Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     3 Febbraio 2021 - 21 Shevat 5781

PAGINE EBRAICHE - FEBBRAIO 2021

“Io, l'Assistente del racconto Potassio,
vi racconto l'amicizia con Primo Levi”

“Un giovane assistente, magro, alto, un po’ curvo, gentile e straordinariamente timido, che si comportava in un modo a cui non eravamo abituati”. Così Primo Levi nel racconto Potassio (Il sistema periodico) ricorda il triestino Nicolò Dallaporta Xydias. Nove anni li dividono. Levi è del 1919, Dallaporta del 1910. Le loro vite si incrociato a Torino, dove il secondo è venuto, dopo un’esperienza a Catania, per fare l’assistente in un corso di esercitazioni di fisica. Levi, come è noto, è un chimico, ma nella sua costante curiosità scientifica decide di assistere al corso di fisica. Siamo nell’anno accademico 1938-39. L’assistente Dalla Porta - come racconta nel testo pubblicato nell'ultimo numero di Pagine Ebraiche, parte di un intervento tenuto a Parigi nel 2000 e tradotto dal figlio Andrea - ha l’abitudine di interrogare i suoi studenti per controllare quanto hanno capito degli esperimenti a loro affidati. Dal giovane chimico Levi non si aspetta una preparazione approfondita. La fisica del resto non è il suo campo. E invece quando è il turno di Primo “ricordo che restai meravigliato per l’ampiezza e la profondità della sua cultura: sapeva tutto e aveva capito tutto”. In quel primo scambio viene gettato il seme di un’amicizia tra i due che durerà a lungo, e di cui Dallaporta Xydias (scomparso nel 2003) parla approfonditamente nel testo che riportiamo qui di seguito.
 

Il mio incontro con Primo Levi è diventato di pubblico dominio, quando Primo lo ha raccontato, in modo dettagliato, nel capitolo dedicato al Potassio in uno dei suoi libri più conosciuti, Il sistema periodico. E anche se vi sono menzionato sotto il nome generico de “l’assistente”, buona parte dei colleghi universitari sono riusciti ad identificarmi. Così, se penso di avere qualche motivo per ritornarci ora, è perché nel suo racconto Primo si diverte più a descrivere me che a far conoscere se stesso. E io, a mia volta, posso esprimere l’impressione che provai, di primo acchito, dal livello eccezionale d’intelligenza che lo ha sempre caratterizzato.
Era in corso l’anno accademico 1938-39, se non ricordo male. Da poco ero assistente presso l’Istituto di Fisica dell’università di Torino con l’incarico di numerosi corsi di laboratorio di Fisica per gli studenti di varie facoltà, tra i quali quelli del terzo anno di laurea in Chimica. Gli allievi si dividevano in gruppetti di due o tre, a ogni gruppo era affidato un esperimento diverso, ed avevo l’abitudine di interrogarli saltuariamente per controllare il livello di comprensione di quanto stavano facendo; per i chimici questa verifica non era mai approfondita, dato che per loro la Fisica era una materia secondaria. Quando fu il turno di Levi, ricordo che restai meravigliato per l’ampiezza e la profondità della sua cultura: sapeva tutto e aveva capito tutto. Quando si trattò di dargli il voto per l’esame, fummo obbligati a inventare una qualifica di eccellenza da aggiungere al massimo dei voti previsti dal regolamento, per distinguerlo, giustamente, dai suoi compagni.
Non facendo Primo parte del mio Istituto, lo persi di vista per un certo tempo. Lo ritrovai verso l’autunno del 1940 in una via non lontana dall’Istituto, dove mi avvicinò per chiedermi se volessi dargli una tesi sperimentale per la sua laurea. È la scena che descrive nel capitolo Potassio. Con una certa ansia, come racconta, per il fatto che si era già in piena campagna razziale antiebraica, e perché, senza dubbio, ad una sua richiesta di tesi in Chimica aveva dovuto ricevere qualche rifiuto più o meno motivato. Non conoscendomi quasi per niente, non poteva misurare la gioia che mi procurò la sua domanda: avere un tale allievo con cui lavorare insieme! E per di più, il piacere di poter compiere un atto, per quanto piccolo fosse, in favore di concittadini ingiustamente perseguitati! Non credo che la sinteticità della risposta che mi attribuisce nel suo scritto “seguimi” possa corrispondere a realtà; ma essa esprime bene l’accoglienza che gli diedi ospitandolo nel mio studio, dandogli accesso a tutte le strumentazioni dell’Istituto di cui poteva aver bisogno per il suo lavoro sperimentale. Dopo qualche giorno ci sentivamo già legati l’uno all’altro da un rapporto di vera amicizia, che si fondava sul comune disgusto che la politica del nostro paese ci provocava, sulla affinità dei nostri gusti letterari e artistici, (ricordo in particolare il nostro apprezzamento convergente su La montagna incantata di Thomas Mann).
Mantengo il ricordo di un solo punto di divergenza di pensiero tra noi. Allora stavo giusto per scoprire, attraverso la lettura delle opere di René Guènon e di Frithjof Schuon, quello che doveva divenire il centro spirituale della mia vita: la convinzione di una unità trascendente di tutte le grandi religioni, fondata su una metafisica unitaria integrale che costituisce il massimo di conoscenza accessibile alla natura umana, e che, in tal modo, si avvicina al massimo, per noi, a ciò che possiamo concepire come una Verità, al di là della variazione delle contingenze umane. Nel mio entusiasmo di neofita, volli condividere ciò con Primo, sperando forse di trascinarlo sulla mia strada. Ma riscontrai subito una certa opposizione da parte sua: una tale posizione intellettuale gli sembrava troppo elitaria, troppo isolante, troppo esclusiva per offrire un contatto con la maggioranza dei nostri simili.

