Rabbini d’Israele, una risposta contro gli odi

rabbini contro l'odio - PE 08-14Israele e un’estate difficile. Una spirale di attacchi e tensioni da affrontare, razzi sparati contro la popolazione, la conseguente necessità di un’operazione militare. A scuotere le anime e le coscienze sono stati anche il brutale rapimento e assassinio di Naftali Fraenkel, Gilad Shaar, Eyal Yifrach da parte di membri del gruppo terroristico di Hamas, e poi quello di Mohammed Abu Khdeir, il sedicenne palestinese sequestrato e ucciso da un gruppo di israeliani (tra cui anche minorenni) che avrebbero agito, secondo quanto confessato da alcuni di loro, spinti dal desiderio di vendetta. Così, una nazione si è trovata a guardare in faccia una realtà fatta di crisi politica e militare, ma anche dei propri valori fondanti. A dare la percezione di questa dimensione, la stampa israeliana, che ha raccontato i fatti e raccolto le sensazioni, le opinioni, le analisi di politici e intellettuali, semplici cittadini e giornalisti, esperti, voci impegnate nel confronto pubblico. Umori e dibattiti finiti anche sui social network che sono stati veicolo di messaggi e testimonianze di solidarietà e di riflessione, ma anche teatro delle esternazioni peggiori, con tanti utenti che hanno postato immagini e commenti che esprimevano propositi di vendetta e messaggi di odio. Una tendenza che, dopo ciò che è capitato a Mohammed, ha posto per tanti israeliani dilemmi profondi. In questa situazione, a far sentire la propria voce, spesso tramiteeditoriali pubblicati sui principali giornali, sono stati i rabbini. Rabbini molto diversi tra loro che hanno voluto rilanciare i valori più profondi dell’ebraismo nel suo tradursi nella nazione Israele. Ma anche, in alcuni casi, rabbini che hanno invece ricordato con quale fantasma Israele si trovi a fare i conti. Come le parole del rabbino Noam Perel, segretario generale del movimento giovanile Bene Akiva mondiale: “Una intera nazione e migliaia di anni di storia domandano vendetta – ha scritto sul suo profilo Facebook – Questa disgrazia verrà pagata con il sangue del nemico”, provocando reazioni sdegnate in tutto il mondo (dichiarazioni per cui Perel si è poi scusato). A innalzare un richiamo forte sono stati i rabbini capo, l’ashkenazita David Lau e il sefardita Yitzhak Yosef. Dopo l’assassinio di Mohammed, rav Lau ha ricordato come l’accaduto si ponga del tutto “al di fuori dalla via della Torah”, mentre rav Yosef ha rivolto un messaggio di vicinanza alla famiglia Khdeir, da cui avrebbe voluto recarsi personalmente prima di essere costretto a rinunciare per ragioni di sicurezza. “Contro il terrore c’è così tanto che possiamo fare, come individui e come gruppo” ha sottolineato il deputato della Knesset rav Dov Lipman del partito cen- trista Yesh Atid, che ha festeggiato proprio questa estate i dieci anni dalla sua Aliyah dagli Stati Uniti. Lo studio, il compiere buone azioni. “Dobbiamo continuare a essere un popolo che santifica la vita e ricerca costantemente la possibilità di compiere atti di bontà. Non permettiamo a noi stessi di scendere ai bassi livelli dei nostri nemici. Scegliamo la via più elevata, miglioriamo la nostra personalità. Così li combatteremo”. Un concetto simile a quello espresso da una delle più importanti figure rabbiniche contemporanee, rav Adin Steinsaltz, autore della monumentale traduzione del Talmud in ebraico moderno. “Che cosa dovremmo fare? Recitare il Kaddish per i defunti, dove promettiamo di impegnarci per colmare il vuoto lasciato da loro e proseguire in ciò che stavamo facendo per ‘esaltare e santificare il Suo nome’ – ha ricordato – Studiare più To- rah, compiere una ulteriore mitzvah, donando il nostro tempo o denaro a coloro che ne hanno bisogno. Le nostre azioni non servono a innalzare le anime di quei ragazzi, che sono già a un livello spirituale supremo che non ha bisogno di ulteriore elevazione. Servono alle nostre anime, e a curare le mancanze e i difetti che c’erano e ancora ci sono nel nostro mondo”.

Pagine Ebraiche, agosto 2014

(14 agosto 2014)