Il nome di Gerusalemme

Sara Valentina Di PalmaAncora riguardo la figura del nostro patriarca Avraham, nel viaggio che ci ha portato allo Shabaton livornese dove ragazzi da tutte le Comunità italiane hanno svolto un nuovo Chidon (un quiz questa volta, dopo quello bolognese dello scorso inverno, sulla riunificazione di Yerushalaim), leggiamo qualcosa a proposito del nome della città, apparso come tale per la prima volta in Yehoshua (10:1).
“Avraham chiamò quel luogo Hashem Yirè, di cui oggi si dice ‘sul monte Hashem apparirà'” (Bereshit 22, 14). Hashem Yirè, letteralmente ‘Hashem vedrà’, è dunque il nome dato da Avraham al luogo sul Moriyà, che già Rashi identifica con Gerusalemme, scelto per la legatura di Yitzhak ed il drammatico colpo di scena della sostituzione del ragazzo con un montone, poi offerto in sacrificio. Hashem vedrà questo luogo come adatto per mostrarvi la sua presenza, suggerisce ancora Rashi.
Già Shem aveva denominato questo luogo chiamandolo Shalem (Bereshit 14:18, dove si parla di Malkì Tzèdek re di Shalem, letteralmente ‘mio re della casa della giustizia’ perché quel luogo avrebbe un giorno visto sorgere il Bet HaMikdash, ed il sovrano in questione è identificato dai maestri con Shem, figlio di Noach e progenitore di Avraham).
Leggiamo un midrash che spiega la ragione dell’unione dei due nomi: il Signore non voleva accontentare Avraham a sfavore del nome dato da Shem, e viceversa (Bereshit Rabbà 56:10). Possibile, ma davvero Hashem si preoccupava di una disputa tra due tzaddikim su cose tutto sommato futili, a guisa di invidie tra vicini su chi ha il prato più verde?
Molto più soddisfacente è l’interpretazione offertaci da un altro midrash, che leggiamo alla volta di Livorno: il nome dato da Avraham si riferisce alla bontà del Signore che avrebbe guardato giù verso il mondo per diffondervi la sua benevolenza, tema cui il nostro patriarca era molto sensibile con il suo alto senso di ospitalità (la tenda aperta sui quattro lati per accogliere chiunque arrivasse) e di protezione dei giusti (l’ardita e quasi forense discussione paritetica con il Signore sul tentativo di salvare Sedòm dalla distruzione, per evitare di uccidere i giusti con i malvagi), mentre il nome scelto da Shem rimanda al concetto di perfezione, ed è in linea con il carattere severo del figlio di Noach nei confronti dei peccatori, da punire invece di pregare per loro come avrebbe fatto Avraham (Midrash HaGadol 22:15). Per Avraham qui si manifesta dunque la bontà di Dio, mentre per Shem in questo luogo possono risiedervi solo persone spiritualmente pure. La ragione per cui il Signore avrebbe quindi unito i due nomi ci sembra più significativa: si tratta di un luogo di bontà e di purezza, che induca l’uomo a migliorarsi e a fare teshuvà.
E siccome nulla è dato al caso, tutto ciò si sposa alla perfezione con la derashà di rav Yair Didi in occasione del Kiddush di Shabbat dopo Shachrit: Avraham ha il coraggio di aprire la sua tenda ed accogliere quelli che non sa essere angeli, ma che inizialmente sembrano arabi, altri, diversi, il nemico. Troppo facile sarebbe accogliere degli angeli! La vera sfida, del primo come di ogni ebreo, dovrebbe essere avere la bontà per accogliere tutti, anche chi potrebbe essere lontano da noi.
Chissà, forse Avraham è stato scelto come primo ebreo proprio per questo?

Sara Valentina Di Palma

(9 novembre 2017)