Marc Chagall, pittore e poeta
La grande mostra a Mantova

“Come nella pittura, così nella poesia”, scriveva Quinto Orazio Flacco nella sua “Ars Poetica”. Una consonanza che, secondo lo scrittore e drammaturgo surrealista André Pieyre de Mandriargues, forse nessun artista ha saputo incarnare più di Marc Chagall, “il pittore e il poeta per eccellenza”. Ed ecco spiegato perché la mostra sul pittore bielorusso di origine ebraica che sarà inaugurata a Mantova il 5 settembre abbia proprio quel sottotitolo, “Come nella pittura così, nella poesia”.
Una prima presentazione alla stampa ha visto impegnati, alla Triennale di Milano, Mattia Palazzi, sindaco del Comune di Mantova che promuove la rassegna, Rosanna Cappelli, direttore generale Arte Mostre e Musei della casa editrice Electa, cui compete l’organizzazione dell’evento, e Gabriella Di Milia, che lo ha curato in collaborazione con la Galleria di Stato Tretjakov di Mosca.
Almeno due motivi fanno della mostra su Chagall uno degli appuntamenti irrinunciabili del prossimo autunno: il ciclo completo dei sette teleri dipinti per il Teatro ebraico da camera di Mosca torna per la prima volta in Italia dopo ben diciannove anni; il medievale Palazzo della Ragione, che li ospiterà fino al 13 gennaio, riapre per l’occasione, dopo che il terremoto del 2012 lo ha congelato in un lungo periodo di inattività e di restauro.
Cappelli_Palazzi_Di Milia_2L’edificio di Piazza delle Erbe accoglierà centotrenta opere risalenti al momento più rivoluzionario e meno nostalgico di Chagall, ovvero quello in cui, quasi dimenticando se stesso e gli anni parigini, si ritrova costretto a vivere e a lavorare nella natia Bielorussia. A riannodare i fili della vicenda umana e artistica del pittore è stata la curatrice Di Milia: “Quando arriva a Parigi, nel 1910, Chagall si precipita subito nei musei e al Salon des Indépendants per apprende il mestiere. È già esploso il nuovo movimento del cubismo, che lui trova troppo realistico. Infatti ne adotta la libertà di mezzi, ma svuotando la forma geometrica di ciò che poteva ricondurla al reale. È sedotto da una serie di visioni che deve far coesistere in un ordito, sulla superficie del quadro, mantenendo tuttavia l‘unicità di ciascuna. Quello che per i cubisti è un problema spaziale – far vedere l’oggetto da più punti di vista – Chagall lo smaterializza di ogni riferimento concreto, muove le superfici e fa diventare i personaggi, gli animali, gli oggetti, i paesaggi qualcosa di sconosciuto, dei catalizzatori di stati d’animo, di associazioni insolite. Un procedimento inusuale a Parigi e che più tardi André Breton individuerà come già surrealista”.
Lo Chagall degli anni parigini prende presto le distanze dall’ambiente degli emigrati, ai quali preferisce i poeti e gli scrittori d’avanguardia come Guillaume Apollinaire, Ricciotto Canudo e Blaise Cendrars, eleggendo a sua seconda casa quella di Robert e Sonia Delaunay. Sono innanzitutto loro a comprendere il valore delle sue tele, forse perché vi trovano una spinta a fantasticare. Il 1914 è l’anno in cui Chagall tocca l’apice del successo con la prima personale, che il rinomato mentore dell’espressionismo Herwarth Walden, conosciuto tramite Apollinaire, gli dedica nella propria galleria berlinese “Der Sturm”.
Quando decide di andare in Russia per le nozze della sorella e per rivedere la fidanzata Bella Rosenfeld, che sposa nel 1915, scoppia la guerra: a Chagall viene tolto il passaporto e non può più andarsene. “Eventi che in un certo senso – ha chiarito Di Milia – gli danno ispirazione perché, come scriverà una sua amica, “Vitebsk è la sua città natale, ma anche la sua tomba”. Era partito per San Pietroburgo e poi per Parigi perché non voleva più restare in quella città di provincia, ma le impressioni più profonde, quelle che Chagall rievoca più spesso, risalgono alla sua infanzia e giovinezza in Bielorussia. A quel modo di vedere, sentire e immaginare rimarrà sempre fedele e non si inserirà mai in una corrente artistica con una scelta definitiva”.
La mostra di Mantova si focalizza su questo secondo periodo russo, che vede Chagall attivamente calato nella nuova realtà rivoluzionaria – il Commissario del popolo per la Pubblica Istruzione, Anatolij Lunačarskij, gli affida l’organizzazione degli eventi culturali di Vitebsk – e perciò libero da quel senso di nostalgia che aveva pervaso i suoi quadri precedenti.
Nel 1918, allo scoccare dell’anniversario della Rivoluzione, per Chagall arriva la prima occasione importante: realizzare degli enormi fondali celebrativi da esporre a Vitebsk, in modo che tutti vedano, ad esempio, un gigantesco mugik (contadino russo) che sradica un palazzo nobiliare.
