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Hellas, l’anima nera di una curva
Nel 1996 Maickel Ferrier, ventenne talento olandese del Volendam, sarebbe dovuto approdare all’Hellas Verona. Una parte significativa della curva non gradì quell’interessamento di mercato: ai loro occhi Ferrier aveva la “colpa” intollerabile di essere nero. Tra gli spalti dello stadio Bentegodi apparve così qualcosa che finora mai si era visto, un manichino impiccato con le fattezze del giovane calciatore.
È gradita la camicia nera (ed. Rizzoli) – l’ultimo libro del giornalista Paolo Berizzi – racconta come Verona sia diventata uno dei principali laboratori dell’estrema destra non solo nazionale ma europea. Un processo di elaborazione che ha raggiunto livelli d’allarme ben oltre la soglia anche per effetto dell’azione di gruppi ultrà dalla chiara identità neofascista e neonazista che hanno potuto agire indisturbati nel segno anche di una compenetrazione costante che dal calcio ha finito per alimentare anche una parte malata, ma non per questo marginale, della politica.
“Siamo una squadra fantastica…fatta a forma di svastica…che bello è… allena Rudolf Hess!” cantavano nel 2019 i supporter dell’Hellas, riversatisi per le vie del centro per festeggiare il ritorno in Serie A della loro squadra del cuore. E ancora, tra i tanti casi riportati dalle cronache, l’ovazione tributata dalla folla durante un evento estivo del tifo organizzato che Luca Castellini, capo ultrà ma anche coordinatore locale di Forza Nuova, aveva connotato nel seguente modo: “Chi ha permesso questa serata, chi ha fatto da garante, ha un nome: Adolf Hitler”.
In una Verona fortemente contaminata da queste presenze e manifestazioni, spiega Berizzi, “la pancia sembra prevalere sul pensiero, il nichilismo sulla ragionevolezza e sulla visione razionale della realtà”. A distinguersi in questa distorsione dagli inquietanti risvolti sociali i “‘bravi ragazzi’ di Verona: di destra, cattolici, ultrà dell’Hellas, refrattari ai cambiamenti, ostili verso tutto ciò che può minare le basi della cultura o subcultura locale”.
Pronti in ragione di ciò – scrive il giornalista, da tempo sotto scorta per le sue coraggiose inchieste – “a difendere il territorio, a fare ‘resistenza etnica’ e a tenere il mondo fuori dalle mura della città”.
E naturalmente da quelle del suo stadio, presidio dell’anima più nera di una città che meriterebbe ben altra rappresentazione e considerazione.
a.s twitter @asmulevichmoked
(28 dicembre 2021)