L'INAUGURAZIONE DEL MEMORIALE PER GLI EBREI DI LIBIA A ROMA
"Ebrei cacciati dal mondo arabo,
serve una nuova consapevolezza"
Nel 2014 la Knesset, il Parlamento d’Israele, ha approvato una legge che fa del 30 novembre la giornata annuale di commemorazione dei profughi ebrei dal mondo arabo e islamico. In questa simbolica data l’impegno di Astrel, l’Associazione Salvaguardia Trasmissione Retaggio Ebrei di Libia, ha fatto sì che anche la città di Roma accogliesse un Memoriale in ricordo degli ebrei libici che persero la vita per mano nazifascista. Un elenco parziale ma già significativo che si compone anche di altri nomi da non dimenticare: quelli un tempo impressi sulle lapidi dei cimiteri ebraici dissacrati e distrutti a partire dal 1969. Quando cioè la millenaria storia degli ebrei di Libia si era da poco interrotta, in modo definitivo, a causa di un’ulteriore ondata di pogrom e violenze da parte araba. “Dalla sofferenza alla gioia” scandisce David Gerbi, il presidente di Astrel, evidenziando il formidabile apporto donato da quegli esuli alla vita ebraica in Italia e in particolare a Roma. Un’irradiazione profonda su più livelli: culturale, sociale e religioso. È proprio Gerbi a chiamare sul palco le tante istituzioni che hanno voluto essere presenti o comunque inviare un messaggio di sostegno all’iniziativa del Memoriale, istituito nella sezione ebraica del cimitero di Prima Porta.
“Fa impressione pensare che in Renania i nazisti abbiano risparmiato cimiteri ebraici dell’epoca medievale, mentre in Libia al posto dei cimiteri siano sorte strade e grattacieli”, l’amara annotazione del rabbino capo rav Riccardo Di Segni. “Mantenere il ricordo è un nostro dovere. Da oggi – le sue parole – questo luogo è, ancora di più, una casa della vita”. Quello degli ebrei di Libia, la riflessione della presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, “è un dolore che sentiamo tutti, senza differenze”. E anche “se nessuno dovesse mai restituirci quel che ci spetta, da parte nostra dovremo avere la forza di preservare l’identità, l’unità e l’impegno per la vita”. L’intenzione, ha affermato Dureghello, “è di proseguire in questo percorso”. Alon Bar, l’ambasciatore d’Israele, ha esordito con un dato: da circa un milione di ebrei un tempo presenti tra Nord Africa e Medio Oriente si è passati oggi a poche migliaia. “Si tratta di un dramma dimenticato dal dibattito pubblico. È giunto il momento di cambiare questo stato delle cose”, la strada indicata dal diplomatico. Riferendosi agli ebrei libici Bar ne ha poi lodato “forza e calore”.
A manifestare il proprio apprezzamento anche la presidente UCEI Noemi Di Segni: “In questa solenne momento – ha scritto in un messaggio letto da Gerbi – desidero esprimere a nome di tutte le comunità ebraiche italiane il sentimento di unione e comunanze nella dedica che viene posta alla memoria dei nostri correligionari della Libia e nel legame che attraverso le vicende della dolorosa Storia italiana si è creato tra noi tutti”. La speranza, l’impegno e la pretesa di restituire onore, spazio culturale, beni e dignità “sono senz’altro dell’UCEI, ma con appello affinché lo stesso sia per le istituzioni italiane”, ha poi aggiunto Di Segni. Istituzioni, è stato ancora evidenziato, “che devono assumersi anche oggi le responsabilità per quanto accaduto ieri”.
SVELATA LA TARGA PER LE VITTIME DELLA PERSECUZIONE ANTISEMITA
Casale e il ricordo degli avvocati espulsi
"Una ferita aperta da non dimenticare"
La targa è di marmo, per sfidare il tempo. “Una riconciliazione” l’ha chiamata il sindaco di Casale Monferrato Federico Riboldi prima di scoprirla nella centralissima via Roma, proprio a fianco della porta che dava l’accesso alla Corte d’Appello locale. Su quel marmo sono incisi i nomi di sette avvocati casalesi che nel giugno del 1939 vennero espulsi dall’ordine per solo fatto di essere ebrei. La cerimonia che si è svolta stamane per ricordarli era stata preannunciata già nel giugno di questo stesso anno, quando la lapide era stata presentata in municipio contestualmente alle iniziative per fare memoria degli avvocati di Vercelli, tribunale da cui oggi dipende anche la giustizia casalese. Ma nel 1939 la magistratura e l’avvocatura casalese erano quelle di una grande città, con due gradi di giudizio. Il provvedimento antisemita, in quella stagione, colpì duramente tanti professionisti e le loro famiglie.
