenatori, e rafforzare quell’immaginazione, quel ‘sognare a occhi aperti di giorno’, quell’entusiasmo per il nuovo e l’ignoto, che esistono naturalmente nei giovani'. (Fabio Ranchetti). Ciao Fabio. Tu ci sei riuscito”, l'ultimo saluto di Boeri.
Con Ranchetti, iscritto alla Comunità ebraica di Milano, la redazione di Pagine Ebraiche aveva più volte collaborato. Con entusiasmo aveva risposto all'invito per il seminario Mercati e Valori organizzato dalla redazione con la collaborazione della Comunità ebraica di Firenze. “Nella concezione comune l’economia deve essere Wertfrei, libera dai valori, una scienza avalutativa che studia strumenti e mezzi perché si arrivi a un risultato nel modo più efficiente possibile”, spiegava in quell'occasione l’economista. Per Ranchetti lo sganciamento tra valori come equità e giustizia non era però possibile in ambito economico anzi “l’equità è condizione necessaria perché vi sia efficienza nel mercato”. Una condivisione di piani tra morale ed economia che per Ranchetti doveva avvenire anche sul piano dello studio della disciplina economica: “l’incapacità di dare risposte alla crisi riflette un’incapacità di dialogare tra diverse discipline. Non basta la scienza economica, il dibattito deve essere aperto alla storia, la filosofia, le religioni, la letteratura”.
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La cronofobia dei fondamentalisti
Delphine Horvilleur, intervistata da Marion Galy Ramounot di “Madame Figaro”, lo scorso 22 ottobre (chi volesse lo può leggere qui) sul perché abbia pubblicato, dopo l’assassinio di Samuel Paty, una vignetta di «Charlie Hebdo», ha risposto: “Niente ci fa crescere come esser contraddetti”.
Poi ha aggiunto che uno strumento formidabile per lottare contro i fondamentalismi religiosi è “esser capaci di raccontare le nostre storie religiose attraverso le influenze che hanno subito. Perché i fondamentalisti sono cronofobi, detestano l’idea che la religione possa essersi evoluta, che essa abbia subito influenze da altri, e perché questo cozza con la loro ossessione per la purezza: del corpo; delle donne; delle pratiche; della loro storia”.
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Emergere
Già non siamo più ciò che pensavamo di essere ancora all’inizio di quest’anno. Tuttavia, ancora non siamo divenuti ciò che il futuro prossimo ci imporrà di essere. Soprattutto, nulla cogliamo di quanto potrebbe configurarci, nonché imporci, il tempo a venire, anche a breve. Nessun “filosofeggiare”, beninteso, ma la consapevolezza che la pandemia - acceleratore e fattore di radicalizzazione di processi in atto non da oggi eppure, per buona parte, fino a non molto tempo fa, ancora sottopelle e sottotraccia – ci sta dissodando. Disancorandoci dalle nostre residue certezze.
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