Questa situazione di vicinanza e di intimità giornaliera con Primo non sarebbe durata a lungo. Da una parte, Primo portò a termine il suo lavoro di tesi e superò l’esame di laurea in chimica nel giugno 1941; da parte mia, nello stesso periodo mi dovetti assentare da Torino: la mia famiglia viveva a Trieste, e mia madre, malata grave da anni, era sul punto di lasciarci per sempre. Appena tornato a Torino nell’autunno 1941 mi ammalai a mia volta e dovetti sottopormi ad un grave intervento chirurgico, le cui conseguenze mi tennero lontano dal mio lavoro per mesi. Subito dopo ricevetti l’offerta di un posto di insegnamento di fisica teorica presso l’Università di Padova, ciò rappresentava un avanzamento di carriera considerevole. Fui quindi costretto ad abbandonare Torino nell’ottobre del 1942 e stabilirmi a Padova, da dove non mi sono più mosso; questo, dopo tutte le precedenti interruzioni, metteva fine per un lungo tempo ai miei contatti con Primo, dato che a partire da quella data le comunicazioni nel nord Italia divennero quasi impossibili a causa dei bombardamenti.
Solo dopo l’armistizio del settembre 1943 ricevetti notizie di Primo, che mi scriveva dal campo di Fossoli, dove venivano concentrati tutti i prigionieri ebrei prima della deportazione. Risposi ad ogni sua lettera: stante la censura non si potevano scrivere che banalità; ma quella volta ero lontano dal sospettare la minaccia che lo attendeva. Mediamente in Italia si sapeva ancora ben poco relativamente al livello di obbrobrio dei campi di sterminio. Solo dopo la liberazione tutto l’orrore di Auschwitz e di luoghi simili diventò di notorietà pubblica; fu solo allora che per molti mesi piansi la sorte di Primo, convinto che non poteva che essere morto.

