Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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“L’ebreo
conta e computa. Conta giorni, settimane, anni, cicli di sette anni.
L’ebreo conta sei giorni ogni settimana e quindi osserva lo Shabbat.
L’ebreo computa quarantanove giorni, quindi sette settimane, durante il
periodo del conteggio dell’Omer e conclude il contare con l’esistenza
della festa di Shavuot. L’ebreo conta sei anni ed osserva al loro
compimento l’anno di shemità. L’ebreo conta quarantanove anni e sette
anni di shemità e quindi proclama l’anno del Giubileo.” Con queste
parole il grande Rav Yosef Dov Solovietchik zl, chiamato semplicemente
HaRav da migliaia di ebrei, scrisse l’incipit di uno dei suoi commenti
al periodo del conteggio dell’Omer che è lo stesso periodo nel quale
cade l’anniversario della sua morte.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Una
scuola superiore mi invita a parlare di conflitto Israele-Palestina.
Sono in quinta, si avvicinano alla maturità e vogliono sapere.
Ascoltano e fanno domande. Molte domande. Alcuni hanno delle idee
prefissate, prevalentemente orientate in senso filo palestinese, ma il
clima che domina è quello dell’interrogazione: perché? chi? quando? Non
sanno veramente nulla, ma sono sinceramente interessati e chiedono di
informarsi.
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ROMA
- Domenica alle 18.30, al Museo ebraico di Roma, presentazione del
libro "I conti con la storia" (ed. Rizzoli) del giornalista e storico
Paolo Mieli. L'ingresso all'evento potrà essere effettuato da via
Catalana.
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Temi e immagini
del pensiero ebraico |
"Temi
e immagini del pensiero ebraico”. Questo il titolo del ciclo di
incontri ospitato presso la nuova sede della Biblioteca Universitaria
di Genova, l’ex Hotel Colombia (luogo storico della città, che ospitò e
fece cantare grandi nomi tra cui anche i Beatles). L'iniziativa è
organizzata da Laura Mincer (Università di Genova) da Alberto Rizzerio
(Centro Culturale Primo Levi) e Ilana Bahbout (DEC-UCEI).
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25 aprile, nelle piazze
con la Brigata Ebraica
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“Sono
da condannare nettamente le parole di Beppe Grillo quando associa gli
ebrei alle lobby delle banche o fa un uso spregiudicato dei simboli
della Shoah al pari di quelle forze xenofobe. Nonostante ciò sarebbe un
errore associarlo alla ‘galassia nera’. Ma anche per questo saremo
sempre vigili per arginare e denunciare in ogni sede qualunque
espressione contraria ai valori dell’Italia antifascista. Nei giorni
scorsi il presidente dell’UCEI Renzo Gattegna ha espresso in maniera
netta i sentimenti della nostra base e delle nostre comunità. Nessuna
esclusa. Rincuora, nello stesso tempo, aver letto i commenti di
condanna alle parole di Beppe Grillo, arrivati anche dagli stessi
militanti del Movimento 5 Stelle che sappiamo non includere nel loro
dna sentimenti antisemiti o xenofobi”. Così il presidente della
Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici in un editoriale che appare
sulla Stampa nostro giudizio sul M5S – sottolinea Pacifici – sarà solo
sui singoli personaggi ed episodi e mai generalizzato al Movimento
stesso, nonostante non ci sfugga l’esistenza di frange minoritarie che
sul blog esprimono posizioni inquietanti. La speranza è che militanti e
simpatizzanti grillini abbiano anticorpi più forti delle urla del loro
leader”.
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FRA STORIA E DRAMMATICA ATTUALITà
Nuova luce sul caso Mortara
Per
rendere noto il suo lavoro ha atteso la mattina di questo 25 aprile.
“Questo giorno – commenta oggi – denso di speranza e di significato,
che segna la riconquista della libertà e della dignità per gli ebrei
italiani e per tutti gli italiani, non è un episodio isolato, ma il
culmine di un percorso difficile e doloroso nelle bimillenarie vicende
degli ebrei italiani”.
