I PROGETTI DEL MUSEO DELL'EBRAISMO ITALIANO E DELLA SHOAH

“Meis, fare rete per la Memoria
è alla base del nostro impegno”

Il 19 aprile aprirà al Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah la mostra “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri ebraici”. Un’esposizione “che rappresenta una novità per l’Italia. Sono state fatte mostre molto belle su singoli cimiteri o singole sinagoghe, ma è la prima volte che verranno rappresentante in una visione d’insieme”. Un percorso che racconterà attraverso l’architettura di questi due luoghi molto diversi la storia di oltre duemila anni dell’ebraismo italiano. “Questo è lo scopo fondativo del nostro Museo: narrare la storia degli ebrei d’Italia”, sottolinea Dario Disegni, presidente del Meis, a Pagine Ebraiche. Per questo, aggiunge, l’annuncio del governo dello stanziamento dei fondi per la realizzazione a Roma del Museo della Shoah rappresenta per l’istituzione di Ferrara un elemento positivo. “Siamo complementari e non concorrenti. Non a caso abbiamo già una stretta collaborazione con la Fondazione Museo della Shoah di Roma. Così come l’abbiamo con le altre istituzioni che si occupano di Memoria”. Disegni ricorda in particolare la Rete della Memoria che ha di recente messo insieme il Meis con il Museo della Risiera di San Sabba, il Memoriale della Shoah di Milano, la Fondazione Fossoli, la Fondazione Museo della Shoah e il Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia. Realtà che hanno siglato un’intesa per creare un percorso rivolto alle scuole attraverso i luoghi italiani della Memoria. La trasmissione di quest’ultima, rileva il presidente del Meis, “è fondamentale e per questo è necessario uno sforzo congiunto tra le varie realtà che se ne occupano”. Non concorrenza, ma collaborazione, dunque. “Del resto è quello che già facciamo da tempo ed è una delle chiavi del nostro impegno”.
Intanto lo sguardo è rivolto ai traguardi del prossimo futuro. In primo luogo la citata mostra “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri ebraici”. “È curata dall’architetto Andrea Morpurgo assieme al direttore rav Amedeo Spagnoletto. Il titolo richiama il termine usato in ebraico per il cimitero, Beth Chaim, casa di vita appunto. E si collega al Beth HaKnesset, la casa della riunione, ovvero le sinagoghe, luoghi principe della vita ebraica, dove gli ebrei si riuniscono per le funzioni religiose, ma anche per aggregarsi e sentirsi comunità. – spiega Disegni – All’inaugurazione del 19 saranno presenti il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, il sindaco di Ferrara Alan Fabbri e la presidente UCEI Noemi Di Segni. Ci saranno quindi tutti gli enti fondatori del Meis e che partecipano alla sua realizzazione. E ci sarà anche un rappresentante, tra gli enti sostenitori privati, di Intesa Sanpaolo”. Un segnale importante delle istituzioni di presenza e sostegno al lavoro del museo, che nella primavera del 2024 vedrà l’inaugurazione della quarta e ultima sua grande mostra. Dopo i primi mille anni, il Risorgimento e l’età dei Ghetti e dell’Emancipazione, il prossimo anno sarà la complessa storia del Novecento ad essere raccontata. “Sarà un’esposizione molto delicata. La curatela è affidata a un grande studioso del Novecento, Mario Toscano, in collaborazione con l’editore Vittorio Bo, che ha curato grandi esposizioni e ha ideato il Festival della Scienza di Genova”.

(Nell'immagine, un momento dell'inaugurazione della prima grande mostra del Meis con il Presidente della Repubblica Mattarella)

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AL MAXXI DI ROMA 

“Conscious Collective”, la società israeliana in mostra

Un’indagine sul come ritrovare un senso di collettività in un Paese “costantemente colpito da episodi di violenza”. Ma anche sull’accettazione delle contraddizioni della vita come “chiave per un’esistenza migliore”. Sono i due piani su cui si muove la collettiva “Conscious Collective” con opere degli artisti israeliani Maria Saleh Mahameed, Noa Yekutieli e Tsibi Geva in mostra al MAXXI fino a domenica 4 giugno (sala Gian Ferrari).
Tre opere attraverso le quali, con diverse prospettive, ad emergere è il dinamico meeting pot d’Israele. Tsibi Geva, il più famoso dei tre artisti, vive e lavora tra Tel Aviv e New York. È figlio di uno dei maggiori esponenti del Bauhaus israeliano e tra gli artisti interdisciplinari più noti del panorama contemporaneo.
Il suo “Where I Come From” si presenta come un dipinto modulare composto da tele di diverse dimensioni presentate come un’unità collettiva e riassume motivi ricorrenti nelle sue realizzazioni. Maria Saleh Mahameed vive e lavora nella città araba di Ein Mahel. Nata da madre ucraina e padre palestinese, in “Ludmilla” descrive un paesaggio immaginario in cui si coniugano riferimenti a Umm el Fahem e Kiev. Una raccolta fluida di immagini in cui paesaggi sovietici si fondono con panorami mediorientali. Noa Yekutieli, nata da madre giapponese e padre israeliano, firma infine “Where We Stand”: una serie di finestre di carta ritagliata che incorniciano un amalgama di immagini eterogenee che evocano ora un paesaggio naturale, ora un paesaggio di distruzione e conflitto.

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L'ESPOSIZIONE DEDICATA AD ALCUNI EPISODI DELLA STORIA DELLA CAPITALE

Le ferite di Roma e la cura dell’arte

Non sono poche le occasioni in cui Roma “ha tradito se stessa”, dall’antichità imperiale al Ventennio. Ferite “autoinflitte” e che risiedono a diversa livelli nell’inconscio collettivo. Mentre, al contrario, molti dei luoghi che sono stati teatro di questi avvenimenti “sono chiassosi e distratti”.
È il presupposto da cui ha origine “Le ferite di Roma”: mostra e atto di denuncia al tempo stesso. A curarla per Spazio Taverna (dove sarà esposta fino al 31 marzo) sono Marco Bassan e Ludovico Pratesi, che hanno coinvolto dieci artisti chiamati ad elaborare altrettanti traumi della storia cittadina. Un progetto che si dipana dall’assassinio di Giulio Cesare per arrivare a quello di Aldo Moro, portando l’attenzione anche su due eventi traumatici d’epoca fascista: la Marcia su Roma che segnò l’avvento al potere di Mussolini e il delitto Matteotti che consolidò la drammatica stagione della dittatura.

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DAFDAF

Due ragazzi, due città, due storie

È con un'illustrazione di Alice Barbieri tratta da La finestra del Re di polvere - uno dei due volumi di Orecchio Acerbo cui abbiamo dedicato la rubrica dedicata ai libri - che si apre l'ultimo numero di DafDaf, in distribuzione in questi giorni.
Raccontano le vicende di "Due ragazzi, poco più che bambini. Due città, tra di loro lontane e molto diverse. Due storie che potrebbero essere terribili e che invece riescono a contenere un poco di magia. Henio vive a Lublino, Emanuele è di Roma".

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