Nicolò Dallaporta Xydias

(Testo tradotto da Andrea Dallaporta)

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LA PRESENTAZIONE DELLE LISTE PER LE ELEZIONI DEL 23 MARZO

Israele tra crisi sanitaria e politica,
i partiti si preparano al voto

“Vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi dei cittadini, rilanciare il paese, sono le sfide che ci confrontano. Abbiamo a disposizione le risorse straordinarie dell’Unione Europea, abbiamo la possibilità di fare molto per il nostro paese, con uno sguardo attento al futuro delle giovani generazioni e al rafforzamento della coesione sociale”. Sono le parole con cui l'ex governatore della Bce Mario Draghi ha annunciato di aver accettato l'incarico di provare a formare un nuovo governo. E guidare l'Italia fuori dalla crisi, evitando il voto anticipato. Chi invece si prepara a tornare alle urne, per la quarta volta in meno di due anni, è Israele. Il 23 marzo, data delle elezioni, si avvicina e in queste ore si stanno definendo i volti e i partiti che vi prenderanno parte. È infatti in corso la presentazione delle liste, che si completerà nelle prossime 24 ore. Tra i primi partiti a mettere nero su bianco i propri candidati, Yesh Atid di Yair Lapid, che ha voluto dare spazio alle donne, posizionandone quattro nelle prime dieci posizioni. Secondo le proiezioni di queste ore, il partito di Lapid si attesta attorno ai 18 seggi e guida il cosiddetto fronte anti-Netanyahu. Ovvero l'eterogenea compagine, da destra a sinistra, che vorrebbe sottrarre all'attuale Premier la guida del paese. Sempre stando ai sondaggi, la situazione sarebbe però in bilico. Il Likud di Netanyahu in tutte le proiezioni è il primo partito (31 seggi), ma non avrebbe i numeri per governare.

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Ticketless - Lettere da Fossoli
Nella storia di un luogo di memoria l’acquisizione di una fonte è sempre da festeggiare. Capita sempre più di rado  con le fonti scritte, per una ragione legata al fluire del tempo, ma anche al primato che, nel bene come nel male, abbiamo accordato alle testimonianze orali, alla raccolta delle voci dei superstiti di quegli eventi.  L’anno che è appena iniziato vede su questo fronte della ricerca storiografica la diffusione di due buone notizie: il restauro dei libri dei ragazzi di Villa Emma, di cui ho parlato qualche settimana fa, e ora  un consistente nucleo di lettere da Fossoli di Bruno De Benedetti, genovese, internato a Fossoli.
Alberto Cavaglion
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Sofferenza altrui
Repetita iuvant, dicevano i latini. Ecco perché mi sento di respingere con forza questo nuovo filone polemico che manifesta sempre più insofferenza nei confronti delle testimonianze degli ultimi reduci e delle ultime reduci della Shoah. Mi è capitato di sentirne anche in occasione delle testimonianze di Liliana Segre nel corso del Giorno della Memoria appena passato. Il rimprovero è di dire sempre le stesse cose, come se il dovere della memoria debba essere una sorta di happening televisivo in cui la novità serve per “acchiappare” l’attenzione di spettatrici e spettatori.
Davide Assael
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Periscopio - Sentenze e Memoria
Molto spesso, purtroppo, dobbiamo lamentarci, anche sulle colonne di questo giornale, della scarsa sensibilità dello Stato italiano, nelle sue varie articolazioni (legislativa, esecutiva e giudiziaria), di fronte alla questione dei risarcimenti dovuti alle vittime delle discriminazioni e delle violenze razziali fasciste. Un problema che, ovviamente, non è di soldi, ma di dignità, quel valore supremo che la Costituzione Repubblicana pone, all’articolo 3, come fondamento ineliminabile della civile convivenza democratica. Che Stato è quello che non riconosce la dignità dei suoi cittadini (anzi, direi io, di chiunque, anche se non cittadino, si trovi a vivere sul suo territorio)? 
Francesco Lucrezi
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