“Evan Gershkovich, coraggio assoluto”
Trentatré giorni. Da tanto è costretto in carcere Evan Gershkovich, il corrispondente da Mosca del Wall Street Journal arrestato a fine marzo con l’accusa di essere una spia. L’orologio nella home del sito https://www.freegershkovich.com continua a scorrere inesorabile, ma per fortuna resta alta anche l’attenzione del mondo libero. Con un susseguirsi costante di iniziative e appelli per la sua scarcerazione. “Il giornalismo non è un crimine” ricordano gli animatori del sito, colleghi e amici di Gershkovich, da cui era nata in precedenza l’idea di lasciare un posto libero alla tavola del Seder di Pesach come segno di solidarietà. Quest’anno infatti il giovane reporter, isolato in cella, non ha potuto celebrare la Pasqua ebraica in famiglia.
Sulla vicenda torna intanto a sentirsi la voce di Joe Biden, che già aveva stigmatizzato con forza l’azione delle autorità russe parlando di fermo “totalmente illegale”. Durante la cena annuale dei corrispondenti della Casa Bianca, alla presenza dei genitori di Gershkovich, il presidente Usa ha lodato “il coraggio assoluto” del corrispondente. E garantito di stare lavorando “come un dannato”, queste le sue parole, affinché la situazione possa risolversi.
Speranza comune a tante figure pubbliche finora intervenute sul suo caso. Come Natan Sharansky, celebre dissidente anti-sovietico, a lungo in carcere per le battaglie condotte in difesa dell’emigrazione degli ebrei russi verso lo Stato di Israele (“I leader del mondo libero devono fare pressione su Putin”, il suo auspicio). In un appello internazionale centinaia di giornalisti ricordano ancora che “cercare informazioni, anche se significa disturbare gli interessi politici” non fa di Evan un criminale o una spia ma un giornalista. Il suo mestiere.