“Tutto – ha detto il sindaco Riboldi, rivolgendosi anche ai tanti giovani presenti – è nato da una chiacchierata con il presidente della Comunità di Casale ebraica Elio Carmi in cui abbiamo ricordato i tanti professionisti casalesi allontanati dal fascismo in diversi campi. Oggi riconciliamo una ferita aperta, un dramma collettivo che attraverso questi nomi acquista un’identità propria. Ci auguriamo che il silenzio di tanti allora non si ripeta più”.
A portare elementi ulteriori di riflessione il vicepresidente UCEI Giulio Disegni: “Nei confronti degli avvocati ebrei solo l’anno successivo all’emanazione delle leggi razziali arrivò, con l’entrata in vigore della legge 29 giugno 1939 n. 1054, il divieto ad esercitare la professione così come accadde per tutte le altre. Arrivò a quasi un anno di distanza dal decreto legge che vietò agli studenti di ogni ordine e grado di frequentare la scuola pubblica, ma il regime intervenne con grande rigore, con il divieto all’esercizio e la sola possibilità per gli avvocati ebrei di poter esercitare la professione a favore di clienti ebrei, purché venissero iscritti in ‘elenchi speciali'”. La legge trovò applicazione veloce e rigorosa ovunque. Anche a Casale Monferrato, come nel resto del Paese, “gli avvocati ebrei che vi esercitavano furono cancellati e lasciati a casa”. Ma, ha aggiunto il vicepresidente UCEI, “non sono stati dimenticati.”
Il tema della macellazione rituale in Europa è molto delicato. A più riprese diversi paesi hanno cercato di vietarla o di limitarla con motivazioni differenti, dal Belgio alla Grecia. Questo nonostante la voce ebraica e islamica si sia fatta sentire per chiedere la tutela della pratica in virtù della libertà religiosa. Un argomento portato di recente anche in sede Ue, attraverso una riunione organizzata a Bruxelles sul tema della macellazione casher e halal. All’evento, convocato dalla responsabile dell’Unione Europea per la lotta all’antisemitismo Katharina von Schnurbein, hanno partecipato esponenti del mondo ebraico e islamico. Assieme a loro altre autorità nazionali, inviati speciali e coordinatori per la lotta all’antisemitismo e all’odio antimusulmano, organizzazioni internazionali ed esperti indipendenti. L’idea alla base dell’evento era quella di promuovere “una discussione aperta, franca e costruttiva”. Per il presidente della Conferenza dei rabbini europei rav Pinchas Goldschmidt si è trattata, in questo senso, di “una iniziativa degna di nota”.
La rubrica “Opinioni a confronto” raccoglie interventi di singoli autori ed è pubblicata a cura della redazione, sulla base delle linee guida indicate dall’editore e nell’ambito delle competenze della direzione giornalistica e della direzione editoriale.
È compito dell'UCEI incoraggiare la conoscenza delle realtà ebraiche e favorire un ampio ed equilibrato confronto sui diversi temi di interesse per l’ebraismo italiano: i commenti che appaiono in questa rubrica non possono in alcun modo essere intesi come una presa di posizione ufficiale dell’ebraismo italiano o dei suoi organi di rappresentanza, ma solo come la autonoma espressione del pensiero di chi li firma.
Sogno
Dante, nel raccontare l’inizio del suo viaggio ultramondano, ritiene opportuno precisare che non è in grado di spiegare come mai gli capitò di entrare nella selva oscura, perché, nel momento in cui abbandonò la “retta via”, per trovarsi quindi smarrito nella selva, “tanto era pien di sonno” (Inf. I. 11). Il poeta racconta di essere stato sopraffatto dall’angoscia nel vedersi perso in quella “selva selvaggia e aspra e forte,/ che nel pensier rinnova la paura” (5-6), e di essersi rincuorato solo alla vista della cima di un monte, già illuminata dai raggi del sole, una visione che gli infonde coraggio e speranza, prima di essere nuovamente spaventato dalla vista delle tre fiere minacciose, che gli sbarrano la strada.
