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Pagine Ebraiche 24, l'Unione Informa e Bokertov sono pubblicazioni edite dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L'UCEI sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Le testate giornalistiche non sono il luogo idoneo per la definizione della Legge ebraica, ma costituiscono uno strumento di conoscenza di diverse problematiche e di diverse sensibilità. L’Assemblea dei rabbini italiani e i suoi singoli componenti sono gli unici titolati a esprimere risoluzioni normative ufficialmente riconosciute. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo comunicazione@ucei.it Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: comunicazione@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio "cancella" o "modifica". © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.

 
La rubrica “Opinioni a confronto” raccoglie interventi di singoli autori ed è pubblicata a cura della redazione, sulla base delle linee guida indicate dall’editore e nell’ambito delle competenze della direzione giornalistica e della direzione editoriale. 
È compito dell'UCEI incoraggiare la conoscenza delle realtà ebraiche e favorire un ampio ed equilibrato confronto sui diversi temi di interesse per l’ebraismo italiano: i commenti che appaiono in questa rubrica non possono in alcun modo essere intesi come una presa di posizione ufficiale dell’ebraismo italiano o dei suoi organi di rappresentanza, ma solo come la autonoma espressione del pensiero di chi li firma.

Scafisti  

“Scafisti, pene fino a 30 anni” era il titolo d’apertura di un recente articolo del Corriere della Sera. Non che non li meritino, ma sono convinto che la minaccia non li spaventi. Anzi, peggio: butteranno in mare i loro clienti (i profughi) più al largo, aumentando il numero delle vittime. Appare evidente che la repressione non funziona e allora che fare? Occorre sottrarre agli scafisti i loro “clienti”.
È indispensabile creare sulla costa mediterranea dell’Africa delle iniziative agro-industriali che attraggano i profughi e li allontanino dalla tentazione della traversata. Come? Creando in quell’area delle aziende che impieghino i profughi e offrano loro una possibilità di guadagno. Se in Libia e in Tunisia ci fossero imprese (italiane ed europee) che offrissero un lavoro ai migranti, molti, invece di pagare gli scafisti per la traversata, accetterebbero di buon grado uno stipendio in terra africana. È un’opzione che va tentata senza abbandonarsi ciecamente al (comprensibile) desiderio di repressione. Le tecnologie sviluppate da Israele possono venire in aiuto a questo tipo di iniziative. La produzione di energia per mezzo della tecnica della concentrazione dell’energia solare sviluppata ad Ashalim, (che fornisce il 10% del fabbisogno energetico di Israele) costituisce la base per questo tipo di imprese. Sulla costa mediterranea di Israele, a Soreq, grandi quantità di acqua dolce sono ottenute mediante la dissalazione dell’acqua marina tramite l’osmosi inversa e l’ormai tradizionale irrigazione a goccia permette un uso parco, ma efficiente dell’acqua dolce disponibile. Invece che armare motovedette perché non si impiantano imprese agricole sulla costa mediterranea dell’ Africa che sfruttino la combinazione di queste tecnologie? Il movente primo è la “distrazione” dalla traversata dei molti profughi che affollano la costa del mare, ma in breve potrebbe anche divenire un ottimo business. Perché non tentare? Mi sembra ragionevole pensare che anche i libici e i tunisini sarebbero disponibili a collaborare.
Il presidio delle coste italiane, i tentativi di salvataggio e il ricovero nei centri di accoglienza dei sopravvissuti costa (non poco). Perché non provare una via diversa?

Roberto Jona

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