Il caso Mortara, la vicenda del bimbo ebreo strappato con un pretesto
alla sua famiglia e rapito nel 1858 a Bologna dai gendarmi dello Stato
della Chiesa per poi essere nascosto in Vaticano ed educato a divenire
un sacerdote cattolico, non è solo un capitolo di storia, ma è una
ferita eternamente aperta. Non è la drammatica vicenda di una famiglia.
È la definizione di nuovi equilibri e l’apertura di un dilemma, quello
del confronto fra aspirazione alla democrazia e ai diritti civili di
fronte al potere temporale della Chiesa cattolica.
Elèna Mortara Di Veroli, studiosa e docente di letteratura americana all’Università di Roma e discendente di Edgardo Mortara, ha
appena consegnato al suo editore statunitense, la prestigiosa Dartmouth
College Press, il manoscritto di un libro destinato a suscitare una forte emozione. In “Writing for Justice”, questo il titolo ancora provvisorio
dell’opera che sarà data alle stampe nei prossimi mesi, il caso Mortara
si stacca dal fatto di cronaca ormai lontano nel tempo ed entra in una
dimensione di viva e drammatica attualità, quella del dibattito storico
e culturale che sta alla base della conquista di una società plurale,
aperta e democratica.
Ma se il lavoro degli studiosi promette ulteriori sconvolgenti
rivelazioni su un caso che ha segnato la storia ebraica, la storia
dell’unità nazionale italiana e anche quella delle democrazie
occidentali, un nuovo colpo di scena, questa volta proveniente dal
mondo dello spettacolo, annuncia che la vicenda del bambino rapito sarà
il soggetto di un film che il regista Stephen Spielberg sta per mettere
in lavorazione. Questa volta sarà l’opera di un grande realizzatore a
mettere sotto gli occhi del grande pubblico una storia che ha segnato
l’ebraismo italiano.
La stessa professoressa Mortara rivela ora di aver lavorato a stretto
contatto con il celebre sceneggiatore di Spielberg Tony Kushner (ha già
firmato fra l’altro i magistrali testi che hanno fatto da base ai film
dedicati alla strage delle Olimpiadi di Monaco e a Lincoln) e con lo
storico David Kertzer, esperto di storia politica della Chiesa e autore
di molti studi dedicati al caso Mortara e ai rapporti fra la Chiesa e
il fascismo.
Un lavoro rigoroso e coraggioso, destinato a restituire all’ebraismo
italiano consapevolezza delle proprie ferite e delle proprie conquiste
e al mondo comprensione dei valori di rispetto e di dialogo che tutto
il paese civile, in questo 25 aprile, non può fare a meno di porre a
tutela del proprio futuro.
gv
(Nelle immagini "Il rapimento di Edgardo Mortara" di Moritz Oppenheim e la professoressa Eléna Mortara Di Veroli)
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cinema La grande sfida di Spielberg:
raccontare il dramma di Edgardo Il
prossimo film di Steven Spielberg sarà dedicato a uno dei casi più
drammatici della storia ebraica italiana, il rapimento del piccolo
Edgardo Mortara. La vicenda del bimbo ebreo sottratto con la forza alla
sua famiglia dalla Chiesa nel 1858 dopo un battesimo segreto da parte
della domestica, cresciuto da cattolico e infine divenuto prete, sarà
narrato dal regista in un adattamento per il grande schermo del libro
di David Kertzer intitolato The Kidnapping of Edgardo Mortara.
A firmare la sceneggiatura sarà Tony Kushner, già autore di Lincoln e
Munich mentre il film, che Spielberg produrrà e potrebbe anche dirigere
in prima persona, sarà frutto di una coproduzione DreamWorks-Weinstein.
