Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   28 Dicembre 2021 - 24 Tevet 5782

L'INTERVENTO

La Corte dei Conti e i perseguitati,
la svolta per una vera Giustizia

Nella recentissima pubblicazione Pensioni del settore pubblico e sostenibilità (Giappichelli, 2021), che raccoglie le relazioni dei partecipanti (magistrati contabili, docenti universitari, esperti della materia) a un convegno organizzato dalla Scuola di alta formazione della Corte dei Conti nello scorso aprile, si segnalano in modo particolare i saggi del professor Michele Sarfatti (“La persecuzione antiebraica in Italia 1938-1945”) e dell’avvocato Giulio Disegni (“La normativa sui benefici riconosciuti ai perseguitati politici antifascisti e ai perseguitati razziali”) che trattano, storicamente e giuridicamente, il tema della memoria, della responsabilità e delle conseguenze delle persecuzioni razziali in Italia.
L’inserimento di questa particolare problematica tra le più significative della materia nel delicato e controverso momento che il sistema delle pensioni, e quello del settore pubblico in particolare, sta attraversando, lo si deve all’iniziativa presa dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di portare all’attenzione della Presidenza della Corte dei Conti il problema della situazione dei riconoscimenti dovuti ai perseguitati razziali, problema su cui sovente la magistratura contabile si imbatte, talvolta con esiti e decisioni che fanno molto discutere.
In questo contesto, innanzi ad un consesso formato da magistrati contabili di tutt’Italia, si sono tenute, tra le molte riguardanti il mondo della previdenza, le relazioni di Michele Sarfatti e di Giulio Disegni, ora pubblicate nel volume appena uscito che, come si legge nella prefazione, “può essere definito il capitolo della memoria. Memoria dell’Olocausto e degli orribili fatti della seconda guerra mondiale, ma anche dell’incidenza di tali fatti sul patto fondante della nostra democrazia e dei rapporti sociali che caratterizzano la nostra collettività: la Costituzione del 1948”.
Trattasi di puntali ricostruzioni, quelle che emergono dai due saggi di Sarfatti e Disegni, nelle quali si evince il ruolo collettivo e diffuso del mondo non ebraico che, soprattutto nella prima fase di vigenza della normativa antiebraica (1938-1943, la cosiddetta “persecuzione dei diritti”), approvò “silenziosamente la persecuzione, senza contestarla”.
Un climax crescente di negazione di diritti e di limitazione delle libertà creò un “ghetto del tutto immateriale” che indusse, dal 1938 al 1941, l’8% degli ebrei italiani a emigrare e l’1 per mille a suicidarsi.
L’8 settembre 1943, la conseguente occupazione nazista, la nascita della Repubblica Sociale Italiana e la Carta di Verona portarono alla fase successiva: la “persecuzione delle vite”. Gli ebrei vennero considerati “stranieri” e, durante la guerra, “appartenenti a nazionalità nemica”. Il 30 novembre 1943, “il ministro dell’Interno della Repubblica sociale italiana diramò l’“ordine di polizia” n. 5, che disponeva l’arresto di ‘tutti gli ebrei, […] a qualunque nazionalità appartengano’ e la loro reclusione ‘in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati’”.
A conclusione del proprio saggio, Michele Sarfatti precisa che, al momento della Liberazione, il numero degli ebrei italiani era stato dimezzato: quasi 7.000 uccisi dai nazisti e dai fascisti, altri emigrati o convertiti.


Con la nascita dell’Italia repubblicana e con l’entrata in vigore della Costituzione, lo Stato italiano decise di concedere un assegno vitalizio di benemerenza “ai cittadini italiani che dopo il 7 luglio 1938 abbiano subito persecuzioni per motivi d’ordine razziale” emanando la l. 96/1955 (Legge Terracini).
Il saggio di Giulio Disegni è una preziosa e chiara disamina della suddetta normativa, recentemente modificata con la recente legge 178/2020, di cui in questi giorni ricorre il primo anno dalla sua emanazione. Stiamo assistendo a una piccola “rivoluzione copernicana” che potrebbe porre fine alla ritrosia statale nella concessione dell’assegno ai perseguitati razziali.
Una scarsa conoscenza storica e la mancata accettazione della responsabilità collettiva dell’apparato burocratico italiano hanno costituito ostacoli spesso insormontabili, sia in fase amministrativa sia in sede giurisdizionale, anche a causa dell’originaria formulazione del testo di legge. Infatti, con la “Legge Terracini”, i perseguitati razziali furono impropriamente omologati ai perseguitati antifascisti con conseguenti gravosi oneri della prova.
La mera soggezione alle leggi razziali non fu parificata a una persecuzione e non tutti i danni arrecati dalla normativa antiebraica furono (e sono) considerati sufficienti per la concessione dell’assegno di benemerenza: “Appare invece chiaro l’intento del legislatore di riservare tale particolare beneficio soltanto a coloro che, oltre a patire le gravissime, ingiuste e mai abbastanza deprecabili vessazioni contro a tutti gli ebrei, hanno dovuto subire particolari atti persecutori o risentirne conseguenze differenziate ed ulteriori rispetto a quelle conseguenti dalla semplice produzione degli effetti generalmente derivanti a danno di tutti i cittadini di origine ebraica…” (Corte dei Conti, Sez. III centrale d’Appello, 18 giugno 2004).

