LE CRITICHE USA AI PROVVEDIMENTI SULLA GIUSTIZIA E LA REPLICA ISRAELIANA
Gerusalemme-Washington, divisi da una riforma
“Rassicuro i nostri amici: Israele era e rimarrà una democrazia forte e vibrante. Una democrazia indipendente”. Nella riunione di inizio settimana del governo israeliano, il Premier Benjamin Netanyahu ha voluto replicare agli amici, in questo caso americani, che hanno lanciato molti messaggi preoccupati in merito alla riforma della giustizia proposta dalla sua maggioranza. Il destinatario in particolare delle rassicurazioni di Netanyahu è stato l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Tom Nides. Il diplomatico ha spiegato in un’intervista che Washington ha consigliato a Netanyahu e al suo esecutivo di frenare rispetto al proprio progetto di riforma. “Stiamo dicendo al Primo ministro, come io dico ai miei figli. Frena. Rallenta, cerca di ottenere un consenso, riunisci le parti. È molto complicato, stanno cercando di fare le cose troppo in fretta”. Per questo, il consiglio da Washington, è di rallentare. Tenendo presente che “gli Stati Uniti non sono nella posizione di dettare a Israele come scegliere la Corte Suprema. E neanche credo che dovremmo farlo”.
“Tuttavia – ha aggiunto Nides – l’unica cosa che lega i nostri Paesi è il senso della democrazia e il senso delle istituzioni democratiche. È così che difendiamo Israele all’ONU, è così che ci battiamo per i valori che condividiamo”. L’ambasciatore si era poi detto “ottimista” sul fatto che il governo avrebbe rallentato. La prima risposta dall’esecutivo non è stata però conciliante. “All’ambasciatore Nides dico semplicemente: si faccia gli affari suoi. Lei non è al corrente delle discussioni sulla riforma giudiziaria. Ci piacerebbe discutere con lei di affari esteri, se lo desidera. Rispetti la nostra democrazia”, il duro intervento del ministro per gli Affari della Diaspora e l’Uguaglianza Sociale Amichai Chikli, intervistato dall’emittente Kan. Sulla stessa linea, la replica di uno dei fautori della riforma, Simcha Rothman, presidente Comitato per la Costituzione, il Diritto e la Giustizia. A ynet Rothman, del partito Sionismo religioso, ha dichiarato di non ritenere che l’ambasciatore debba intervenire negli affari interni di Israele. “Non credo che sia necessario interferire nelle questioni interne di qualsiasi Paese”, la posizione del parlamentare del Sionismo religioso. “Non credo che sia legittimo in Israele, e sicuramente non negli Stati Uniti, dire che questo mette in pericolo il Paese”.
I RISULTATI DELLE INDAGINI DEGLI ENTI EBRAICI AMERICANI
Usa, antisemitismo in crescita
Nel 2013 il Pew Research Center, autorevole centro studi che analizza i fenomeni sociali negli Usa, convoca una dozzina di esperti di ebraismo americano. L’obiettivo è costruire attorno a questo argomento un sondaggio e agli esperti si chiede quali siano le priorità e le aree su cui concentrare l’indagine. La replica condivisa, quando si tocca il punto antisemitismo, è che sia ai minimi storici negli Stati Uniti e che, pur da trattare, non rappresenti un tema urgente. Dieci anni dopo il giudizio si è completamente capovolto. “Ci hanno detto che l’antisemitismo è un problema molto urgente e che dobbiamo dedicare molta attenzione alla sua comprensione” ha spiegato al Washington Post Alan Cooperman, direttore delle ricerche sulle religioni del Pew. A certificarlo anche le indagini di alcuni enti ebraici americani, dall'American Jewish Committee (Ajc) all'Anti-Defamation League (Adl). Il primo il 13 febbraio scorso ha diffuso il suo annuale sondaggio “Lo stato dell'antisemitismo in America 2022”. Tra i dati più preoccupanti il fatto che sempre più ebrei si sentano insicuri negli Usa: si è passati dal già inquietante 31 per cento del 2021 al 41 del 2022. “Il senso di sicurezza si è eroso - si legge nel report - soprattutto a causa dell'aumento degli attacchi, dei crimini e delle violenze di matrice antisemita e di quanto siano diventati accettabili l'antisemitismo e il razzismo” nella società d'oltreoceano. L'ultimo episodio, una settimana fa a Los Angeles dove un uomo ha sparato contro due persone nei pressi di due diverse sinagoghe. Il sospetto responsabile è stato arrestato e secondo il procuratore della città avrebbe preso di mira le sue vittime “perché erano ebree o credeva che lo fossero”.
Se il lavoro dell'Ajc testimonia la preoccupazione del mondo ebraico Usa, un'indagine dell'Anti-Defamation League si sofferma sui pregiudizi. In particolare mostra quanto quelli antiebraici siano diffusi tra gli americani. Più di tre quarti degli intervistati (85 per cento) risulta infatti credere a almeno uno stereotipo antisemita, rispetto al 61 per cento rilevato nel 2019. Il 20 crede a sei o più stereotipi antisemiti, un numero significativamente superiore all’11 rilevato dall’ADL nel 2019.
Come già era avvenuto nella crisi petrolifera del 1973 (la guerra del Kippur) e del 1979 (la rivoluzione in Iran), nel 2022 l’energia è tornata a diventare un’arma di guerra. Ce ne siamo accorti ben presto in Europa e, quindi, in Italia, dopo il caracollare della crisi russo-ucraina (che peraltro lievitava da almeno un decennio). A fronte, invece, dello stolto convincimento che il mercato globale dell’energia avrebbe mantenuto una sua sostanziale prevedibilità, nei prezzi così come nelle erogazioni. La Russia di Putin, non a caso, fa leva sulla necessità di approvvigionamento di diversi Paesi europei – a partire da Germania e Italia –, nonché sulla difficoltà di riassettare le forniture nel breve periodo e, quindi, sulla rigidità della domanda energetica, fattori che rendono difficile ridurre nel breve termine i consumi. Mosca, che in realtà è assai più fragile di quanto non appaia, si atteggia sullo scenario internazionale come una sorta di “petrol-stato”, che dispone di armi potenti per il fatto stesso di controllare i flussi energetici.