Ma il legame con Vitebsk è destinato a spezzarsi nuovamente, questa volta a causa dei dissidi con Kasimir Malevič, l’inventore del suprematismo: un altro movimento troppo realistico per Chagall, sotteso di una concezione del mondo che non rimpiange nulla del passato e che vuole azzerare tutto, tanto nell’arte quanto nella vita quotidiana.
Giunto a Mosca, Chagall è atteso da una seconda, rara opportunità: produrre sette grandi tele da applicare ai muri del nuovo Teatro ebraico, che prima era a San Pietroburgo e ora si trova in un appartamento riconvertito in una sala da novanta posti, con un palcoscenico. “Nel suo ciclo pittorico, Chagall rispecchia il tragico momento storico dei sogni impossibili e di un presente incerto, della violenza e delle contraddizioni, del subbuglio psicologico e dei rivolgimenti causati dalla Rivoluzione d’Ottobre. Probabilmente riuscì a contenere tutte le spinte contrarie e opposte per la sua vicinanza al chassidismo, il movimento mistico ebraico nato nei Carpazi e diffusosi soprattutto nell’Europa orientale, che gli suggerì come affrontare le difficoltà della vita quotidiana. Ecco, allora, il teatro e la Rivoluzione gioiosamente rappresentati come una grande festa. E come i chassidim si esprimevano per le strade con danze e capriole, per risvegliare un’emozione spontanea, mettere direttamente in comunicazione con Dio e favorire i miracoli, così gli antenati degli attori del teatro ebraico sono i commedianti di strada, i musici delle cerimonie rituali ebraiche, specie i matrimoni”.
Quattro quadri raffigurano l’allegoria delle arti – musica, danza, teatro e letteratura – e sono sormontati da un fregio che forse prefigura il rinnovamento del vecchio teatro ebraico, destinato ad essere soppiantato da una poetica dell’assurdo.
Tutte queste opere – compreso il dipinto “Amore sulla scena”, che si poteva vedere uscendo dalla sala, e la ricostruzione del Teatro ebraico da camera, ossia una “scatola” di circa quaranta metri quadrati – saranno a Mantova grazie a un prestito eccezionale della Galleria di Stato Tretjakov di Mosca. Dove l’artista Aleksandr Tyshler le aveva portate in spalla e messe in salvo, e dove caddero nell’oblio fino alla perestrojka, quando ci si rese conto di avere per le mani dei capolavori da restaurare e valorizzare. L’allestimento immersivo sarà accompagnato anche da una selezione di dipinti e acquerelli di Chagall degli anni 1911-1918 e da una serie di acqueforti, eseguite tra il 1923 e il 1939, tra le quali le illustrazioni per le “Anime morte” di Gogol’, per le “Favole” di La Fontaine e per la Bibbia, a testimoniare lo stretto rapporto tra arte e letteratura nel periodo delle avanguardie.
E di avanguardia, Mantova ne sa qualcosa: “Oltre a racchiudere un patrimonio artistico straordinario, patrimonio UNESCO, vanta una tradizione culturale di eccellenza – ha ricordato Rosanna Cappelli –, con mostre ante litteram quando in Italia se ne facevano ancora poche. Una vocazione coronata, nel 2016, dal titolo di prima capitale della cultura italiana. Senza contare l’esperienza più che ventennale del Festivaletteratura, con cui la mostra sarà concomitante. Abbiamo così scelto di avviare questa stagione espositiva triennale a Palazzo della Ragione, nel cuore della città rinascimentale, partendo da una pagina di avanguardia del Novecento che avesse un risvolto letterario. Infatti il catalogo non si limita a restituire le influenze e le contaminazioni che Chagall assorbì a Vitebsk, San Pietroburgo, Parigi e Mosca, ma racconta anche la fascinazione che esercitò su poeti, artisti, letterati e intellettuali suoi contemporanei attraverso i loro testi, tradotti per la prima volta”.
Alla mostra si affiancherà un fitto programma di iniziative, che coinvolgeranno le principali realtà culturali della città: non solo il Festivaletteratura, ma anche l’Orchestra da Camera e la Comunità ebraica, con cui le istituzioni collaborano abitualmente (vedi il recupero dell’area dove sorgeva il cimitero israelitico).
“È importante dimostrare che pubblico e privato possono progettare e creare insieme qualcosa di originale, innovativo, competitivo a livello internazionale – ha concluso il sindaco Palazzi –, che sono in grado di infondere nei luoghi storici nuova energia culturale, che le città possono cambiare, rigenerarsi, promuovere economia e bellezza. È un’ambizione che Mantova ha sempre coltivato ed è ciò che succederà con questa mostra. Palazzo della Ragione torna a vivere come spazio per esposizioni, musica, teatro, danza e letteratura, non a caso proprio le arti che Chagall personifica nei suoi teleri. Credo sia questa la sfida che le città italiane devono raccogliere, magari con Mantova capofila…”.

Daniela Modonesi