Giulio Disegni segnala anche pronunce illuminate, come quella risalente al 1998, quando le Sezioni Riunite affermarono che l’intento “risarcitorio” non dovesse essere limitato ai soli fatti lesivi dell’integrità fisica. Nel medesimo anno, anche la Corte Costituzionale fu investita dal tema delle benemerenze; la Consulta affermò che la causa della persecuzione razziale prescinde dall’attività antifascista, sicché l’evidente disparità di trattamento nella comparazione tra perseguitati politici e razziali. A parziale rimedio, la Corte Costituzionale propose di integrare “la composizione della Commissione con un rappresentante della comunità che ha subito le persecuzioni razziali”. 
Soltanto nel 2002, la Presidenza del Consiglio istituì una Commissione di studi al fine risolvere i problemi applicativi della normativa. I lavori della Commissione si concludevano nel 2005, con una Circolare nella quale si chiariva che:
atti quali la preclusione all’iscrizione a corsi scolastici, la perdita di lavoro e l’emigrazione forzata devono essere considerati atti di violenza; le fattispecie previste agli ebrei italiani vanno estese anche agli ebrei residenti in Libia all’epoca dei fatti; è possibile utilizzare “accreditate opere storiografiche” ai fini di adempiere all’onere della prova.
Tuttavia, l’atteggiamento ondulatorio della giurisprudenza non ha mai raggiunto un punto di equilibrio: anche negli ultimi vent’anni la “benemerenza” è stata nuovamente negata a cittadini ebrei che furono espulsi dalle scuole, così come a coloro che dovettero fuggire dall’Italia o vivere in clandestinità per evitare la deportazione.

Nonostante facilitazioni in punto di onere della prova apportate fin dal 1967, quale la possibilità di produrre “atti notori e testimonianze dirette, quando non sia possibile il reperimento di documenti ufficiali”, è solo con la modifica del 2020 che si è finalmente approdati a un cambiamento che possa far coniugare la legge con la giustizia in senso storico e morale, grazie al fondamentale apporto della nuova Commissione di studio, presieduta da Giovanni Canzio.
Il tema dell’onere della prova è stato, infatti, oggetto di particolare approfondimento, “dandosi rilievo al fatto che, a differenza dei perseguitati politici, per i perseguitati razziali, la determinazione di causare il danno e di commettere il fatto illecito sono ascrivibili direttamente a leggi, decreti, provvedimenti amministrativi e circolari dello Stato e dei suoi organi”.
Con la legge n. 178 del 30 dicembre 2020 si è pervenuti così ad una modifica sostanziale e innovativa dell’art. 1 l. 96/1955: ogni persecuzione razziale subita dal 7 luglio 1938 al 25 aprile 1945 comporta l’attribuzione dell’assegno di benemerenza; inversione dell’onere della prova: è lo Stato a dover dimostrare l’inesistenza di persecuzioni e atti di violenza.
Considerato il suddetto mutamento normativo, oltre a una più approfondita conoscenza storica, è auspicabile che siano sempre di più i beneficiari dell’assegno di benemerenza, non ultimi i cittadini che, all’epoca delle persecuzioni razziali, erano bambini o nascituri.
Soltanto quando le verità storiche, morali e giudiziarie combaceranno, potremo parlare di “giustizia”, rifuggendo da scenari troppo spesso kafkiani.

