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Il museo delle penultime cose

museoContinua a suscitare interesse e dibattito Il museo delle penultime cose (ed. 66th and 2nd), l’ultimo libro di Massimiliano Boni dedicato al tema della Memoria. Un originale romanzo tra realtà e finzione in cui l’autore ci proietta in una Roma non troppo lontana nel tempo, a confronto con il tema della testimonianza.
Sala gremita al salotto letterario organizzato ieri pomeriggio nella sede della Fondazione Museo della Shoah di Roma, nella Casina dei Vallati. Insieme all’autore, consigliere di Corte costituzionale e già prolifico autore di libri a tema ebraico, il presidente della Fondazione Mario Venezia, la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello, l’assessore UCEI al personale Franca Formiggini Anav, il preside delle scuole ebraiche romane Benedetto Carucci Viterbi, lo storico dell’arte Paolo Coen. A moderare gli interventi l’assessore alla Cultura della Comunità ebraica Giorgia Calò.

Di seguito pubblichiamo l’intervento dell’assessore Franca Formiggini Anav:

Ho conosciuto Massimiliano Boni tra i banchi di scuola.
Non i nostri chiaramente, ma quelli dei nostri figli Giosuè e Keren, che hanno 13 anni, frequentano le Scuole Medie Ebraiche insieme.
Nutro una stima profonda nei confronti della famiglia Boni, che partendo tutte le mattine da Guidonia, riesce a far frequentare la scuola ebraica al piccolo Giosuè e se D-o vuole da settembre anche al piccolo Jacopo.
Una grande fatica, un grande sacrificio.
Inoltre, non è facile essere ebrei lontani in una Comunità ebraica, spesso si è visti come estranei, come stranieri.
Questo tratto e la professione non comune di Massimiliano, Consigliere di Corte Costituzionale, mi hanno particolarmente incuriosito.
L’accoglienza, l’ospitalità ed il rispetto per lo straniero, perchè anche noi siamo stati stranieri in terra di Egitto, sono delle mizvoth importanti che Avraham Avinu e Moshè Rabenu ci hanno trasmesso: nella Parashà di Vayerà è scritto che Avraham, seduto all’ingresso della sua tenda nell’ora più calda della giornata, vide tre uomini e corse incontro a loro per invitarli a rifocillarsi presso di lui: “… lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Prenderò del pane per potervi ristorare e poi potrete proseguire…” (Bereshìt, 18:4-5),
“Il forestiero dimorante con voi dev’essere per voi uguale ad un vostro indigeno, ed amerai per lui quel che ami per te; poiché (anche voi) siete stati forestieri nella terra d’Egitto. Kedoshim 19-34
Ancora, il salmo 119 ci ricorda la posizione di straniero sulla terra.
È la memoria di essere stati stranieri che spinge e stimola il nostro senso di accoglienza ed ospitalità.
Nella mia memoria ho individuato tanti aspetti comuni con Massimiliano, entrambi ebrei lontani, entrambi nipoti della Shoah. Le nostre famiglie si sono avvicinate ed il rapporto è sfociato in una sincera amicizia.
Stefania, sua moglie, è psicologa terapeuta familiare, Massimiliano, già laureato in Giurisprudenza e lettere, ha ritenuto dover proseguire i suoi studi con il Master in Cultura Ebraica, ed attualmente studia talmud al Collegio Rabbinico.
Massimiliano è un nipote della Shoah, questa Shoah multiforme, dove cercare di salvare i figli e la famiglia ha portato tutti i nostri antenati a decisioni diverse ed importanti.
Nella Shoah della sua famiglia e sua Massimiliano ha ritrovato le sue origini ed ha fatto di quelle origini una scelta di vita importante.
Ed ha cominciato a scrivere.
Nel suo libro La Parola ritrovata, per molti versi autobiografico, Massimiliano racconta il suo percorso, la scoperta della sua identità, il suo desiderio di fare una scelta definitiva.
Con la sua identità ritrovata decide poi di correre e di allenarsi per le Maratone, raccontando la prova con sé stesso, i suoi timori e speranze in “Solo per un giorno”.
Ne Museo delle penultime cose invece affronta il tema della Shoah.
La Shoah è un segno indelebile in ogni Ebreo, La Shoah è come un trauma che continua ad abitare le menti dei nati da una generazione all’altra.
Ci hanno raccontato la shoah, l’abbiamo partecipata, vissuta, toccata…ed ognuno di noi ha le sue reazioni: ho 3 figlie, 3 approcci diversi: l’indifferenza, l’angoscia, la curiosità scientifica…
Ma scrivere di Shoah è difficile, si rischia la banalità con una frase.
Per non correre questo rischio, Massimiliano ci proietta in un futuro prossimo, quando Keren e Giosuè avranno 30 anni.
Loro, che a scuola hanno potuto conoscere gli ultimi sopravvissuti e sono i “testimoni dei testimoni”, che vedranno BH il Museo della Shoah costruito.
Loro che dovranno reagire alle ondate di antisemitismo, loro che sono il nostro futuro ed avranno l’arduo compito di conservare la memoria di quello che è stato affinchè non accada più.
Il libro è avvincente, con qualche tono di giallo.
Pacifico come tutti gli ebrei delle seconde e terze generazioni, si sente “risucchiato in un passato che non aveva mai vissuto e che però avvertiva vicino”.
Molto introspettivo, il libro ci rappresenta il tortuoso rapporto del protagonista con la Shoah, uno studioso storico della vita “prima” senza riuscire ad affrontare il “durante”.
Uno dei tanti tortuosi rapporti che caratterizzano il nostro Popolo in merito alla Shoah.
Kol ha kavod Massimiliano, felice di avere i figli nella stessa classe.

Franca Formiggini Anav

(29 marzo 2017)