Se ci si fa caso, il poeta non racconta di essersi “svegliato” dal sonno, tanto da fare sorgere nel lettore la legittima domanda se tutto il suo racconto non sia altro che la narrazione di un sogno. Un sogno molto lungo, verrebbe da dire, se in esso il poeta ha la possibilità di incontrare centinaia di spiriti, e di intrattenere con loro lunghi e dettagliati dialoghi, rimastigli così impressi nella memoria da poterli poi precisamente trascrivere una volta tornato allo stato di veglia. Ma a tutti noi è capitato di fare sogni lunghi e dettagliati, ricchi di particolari, narranti vicende apparentemente succedutesi in un lungo arco temporale, e di esserci accorti con meraviglia, al risveglio, che tutto era durato, in realtà, pochi istanti. I meccanismi onirici del nostro cervello sono e restano misteriosi: al giorno d’oggi, con tutte le scoperte della psicanalisi e della neurologia, non credo che ne sappiamo molto di più rispetto ai tempi di Dante.
Abbiamo parlato, nelle scorse puntate, delle analogie tra le “tre fiere” dell’Inferno e le “quattro bestie” rappresentate nel libro di Daniele, dicendo che la derivazione delle prime dalle seconde, sul piano figurativo, è evidente, mentre i significati sono certamente da considerarsi diversi. Ma quelli rappresentati in Daniele non sono propriamente dei “sogni”, quanto delle “visioni notturne”, presumibilmente in stato di veglia, o, perlomeno, di semi-coscienza. Certamente dei sogni, invece, sono quelli di Giuseppe e del Faraone, narrati nel libro della Genesi, e la loro importanza, com’è noto, è assolutamente cruciale nella storia di Israele. Senza la sua capacità di interpretare i sogni, Giuseppe non sarebbe stato liberato, non avrebbe potuto accogliere, perdonare e salvare i suoi fratelli, e assicurare così un futuro al suo popolo. Si può dire che Giuseppe è un anticipatore di Mosè, ma, mentre al secondo il Signore fece ascoltare direttamente la sua voce, al primo parla solo in un modo velato, attraverso dei sogni, perché non era ancora arrivato il momento della sua Rivelazione, che sarebbe avvenuta solo in seguito, sul Monte Sinai. Così come è in un sogno che Giacobbe vede la famosa scala che dalla terra porta al cielo, sulla quale salgono e scendono gli angeli (Gen. 28. 10-22). Un’immagine che certamente Dante ha avuto presente per la costruzione fantastica del suo viaggio, che conduce anch’esso dalla terra al cielo. Si può dunque dire che l’intero tragitto del poeta sia, anch’esso, un sogno, come quelli di Giuseppe e Giacobbe? O, magari, una visione, come quella di Daniele?
Cicerone, nel De divinatione, critica coloro che credono di scorgere dei messaggi divini nei sogni, affermando che nessuna visione apparsa nel sonno possa ritenersi proveniente dalla volontà degli dèi (2. 124-126). Ciò che noi vediamo da svegli, argomenta il retore, ci appare in modo chiaro e nitido, mentre quello che vediamo in sogno ci si rivela in forme oscure e confuse. Se gli dèi avessero voluto davvero aiutarci, mandandoci dei messaggi e dei segnali, non avrebbero fatto meglio a inviarceli quando siamo svegli, e siamo in grado di meglio comprenderli? I sogni, perciò, non sono messaggi divini. Un’argomentazione, come si vede, non priva di logica, anche se freddamente razionalistica, che, applicata al poema dantesco, porterebbe a escludere l’idea del viaggio di Dante come un sogno. E, in effetti, ritengo che tale viaggio non possa essere paragonato a un sogno, né a una mera visione, ma non per le considerazioni di Cicerone. Nei sogni e nelle visioni, infatti, chi li vive o li riceve lo fa passivamente, semplicemente raccogliendo un messaggio che appare inviato da altri (siano essi gli dèi, gli spiriti dei defunti, il Dio unico, il subconscio o altro ancora). Non prende decisioni, non esercita una volontà, non dà giudizi, anche quando appare protagonista della scena. È solo uno spettatore, un recettore passivo. Dante, invece, è sempre un personaggio attivo, prende iniziative, sceglie chi interrogare e quali domande fare, elabora da solo, in piena autonomia, i giudizi morali su ciò di cui viene a conoscenza. Non si limita a ricevere un messaggio, ne manda anche, e tantissimi.
Bisogna ritenere, pertanto, che egli, dentro la selva oscura, si sia svegliato dal sonno che lo avvolgeva quando vi era entrato. Il suo è un viaggio fantastico, ma compiuto da una persona sveglia, perfettamente lucida, vigile e cosciente.