Davide Cucciati, avvocato del Foro di Milano

(Nelle immagini: l'ingresso della Corte dei Conti; il volume appena pubblicato da Giappichelli; una circolare del ministero sulla deportazione degli ebrei romani; l'avvocato Giulio Disegni, vicepresidente UCEI)

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IL PRIMO MINISTRO D'ISRAELE SUL NUOVO ROUND DEI NEGOZIATI DI VIENNA

"Non contrari a un accordo se buono,
ma le premesse non sembrano esserci"

Israele non esclude l’ipotesi di intervenire militarmente contro l’Iran anche nel caso in cui il negoziato di Vienna sul nucleare, di cui un nuovo round è ripreso nelle scorse ore, si concluda con un accordo con il regime di Teheran. È quanto ha specificato il Primo ministro Naftali Bennett in una intervista con la radio militare. Israele, le sue parole, “manterrà sempre il suo diritto ad agire e difendersi”. Dal premier è arrivata però anche una parziale apertura, una disponibilità ad accettare l’esito del tavolo diplomatico nel caso in cui si arrivasse a “un buon accordo”, a tutela quindi dell’incolumità dello Stato ebraico e della stabilità regionale. Possibilità che comunque al momento non sarebbe nell’aria. Per ottenere questo risultato i leader mondiali, sostiene Bennett, avrebbero infatti bisogno "di un approccio molto più incisivo: l’Iran ha carte deboli tra le proprie mani, ma gli viene concessa una posizione di forza”.
Non l’unica voce istituzionale a far sentire la propria voce. L’Iran, la posizione del ministro degli Esteri Yair Lapid, “sta sistematicamente ingannando il mondo: tutto ciò che interessa all’Iran è la revoca delle sanzioni, per permettere a miliardi di dollari di arrivare nel loro programma nucleare, a Hezbollah, Siria e Iraq e alla rete terroristica che hanno dispiegato globalmente”.
Appena pochi giorni fa il Capo dello Stato Isaac Herzog, intervenendo durante la cerimonia per i diplomati dell’aeronautica militare, aveva affermato: “L’Iran è una bomba a orologeria che minaccia Israele e tutto il Medio Oriente”. Da Herzog era arrivato un invito a tutta la comunità internazionale “a non farsi sviare e a non sottovalutare la gravità della minaccia”. Una minaccia, il suo messaggio, da neutralizzare “una volta per tutte: con o senza un accordo”. 

(Nell’immagine l’incontro ad agosto tra Naftali Bennett e Joe Biden)

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SEGNALIBRO

Hellas, l'anima nera di una curva

 

Nel 1996 Maickel Ferrier, ventenne talento olandese del Volendam, sarebbe dovuto approdare all’Hellas Verona. Una parte significativa della curva non gradì quell’interessamento di mercato: ai loro occhi Ferrier aveva la “colpa” intollerabile di essere nero. Tra gli spalti dello stadio Bentegodi apparve così qualcosa che finora mai si era visto, un manichino impiccato con le fattezze del giovane calciatore. 
È gradita la camicia nera (ed. Rizzoli) – l’ultimo libro del giornalista Paolo Berizzi – racconta come nel tempo la città di Verona sia diventata uno dei principali laboratori dell’estrema destra non solo nazionale ma europea. Un processo di elaborazione che ha raggiunto livelli d’allarme ben oltre la soglia anche per effetto dell’azione di gruppi ultrà dalla chiara identità neofascista e neonazista che hanno potuto agire indisturbati nel segno anche di una compenetrazione costante che dal calcio ha finito per alimentare anche una parte malata, ma non per questo marginale, della politica.

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L'incontro con Erdogan
Che le relazioni tra Turchia e Israele diano segnali di distensione e ripresa di rapporti ‘amichevoli’ non può che far piacere. È onesto chiedersi, tuttavia, se questo nuovo dialogo vada davvero a favore della pace.
 
Dario Calimani
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Nubi sul Cile
Nel film Borotalco (1982) dicono a Carlo Verdone che John Wayne era omosessuale e costui rimane allibito, gli riesce soltanto di farsi uscire un tremulo “che notizia!”. Michael Munn, nel libro John Wayne. The man behind the myth (2003), racconta del tentativo di Iosif Stalin di uccidere John Wayne, riferito da Orson Welles. 
Emanuele Calò
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Israele, sotto tiro e sotto processo
Tre orizzonti legati a Israele, tre ordini di informazioni giornalistiche. Tentiamo di coordinare le notizie in una prospettiva unitaria, per trarre poi qualche conclusione dal loro confronto. A monte le cronache sull’ondata di attentati che sotto forma di aggressioni armate o di sparatorie mirate da parte di auto di passaggio è stata lanciata nelle ultime settimane contro cittadini israeliani.
David Sorani
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