“Conscious Collective”, il melting pot
della società israeliana in mostra

Un’indagine sul come ritrovare un senso di collettività in un Paese “costantemente colpito da episodi di violenza”. Ma anche sull’accettazione delle contraddizioni della vita come “chiave per un’esistenza migliore”. Sono i due piani su cui si muove la collettiva “Conscious Collective” con opere degli artisti israeliani Maria Saleh Mahameed, Noa Yekutieli e Tsibi Geva in mostra al MAXXI fino a domenica 4 giugno (sala Gian Ferrari).
Tre opere attraverso le quali, con diverse prospettive, ad emergere è il dinamico meeting pot d’Israele. Tsibi Geva, il più famoso dei tre artisti, vive e lavora tra Tel Aviv e New York. È figlio di uno dei maggiori esponenti del Bauhaus israeliano e tra gli artisti interdisciplinari più noti del panorama contemporaneo.
Il suo “Where I Come From” si presenta come un dipinto modulare composto da tele di diverse dimensioni presentate come un’unità collettiva e riassume motivi ricorrenti nelle sue realizzazioni. Maria Saleh Mahameed vive e lavora nella città araba di Ein Mahel. Nata da madre ucraina e padre palestinese, in “Ludmilla” descrive un paesaggio immaginario in cui si coniugano riferimenti a Umm el Fahem e Kiev. Una raccolta fluida di immagini in cui paesaggi sovietici si fondono con panorami mediorientali. Noa Yekutieli, nata da madre giapponese e padre israeliano, firma infine “Where We Stand”: una serie di finestre di carta ritagliata che incorniciano un amalgama di immagini eterogenee che evocano ora un paesaggio naturale, ora un paesaggio di distruzione e conflitto.
“Una diversità di voci che è importante valorizzare” le parole dell’ambasciatore israeliano Alon Bar, intervenuto all’inaugurazione della collettiva assieme tra gli altri al presidente della Fondazione MAXXI Alessandro Giuli, ai curatori Bartolomeo Pietromarchi, Shai Baitel ed Elena Motisi. Tra i presenti anche l’addetta culturale dell’ambasciata Maya Katzir, che molto si è spesa per questo risultato.
“A prima vista i punti di divergenza sembrano superare quelli di affinità. La loro narrazione, i mezzi espressivi a cui fanno ricorso e le loro intenzioni artistiche possono persino apparire in contrasto tra loro. Le loro opere, cui fa da sfondo la realtà israeliana e quella palestinese, riecheggiano il costante stato di conflitto che imperversa all’interno della regione, o di loro stessi”, il pensiero di Baitel. “Eppure, nonostante tali differenze e divergenze, questi tre artisti sono accumunati dal miracoloso legame dell’amicizia”. Una mostra, è stato evidenziato ancora, le cui opere “affondano le radici nelle singole biografie e raccontano di esperienze intime”.

(Foto: Fondazione MAXXI)