In un calendario che ai redattori delle testate quotidiane non consente requie (i giornali italiani restano assenti dalle edicole solo cinque giorni l’anno) sono molto rari i giornalisti autorizzati a proseguire la propria opera anche il Primo maggio. Fra loro, convinti di svolgere un servizio essenziale, anche i componenti di questa redazione, che lavorano con orgoglio ogni Primo maggio, così come ogni Primo gennaio o 15 agosto.
Il nostro cuore è con i colleghi iscritti alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (il sindacato unico dei giornalisti italiani, garante della libertà di espressione e della dignità del lavoro di chi fa informazione, voluto oltre cento anni fa da un ebreo italiano) che oggi sfilano nelle tante manifestazioni nelle città italiane. Ma bisogna pure che qualcuno resti di guardia a garantire la continuità dell’informazione.
Non è un caso, infatti, che questa testata, pubblicata per la prima volta all’inizio di maggio del 2008, festeggi il proprio compleanno proprio oggi, che è la Festa del lavoro. Da quel giorno, per molte migliaia di giorni, è arrivata puntuale al lettore senza mai mancare a un appuntamento, dalla domenica al venerdì, in ogni giorno lavorativo del calendario ebraico. È stata pubblicata senza interruzioni al costo di molti sacrifici, superando difficoltà non comuni e senza fermare mai il lavoro quotidiano. Nonostante le ferite e nonostante i danni abbiano reso più difficile il cammino.
Per i giornalisti di questa redazione resta un patrimonio da condividere con il lettore che deve essere difeso con impegno. Un investimento posto a tutela dei valori dell’ebraismo italiano e di tutta l’Italia libera in cui gli ebrei italiani vogliono vivere. Oggi, a quindici anni e un giorno da quel Primo maggio di allora, nel giorno di questo sedicesimo Primo maggio, festeggiamo con il nostro lavoro gli ideali di allora, e con la stessa determinazione arriviamo al lettore.
“Rabbì Tarfon e gli Anziani cenavano insieme al piano superiore della casa di Nitzah a Lod, quando si pose loro la domanda: è più grande lo studio o la pratica? R. Tarfòn prese la parola e disse: la pratica è più grande. Prese la parola R. ‘Aqivà e disse: lo studio è più grande. Presero la parola tutti quanti e dissero: è più grande lo studio in quanto porta alla pratica” (Qiddushin 40b). Questa è la Halakhah: “Fra tutte le Mitzwot non ce n’è neppure una che abbia lo stesso valore del Talmud Torah, mentre il Talmud Torah vale quanto tutte le Mitzwot messe assieme, perché lo studio conduce all’azione. Perciò lo studio ha dovunque la precedenza sull’azione” (Maimonide, Hilkhot Talmud Torah 3, 3).
Negli Shabbatot fra Pessach e Shavu’ot è compresa la Parashat Qedoshim, il capitolo 19 del libro di Wayqrà che occupa un posto centrale nella Torah per più versi. Fiumi di inchiostro sono stati scritti dai commentatori che si sono interrogati sul versetto iniziale: “Parla a tutta la Comunità dei Figli d’Israel e dì loro: Siate qedoshim, perché qadosh sono Io, H.D. vostro”. In cosa consiste propriamente la qedushah? Come è possibile pretendere che l’uomo eguagli una caratteristica della Divinità? Lo Sfat Emet di Gur risponde in modo originale, sulla base di un’esegesi complessa che mi limito qui a riassumere. Egli pensa che ciò che distingue l’ebraismo da altre esperienze religiose non è tanto nell’eseguire i precetti della Divinità, tratto presente in altri credi, bensì nel considerarli come fonte di un approfondimento mentale che non ha pari in altre culture. Lo Sfat Emet distingue fra studio della Torah e pratica delle Mitzwot assegnando peraltro la dimensione della qedushah al primo. Giunge a sostenere che la dimensione che più eguaglia l’ebreo al suo Creatore, la qedushah appunto, si esplica nell’obbligo di analisi intellettuale della Mitzwah che ne precede l’osservanza. A questa stregua interpreta la duplice espressione che reiteriamo ogni volta che recitiamo la Berakhah preliminare: asher qiddeshanu be-mitzwotaw si riferisce allo Studio, mentre solo il successivo we-tziwwanu allude alla messa in pratica.
Trentatré giorni. Da tanto è costretto in carcere Evan Gershkovich, il corrispondente da Mosca del Wall Street Journal arrestato a fine marzo con l'accusa di essere una spia. L'orologio nella home del sito https://www.freegershkovich.com continua a scorrere inesorabile, ma per fortuna resta alta anche l'attenzione del mondo libero. Con un susseguirsi costante di iniziative e appelli per la sua scarcerazione. "Il giornalismo non è un crimine" ricordano gli animatori del sito, colleghi e amici di Gershkovich, da cui era nata in precedenza l'idea di lasciare un posto libero alla tavola del Seder di Pesach come atto di vicinanza e solidarietà. Quest'anno infatti il giovane reporter, isolato in cella, non ha potuto celebrare la Pasqua ebraica in famiglia.
Sulla vicenda torna intanto a sentirsi la voce di Joe Biden, che già aveva stigmatizzato con forza l'azione delle autorità russe parlando di fermo "totalmente illegale". Durante la cena annuale dei corrispondenti della Casa Bianca, alla presenza dei genitori di Gershkovich, il presidente Usa ha lodato "il coraggio assoluto" del figlio. E garantito di essere al lavoro "come un dannato", queste le sue parole, affinché la situazione possa risolversi al più presto.
Speranza comune a tante figure pubbliche finora intervenute sul suo caso. Come Natan Sharansky, celebre dissidente anti-sovietico, a lungo in carcere per le battaglie condotte in difesa dell’emigrazione degli ebrei russi verso lo Stato di Israele ("I leader del mondo libero devono fare pressione su Putin”, il suo auspicio). In un appello internazionale centinaia di giornalisti ricordano ancora che "cercare informazioni, anche se significa disturbare gli interessi politici" non fa di Evan un criminale o una spia. Ma, molto semplicemente, un giornalista.
Giovani e giovanissimi delle tre Comunità di Toscana si sono ritrovati a Pisa per una giornata di apprendimento e divertimento che ha registrato una significativa partecipazione ed è stata l’occasione di nuove conoscenze. A confrontarsi con i partecipanti c’erano tra gli altri il rav Luciano Caro, rabbino di riferimento della città, e il rabbino capo di Livorno rav Avraham Dayan. Numerose le attività proposte nell’arco della giornata, diversificate per fascia d’età. Accompagnavano i ragazzi i rispettivi madrichim. “Avere tanti ragazzi in Comunità e ascoltare le loro voci è stata una esperienza bellissima. Una prova tangibile di impegno a dispetto di coloro che dicono che le piccole realtà sono destinate a scomparire. I giovani sono il futuro e giornate come quella appena trascorsa ci restituiscono fiducia e speranza” la soddisfazione di Maurizio Gabbrielli, il presidente della Comunità ebraica pisana (che ha promosso l’iniziativa). L’evento aveva il patrocinio dell’UCEI, con la collaborazione del proprio Ufficio Giovani Nazionale.