1938, a ottant’anni dall’infamia
dignità umana ancora in pericolo

fasEsattamente ottanta anni fa la redazione del Giornale d’Italia confezionava le pagine che il giorno dopo sarebbero state in edicola. L’articolo più roboante, destinato ad avere ampia diffusione anche sul resto della stampa nazionale, e poi un’applicazione devastante, era quello che andava sotto il titolo “Il fascismo e il problema della razza”. Oggi lo conosciamo anche come Manifesto della razza.
Con un’operazione realizzata sotto la regia di Benito Mussolini in persona, il regime cercava di accreditare i propri progetti persecutori e di negazione dell’Altro su un piano pseudoscientifico che ancora oggi, nel rileggerle, lascia increduli dinanzi alla folle aberrazione delle statuizioni e delle certezze affermate. Un’operazione che sarà premessa – nell’indifferenza di molti – alla successiva promulgazione delle Leggi antiebraiche, alla messa ai margini di una intera parte della cittadinanza italiana, alla persecuzione, alla deportazione, all’annientamento nei campi di sterminio. Leggi e provvedimenti amministrativi perfetti e formalmente rispondenti ad ogni crisma ma sostanzialmente vuoti di ogni principio e valore.
Una ferita ancora viva, che riguarda non solo le comunità ebraiche ma una intero Paese e il suo sistema di valori. Una vicenda su cui però l’Italia non sembra aver riflettuto con la sufficiente consapevolezza, né fatte valere negli ottant’anni passati le responsabilità sul piano legale o politico.
Cosa resta oggi, qual è il lascito di quella terribile narrazione? Quanto si è riusciti a realizzare in questi lunghi anni un percorso che portasse dalla “difesa della razza” alla tutela dei diritti? Quanto si è radicato nella cultura della nostra società, italiana ed europea, il rispetto per il diritto alla vita, della dignità umana, dell’uguaglianza degli esseri umani non solo dinanzi alla legge ma anche dinanzi agli uomini?
Alla luce di quanto viviamo oggi, con il crescente manifestarsi di atti di intolleranza razziale, odio e pericolosa radicalizzazione – purtroppo alimentati e legittimati anche da esponenti delle istituzioni ‒ questo percorso appare incompiuto e ancor più faticoso.
Il tormento di oggi non è fatto solo del dolore e delle paure vissute ieri, ma anche del non essere in grado di leggere i fatti e le avvisaglie, del non riuscire a prevenire quel che pensavamo fosse superato con il varo della nostra Costituzione, e di veder nuovamente leggi e decreti democraticamente approvati, ma che violano quei fondamentali principi.
Abbiamo timore di trovarci nella condizione e con le responsabilità che abbiamo addebitato ad altri, in varie e note sedi processuali, di dover disobbedire a un decreto, a una legge, a un ordine, perché i valori supremi andavano difesi nel rispetto di quel profondo richiamo morale. Quando è allora il momento per dire” No”, “Basta”, affinché non sia di nuovo troppo tardi?

Noemi Di Segni, Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(13 luglio 2018)