Non è per ora nota la tempistica del progetto, ma secondo alcuni fonti
potrebbe non essere realizzato nell’immediato. In ogni caso Kushner
avrebbe appena dato mano allo screenplay.
La vicenda di Edgardo, così commovente, ricca di colpi di scena e di
implicazioni religiose e politiche, promette di appassionare gli
spettatori come d’altronde già il libro di Kertzer, pubblicato nel 1997
e finalista al National Book Award nellasezione non fiction.
“Una squadra di polizia, agli ordini dell’Inquisitore, invade la casa
del mercante ebreo Momolo Mortara, strappa dalle sue braccia il
figlioletto di sei anni che piange e lo trascina via su una carrozza
diretta a Roma. La madre sconvolta collassa e deve essere portata nella
casa del vicino, il suo pianto si sente in tutta la città”. Inizia così
l’appassionante ricostruzione del caso di Edgardo Mortara, pubblicata
in italiano da Rizzoli con il titolo di Prigioniero del papa re, che
David Kertzer dedica alla memoria del padre Morris.
Una dedica per nulla casuale, visto il suo affettuoso e mai dimenticato
legame con l’Italia ebraica. Il 22 gennaio 1944 il rabbino Morris
Kertzer era infatti fra i soldati del sesto Corpo d’armata americano
sbarcati sulla costa tra Anzio e Nettuno. Dopo settimane trascorse ad
assistere, unico cappellano ebreo in servizio, i soldati ebrei
nell’inferno che si scatena in quel tratto d’Italia il giovane rabbino
di Iowa City entra a Roma dove incontra il rabbino alloraalla guida
della Comunità ebraica romana, e con lui celebra lo Shabbat al Tempio
maggiore davanti a una folla di 4 mila persone.
David Kertzer, docente di scienze sociali alla Brown University, autore
del libro “I Papi contro gli Ebrei: il ruolo del Vaticano nell'ascesa
dell'antisemitismo moderno” (2001) e del volume “Il patto col diavolo –
Mussolini e papa Pio XI. Le relazioni segrete fra il Vaticano e
l’Italia fascista”, da poco pubblicato da Rizzoli, è considerato
l’esperto statunitense di maggior rilievo nella storia moderna delle
relazioni tra Vaticano e mondo ebraico.
Il film di Spielberg promette dunque di portare al grande pubblico una
vicenda dalle solide basi storiche che non mancherà di far discutere.
Edgardo Mortara fu rapito alla sua famiglia perché la domestica affermò
di averlo battezzato, in segreto, durante una grave malattia temendo
che morisse. Il bambino si ristabilì ma, quando la notizia del
battesimo giunse alle orecchie dell’Inquisizione, fu sequestrato e
inviato in un monastero per venire educato da cattolico.
Le conversioni forzate erano allora piuttosto diffuse in tutta Europa.
Ma i tempi stavano cambiando: la vicenda catturò l’attenzione
internazionale e contro il Vaticano si mobilitarono i Rothschild,
Napoleone III e perfino l’opinione pubblica americana. La sorte di
Edgardo divenne un simbolo della lotta del liberalismo risorgimentale
al potere pontificio e la storia. Gli sforzi della famiglia Mortara di
riguadagnare la custodia del figlio non ebbero però alcun esito.
Edgardo, cui si interessò personalmente papa Pio IX, rifiutò di tornare
con loro e da adulto venne ordinato prete nell’ordine degli Agostiniani
con il nome di Pio. Servì da missionario in Germania dove cercò di
dedicarsi alla conversione degli ebrei. Riavvicinatosi alla famiglia,
tentò, senza risultati, di convertire anche la madre e i fratelli.
Morirà a 88 anni, a Liegi, dopo anni trascorsi in monastero. Ironia
della sorte, proprio la sua storia fu uno dei principali elementi
opposti alla beatificazione di Pio IX avvenuta nel 2000.
Ma la storia di Edgardo Mortara non si esaurisce qui, perché solo pochi
mesi il suo nome è tornato ancora una volta alla ribalta della cronaca.
