Chi vuole cambiare il rabbinato

Schermata 2016-08-08 alle 15.06.31Una revisione, non una rivoluzione. È quello che il presidente dell’Agenzia ebraica Nathan Sharansky chiede al Rabbinato centrale di Israele. Una revisione delle procedure, per fare sì che la massima istituzione religiosa del paese acquisti maggiore trasparenza e obiettività nei criteri con cui si rapporta alle altre autorità rabbiniche, e in particolare quelle che appartengono all’ebraismo Modern Orthodox, in Israele ma soprattutto della Diaspora. L’occasione per lanciare il messaggio è stato un caso che ha suscitato grande interesse mediatico: il mancato riconoscimento, da parte del tribunale rabbinico della città di Petah Tikvah, cittadina a nord est di Tel Aviv, di una conversione effettuata da un noto rabbino newyorkese, Haskel Lookstein. Lo stesso che ha seguito e certificato il passaggio all’ebraismo di Ivanka Trump, figlia del candidato repubblicano alla presidenza americana Donald.
“Sono qui come capo dell’Agenzia ebraica per combattere una battaglia per rafforzare il rapporto tra Diaspora e Israele”, ha dichiarato Sharansky partecipando alla dimostrazione organizzata per sostenere rav Lookstein davanti alla sede della Corte suprema rabbinica di Gerusalemme all’inizio di luglio (nell’immagine). “Mandiamo i nostri shlichim (emissari che l’Agenzia ebraica – ente governativo – invia presso le varie comunità nel mondo ndr) e giorno e notte spieghiamo come gli ebrei della Diaspora debbano sentirsi orgogliosi del loro legame con Israele. E poi Israele arriva e dice ‘I vostri leader non sono i nostri leader, i vostri rabbini, persino i più sionisti di tutti, coloro che portano avanti la più stretta osservanza della Halakhah (la legge ebraica ndr), non sono i nostri rabbini, non li riconosciamo’.” Un problema che diventa particolarmente profondo nel caso della comunità statunitense, tradizionalmente uno dei pilastri del sostegno allo Stato sia in termini economici sia in termini politici. Che si fa ancora più complicato andando oltre il caso specifico di rav Lookstein, membro della Rabbinical Council of America, la più importante associazione rabbinica ortodossa americana, e già guida dell’antica sinagoga Kehilath Jeshurun di Manhattan, fondata proprio dalla famiglia di Lookstein nel 1872. La maggior parte degli ebrei d’America infatti non si riconosce nell’ebraismo ortodosso, ma in quello portato avanti da altre denominazioni, in particolare conservative e reform. In Israele esse non hanno formale riconoscimento. Il che comporta per esempio il non poter celebrare matrimoni validi. Nello Stato ebraico non esiste infatti la possibilità di sposarsi civilmente, ciascuno può rivolgersi alle strutture della propria confessione religiosa, ma per gli israeliani di religione ebraica l’istituzione in questione è necessariamente quella del Rabbinato centrale, ortodosso. Con alcuni nodi da non sottovalutare, persino per chi nell’ortodossia si riconosce: in particolare il fatto che la maggioranza dei suoi funzionari appartengono al mondo ebraico haredì. Un mondo che rappresenta circa il 10% dei cittadini israeliani, il cui stile e scelte di vita sono però separate da quelle del resto del paese da una profonda frattura, che si sta accentuando anche verso la comunità Modern Orthodox (o datì leumi, nazional-religiosa), come sottolineato dalle dure parole contro la decisione di Petach Tikvah pronunciate dal ministro dell’Istruzione Naftali Bennett, leader del partito nazional-religioso Habayt Hayehudì (La Casa ebraica).
Anche se il caso di rav Lookstein può probabilmente considerarsi chiuso (il Rabbinato centrale ha infatti rilasciato un comunicato in cui si specificava come i dubbi avanzati dalla corte di Petah Tikvah e reiterati nella decisione dell’istanza di appello riguardino solo la singola persona coinvolta, riconoscendo però in via generale l’autorità del rabbino), il tema rimane quanto mai attuale: dal funzionamento della controversa piattaforma davanti al Kotel che dovrebbe garantire lo svolgimento di funzioni religiose ebraiche non ortodosse davanti al Muro che fu del Tempio di Gerusalemme, ai diversi tentativi di cancellare il monopolio del Rabbinato centrale in fatto di matrimonio e casherut, i fronti aperti sono tanti. Per trovare una soluzione che, come auspicato da Sharansky, aiuti a rafforzare il legame tra lo Stato d’Israele e gli ebrei. Quelli che vivono fuori, ma anche all’interno, dei suoi confini.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche agosto 2016

(8 agosto 2016)