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Lettere da Fossoli

Nella storia di un luogo di memoria l’acquisizione di una fonte è sempre da festeggiare. Capita sempre più di rado con le fonti scritte, per una ragione legata al fluire del tempo, ma anche al primato che, nel bene come nel male, abbiamo accordato alle testimonianze orali, alla raccolta delle voci dei superstiti di quegli eventi. L’anno che è appena iniziato vede su questo fronte della ricerca storiografica la diffusione di due buone notizie: il restauro dei libri dei ragazzi di Villa Emma, di cui ho parlato qualche settimana fa, e ora un consistente nucleo di lettere da Fossoli di Bruno De Benedetti, genovese, internato a Fossoli.
Modena e il mondo rurale circostante, nel XX secolo è stato toccato dal contagio della storia più di altre parti del nostro paese. Le baracche, gli alberi, i rovi e gli arbusti che avvolgono ciò che resta del campo di Fossoli, li ritroviamo nelle opere di Cesare Zavattini, di Zavattini pittore oltre che sceneggiatore e poeta, nei versi di Attilio Bertolucci e di suo figlio Bernardo, il cui capolavoro cinematografico, Novecento, ha il pregio di mostrarci il malefizio compiuto dal fascismo su quel mondo contadino. Non è facile, in questi mesi, rivederlo quel panorama, per causa di forza maggiore. Per me è stato difficile, senza ricorrere ai mezzi della moderna tecnologia, dare una prima occhiata a queste lettere riemerse dall’oblio, dedicarle l’attenzione che meritano. Mi riprometto di farlo in futuro. Non è detto che la nostra sia una condizione svantaggiata: il paesaggio è ciò che si vede dopo avere smesso di osservarlo. La traversia dei lockdown potrà diventare un’opportunità, diceva bene nella sua nota settimanale David Bidussa. Riscopriamo in queste tenere lettere alla moglie, la semplicità dei sentimenti più puri ma anche tante e preziose informazioni sulla quotidianità del campo. Il tepore della campagna carpigiana che ritroviamo nei racconti di Arturo Loria, uno scrittore oggi dimenticato, che all’alba e al tramonto di Fossoli ha dedicato indimenticabili racconti, lo ritroviamo in questa sorprendente scoperta archivistica avvenuta a Genova. Il mio incontro con le baracche di Fossoli si era bruscamente interrotto il giorno in cui, poche settimana prima della pandemia, avevo riletto nella Biblioteca a lui dedicata Il quadro incompiuto uno dei racconti più emozionanti di Loria. Padre e figlio sono due pittori in tacita, affettuosa competizione; alla fine del racconto, dopo la morte del padre, il figlio osserva e descrive una tela lasciata incompiuta. Adesso Bruno De Benedetti con la sua voce di allora ci aiuta a decifrare le forme e i colori di quei rami contorti e di quei cespugli, la terra cretacea di Fossoli, che al condannato a morte Gasparotto faceva venire in mente le screpolature frastagliate delle pareti scalate in tempo di libertà e a Bruno De Benedetti acuisce la nostalgia della terra natale e dei perduti affetti famigliari. Anche queste lettere inedite sono a modo loro un quadro incompiuto: c’è da sperare che possano essere rese presto disponibili in un’edizione completa così da costituire, pare chiaro già ora, una delle fonti future più importanti per studiare la vita nel campo di Fossoli: la quotidianità dei gesti, la varietà dei sentimenti che agitavano gli animi dei prigionieri.

Alberto Cavaglion