A metà dicembre è andato all’asta da Sotheby’s a New York il quadro,
intitolato “Il rapimento di Edgardo Mortara” e firmato da Moritz
Oppenheim (Hanau 1800, Francoforte 1882).
Ritrovata di recente in Inghilterra dopo una scomparsa durata oltre un
secolo, l’opera (in precedenza erano conosciuti soltanto i suoi lavori
preparatori) ritrae il momento in cui il bimbo viene sottratto a forza
dalla sua casa. Considerato il primo pittore ebreo dell’età moderna,
Oppenheim, che da giovane era stato in Italia e aveva visitato il
ghetto di Roma di cui conservò a lungo un ricordo indelebile, dipinse
la scena quattro anni dopo il rapimento da cui era rimasto molto
colpito.
Elèna Mortara Di Veroli, docente di Letteratura anglo-americana
all’Università di Roma Tor Vergata, discendente di Edgardo Mortara,
aveva chiesto il ritorno in Italia, auspicandone l’acquisto da parte
del Museo ebraico di Roma che però, nelle parole della direttrice
Alessandra Di Castro, non disponeva purtroppo dei fondi necessari
all’acquisizione. Il quadro è stato venduto a un collezionista privato
per 407 mila dollari. È l’ultimo colpo di scena di una storia intricata
e emozionante: una finale che da solo pare un film.
(Nell'immagine Steven Spielberg e Tony Kushner)
Daniela Gross
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25 aprile
"Libertà, il bene più prezioso"
In
occasione dei festeggiamenti per il 25 aprile il presidente dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:
"Non vi è bene più prezioso della libertà e del poterla praticare in un
contesto rispettoso di ogni singolo individuo qualunque sia il suo
credo, la sua provenienza, la sua pulsione ideologica.
È questo l'insegnamento che rinnoviamo ogni anno celebrando il 25
aprile. In tutte le piazze d'Italia, nelle istituzioni e nei luoghi che
sono deputati ad accogliere insegne che rimandano a un'epoca di scelte
coraggiose.
Oggi onoriamo i caduti e chi scelse di combattere per affrancare
l'Italia dal giogo di una terribile dittatura generata dall'asse tra
fascismo e nazismo. Una pagina di violenza democratica che vogliamo
consegnare alla Storia ma che è bene conoscere in ogni dettaglio
affinché, attraverso le generazioni, viva una piena consapevolezza dei
fatti accaduti e simili crimini non abbiano a ripetersi contro nessuno
e per nessun motivo.
La Liberazione ha tanti protagonisti: l'esercito alleato, le forze
partigiane, i singoli individui che agirono secondo coscienza. Tra le
tante azioni voglio qui ricordare, per lo straordinario messaggio che
questa vicenda ci offre, il contributo fondamentale arrivato da un
gruppo di volontari che scelsero di riscattare i loro fratelli
trucidati nella Shoah e dare vita a quella che sarebbe stata chiamata
la Brigata Ebraica. Giunti dall'allora Palestina sotto mandato
britannico, il futuro Stato di Israele, i soldati della Brigata si
resero protagonisti di molte azioni decisive come il primo sfondamento
della Linea Gotica a fianco della divisione Folgore e l'ingresso in
numerose località del Centro Italia.
Si tratta di una pagina di coraggio che ancora oggi pochi conoscono e
la cui memoria è stata non di rado insultata in questi anni da chi, in
malafede o per profonda ignoranza delle vicende storiche, vede nella
presenza della bandiera della Brigata ai principali cortei nazionali un
insopportabile provocazione politica.
L'auspicio è che da oggi si riesca finalmente a voltare pagina e che
queste odiose iniziative siano condannate e isolate dal resto dei
partecipanti. Chi offende la memoria della Brigata Ebraica offende
infatti la memoria dell'Italia intera e il terribile prezzo che questa
dovette pagare per abbattere la dittatura e ripristinare un corso di
normalità degli eventi che sarebbe stato consolidato in quel caposaldo
inalienabile di valori e diritti che è per tutti noi la Costituzione
repubblicana".
