…fascisti

Purtroppo, di questi tempi e con certi interlocutori, bisogna sempre continuare ad anticiparlo in modo inequivocabile: non sono comunista e non ho mai coltivato simpatie per regimi comunisti di sorta, di ieri o di oggi. Non mi sono mai piaciuti Stalin e accoliti, e non ho alcuna difficoltà a riconoscerne senza mezzi termini la barbarie. Anche se, indubbiamente i suoi piani quinquennali sono stati una – opinabile – manna dal cielo. Del resto, anche Mussolini, si dice, ‘ha fatto tante cose buone’, strade e ponti e paludi bonificate.
Dunque, non sono comunista, e tuttavia rimango fervente antifascista, perché non voglio dimenticare che cosa è stato il fascismo, e non solo per noi ebrei. Del resto, è il fascismo stesso che quotidianamente ci ricorda di che pasta sono fatte la sua ideologia e la sua prassi. È per questo che continuo a preoccuparmi quando sento dire che ‘Non esistono più destra e sinistra. Esiste solo la barbarie’. La sinistra, è vero, non esiste più. Ma la destra fascista esiste eccome, e si fa sentire e vedere, solo che si sta fingendo di non riconoscerla, pro bono pacis, o per convenienza politica. O semplicemente come un alibi usato per bilanciare il proprio anticomunismo. E quando proprio si è costretti a guardarlo in faccia il fascismo della destra, allora si ricorre al consueto e trito ‘sì, ma anche Stalin…’.
In questi giorni, di seguito ai fatti di Charlottesville e alle poco convincenti e tardive reazioni del presidente Trump e alle connivenze delle istituzioni locali, ci si preoccupa giustamente e ci si chiede dove stia andando l’America. Se lo chiede soprattutto chi nell’America e nella sua democrazia aveva sempre confidato come in un baluardo di libertà e di salvezza per i perseguitati e per i diseredati. È l’America in cui si sono rifugiati gli ebrei che sfuggivano ai pogrom dell’Impero Russo degli anni ’80 dell’Ottocento, tanto per fare un esempio banale. È l’America su cui ha sempre contato Israele nei momenti più bui e pericolosi della sua storia. Qualsiasi cosa succedesse, tutti sapevano – piacesse o non piacesse il suo sistema ideologico e la sua politica estera – di poter contare sull’America, sulla sua democrazia, sulla sua politica liberale, sulle sue porte aperte. E sulla sua forza.
Ora invece c’è ampio spazio per l’apprensione. E solo per cautela e per illusoria speranza viene alle labbra questo inappropriato eufemismo.
Alan Zimmerman, presidente della congregazione Beth Israel ha raccontato di aver dovuto montare la guardia alla sinagoga con una guardia armata, perché la polizia di Charlottesville si è rifiutata di intervenire istituzionalmente. Un segnale non proprio incoraggiante.
Vari rabbini americani hanno espresso la loro preoccupazione per la situazione che si va sviluppando. Lo stesso rabbino responsabile della conversione di Ivanka Trump ha preso posizione formale contro la timida reazione del presidente Trump ai fatti e alla violenza di Charlottesville ad opera di fanatici razzisti e antisemiti in uniformi naziste. Ivanka Trump e il marito Jared Kushner, poi, su cui gli ebrei americani avevano riposto le loro speranze perché mitigassero certe posizioni ambigue e sgradevoli del presidente, sono scomparsi. In vacanza nel Vermont. E il loro silenzio si sta facendo sentire. È da sperare che sia, almeno, un silenzio di dissenso dalla politica razzista del padre-suocero.
Se questo non bastasse, a Boston il Memoriale dell’Olocausto (come continuano a chiamarlo in America) è stato vandalizzato due volte quest’estate.
C’è motivo di preoccupazione? Certamente sì: se non si può contare più neppure sulla democrazia dell’America – malgrado certe sue saltuarie ma ricorrenti distorsioni – non si sa su chi si possa mai contare.
Ma la maggioranza degli americani, si dirà, è assolutamente sana. È vero. A Boston la reazione democratica e antirazzista è uscita in strada. E tutti noi abbiamo un sacco di amici americani su cui possiamo mettere la mano sul fuoco. Peccato che la storia ci abbia mostrato con regolare ricorrenza che nel momento della tempesta, quella vera, la minoranza bestiale parla e agisce, mentre la maggioranza sana se ne rimane in silenzio, nascosta al sicuro nella sua tana. Magari nel Vermont.

Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia

(22 agosto 2017)