JCiak – Nebbia in agosto

Ernst Lossa ha 13 anni quando lo internano nella clinica di Irsee. Orfano di madre, è un ragazzino zingaro così ribelle da essere giudicato “ineducabile” e rinchiuso in un reparto psichiatrico. Attraverso la sua storia vera, Nebbia in agosto di Kai Wessel – da oggi nelle sale – porta al cinema l’orribile storia dell’Aktion T4, l’operazione che nella Germania del Terzo Reich conduce allo sterminio di oltre 200 mila disabili fisici e psichici.
Basato sull’omonimo libro di Robert Domes, Nebbia in agosto filtra uno spaccato storico inquietante attraverso la prospettiva di un ragazzino intelligente e pieno di vita. Una volta internato, Ernst (Ivo Pietzcker) si rende conto alla svelta che le cose non vanno come dovrebbero: l’ospedale è una fabbrica di morte e il buon dottor Veithausen (Sebastian Koch) fa tutto tranne che aiutare i malati.
Mentre il bambino prova a opporre resistenza, il massacro di quelle che nella Germania nazista vennero considerate “vite indegne di essere vissute” si svela nei suoi risvolti più osceni: i cibi cotti fino a perdere ogni valore nutritivo e affamare i ricoverati, il succo di mirtillo letale, le iniezioni di morfina e barbiturici capaci di regalare un sonno senza più risveglio.
Solo una suora prova ad aiutare i ragazzini, inducendoli a vomitare il succo di mirtilli al veleno. “Furono molte le suore impiegate in quegli ospedali che provarono ad aiutare i ricoverati mettendo di nascosto del burro nelle loro minestre”, ha raccontato il regista Kai Wessel. “Ma non c’era molto che potessero fare per proteggerle dalla morte. Le si sentiva cantare quando sui bus dai vetri colorati accompagnavano le persone nelle camere a gas, tentando di confortarle come potevano. Ci fu davvero una suora, poi, che denunciò le eutanasie all’arcivescovo e decise di restare nel sanatorio per sabotare quando possibile i piani di morte nazisti”.
L’Aktion T4, volta a preservare la purezza della razza oltre che risparmiare denaro nelle cure così da destinarlo a scopi bellici, sarà sospesa nel 1941 per le pressioni dell’opinione pubblica e della chiesa cattolica e protestante. L’operazione, che per molti versi anticipa quella che sarà la Shoah, passerà però a lungo sotto silenzio, fino all’apertura degli ospedali psichiatrici negli anni Ottanta e la desecretazione dei documenti.
“Dopo la guerra – dice Wessel – nessuno faceva menzione di questo scellerato programma di omicidi di massa, prova generale dei campi di sterminio, non ci furono processi né condanne per i medici che hanno poi avuto delle fortunate camere negli anni successivi. Nel 1945 americani, russi, francesi e inglesi cominciarono a indagare sugli omicidi dei malati, ma poi sopraggiunse la Guerra Fredda e tutti i documenti vennero nuovamente nascosti. Anche le famiglie coinvolte in questa strage non ne parlavano, vergognandosi del fatto che qualcuno di loro soffrisse di malattie mentali o disabilità fisiche. Statisticamente una famiglia su otto in Germania ha visto un proprio membro ucciso da questo programma”.
In Nebbia ad agosto Wessel – che in passato ha conquistato il pubblico tedesco con A life in Germany, adattamento televisivo dei diari di Victor Klemperer, docente di letteratura autore di uno dei più accurati resoconti della vita ebraica ai tempi del nazismo – riesce a ricostruire la storia di Ernst Lossa, già narrata da Marco Paolini in Ausmerzen, con misura e senza troppo facili retoriche. E’ un film da vedere, questo, per esplorare uno spaccato storico ancora relegato in secondo piano e riflettere su quell’atroce collusione fra psichiatria e sterminio, scienza e crimini di guerra, che purtroppo abbiamo dovuto rivedere in atto anche in anni recenti.

Daniela Gross

(19 gennaio 2017)