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25 aprile
In piazza con la Brigata Ebraica
Con
il 25 aprile in piazza anche le bandiere della Brigata Ebraica, il
corpo di soldati giunto dalla Palestina mandataria (il futuro Stato di
Israele) per liberare l'Italia dal nazifascismo. La chiamata delle
forze alleate fu accolta da migliaia di volontari che, dopo un periodo
di addestramento in Nord Africa, contribuirono in modo decisivo allo
sfondamento della Linea Gotica e all'apertura di fronti strategici in
tutto il Centro Italia.
A ricordare questa pagina di coraggio ancora poco conosciuta dal grande
pubblico sono stati i molti manifestanti ritrovatisi dietro alle
bandiere con la Stella di Davide nei più importanti cortei nazionali.
Da registrare anche alcuni tafferugli a Roma dove i sostenitori della
Brigata si sono scontrati con attivisti filo-palestinesi. Attimi di
tensione sono stati registrati in un primo momento in zona Colosseo e
successivamente a Porta San Paolo.
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qui torino
Il rapporto tra fratelli
Una
sala gremita ha accolto la lezione di rav Ariel Di Porto nelle sale
della Comunità ebraica di Torino. Diverse decine di iscritti hanno
infatti partecipato al primo incontro del ciclo “Rapporto con l'altro
alla luce dell'ebraismo”, iniziativa organizzata dal Gruppo di Studi
Ebraici. A inaugurare la serie di lezioni l'intervento di rav Di Porto
dal titolo Fratelli 1.0 e 2.0. L'evoluzione del rapporto tra fratelli
in alcuni passi della Torah, il tema dell'intervento del rav che si è
soffermato sui modelli conflittuali dovuti a diverse scale di valori
(come nel caso di Esaù e Giacobbe) così come a legami positivi come
quello tra Zevulun e Issachar: un modello di convivenza e rispetto
reciproco che - ha detto il rav - potrebbe costituire un buon esempio
per le nostre Comunità. Ad ascoltare le sue parole una sala partecipata
e attenta, con la presenza delle varie anime dell'ebraismo torinese.
“Rav Di Porto – spiega Tullio Levi del Gruppo di Studi Ebraici – ha
inaugurato una serie di incontri che avranno cadenza mensile incentrati
sul rapporto con l'altro. Il prossimo, ad esempio, sarà tenuto da rav
Roberto Della Rocca sul legame tra maestro e discepolo”.
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I cibi della libertà |
Pesach
– lo sperimentiamo tutti gli anni – arriva ben prima del 15 di Nissan:
entra nelle nostre vite poco a poco già settimane prima con le pulizie,
i pacchi di pasta da finire e non ricomprare, la casa e il frigorifero
che si svuotano per poi riempirsi di pacchi e pacchetti rigorosamente
sigillati, gli armadi già kasher da non confondere con quelli ancora da
kasherizzare. È difficile sostenere che tutte queste operazioni ci
facciano gustare in anticipo la liberazione imminente; casomai ci fanno
capire che il cammino verso la libertà è arduo e impegnativo.
Anna Segre, insegnante
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Il rispetto per lo Stato |
Nel
Pirkei Avot – il trattato mishnaico letto tradizionalmente nei sabati
dopo Pesach fino a Shavuot – si trovano alcuni insegnamenti che mettono
in guardia l'uomo dalle autorità e dallo Stato, come per esempio la
massima "Ama il lavoro, detesta l'atteggiamento di superiorità ed evita
relazioni con le autorità" (Avot, 1:10) oppure "State attenti
all'autorità governativa, perché non si accosta alla persona se non
quando ne ha bisogno per sé".
Francesco Moises Bassano, studente
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