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25 aprile 2014 - 25 Nissan 5774
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
“L’ebreo conta e computa. Conta giorni, settimane, anni, cicli di sette anni. L’ebreo conta sei giorni ogni settimana e quindi osserva lo Shabbat. L’ebreo computa quarantanove giorni, quindi sette settimane, durante il periodo del conteggio dell’Omer e conclude il contare con l’esistenza della festa di Shavuot. L’ebreo conta sei anni ed osserva al loro compimento l’anno di shemità. L’ebreo conta quarantanove anni e sette anni di shemità e quindi proclama l’anno del Giubileo.” Con queste parole il grande Rav Yosef Dov Solovietchik zl, chiamato semplicemente HaRav da migliaia di ebrei, scrisse l’incipit di uno dei suoi commenti al periodo del conteggio dell’Omer che è lo stesso periodo nel quale cade l’anniversario della sua morte.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Una scuola superiore mi invita a parlare di conflitto Israele-Palestina. Sono in quinta, si avvicinano alla maturità e vogliono sapere. Ascoltano e fanno domande. Molte domande. Alcuni hanno delle idee prefissate, prevalentemente orientate in senso filo palestinese, ma il clima che domina è quello dell’interrogazione: perché? chi? quando? Non sanno veramente nulla, ma sono sinceramente interessati e chiedono di informarsi.
 
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ROMA - Domenica alle 18.30, al Museo ebraico di Roma, presentazione del libro "I conti con la storia" (ed. Rizzoli) del giornalista e storico Paolo Mieli. L'ingresso all'evento potrà essere effettuato da via Catalana.

 
Temi e immagini
del pensiero ebraico
"Temi e immagini del pensiero ebraico”. Questo il titolo del ciclo di incontri ospitato presso la nuova sede della Biblioteca Universitaria di Genova, l’ex Hotel Colombia (luogo storico della città, che ospitò e fece cantare grandi nomi tra cui anche i Beatles). L'iniziativa è organizzata da Laura Mincer (Università di Genova) da Alberto Rizzerio (Centro Culturale Primo Levi) e Ilana Bahbout (DEC-UCEI).
 
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25 aprile, nelle piazze
con la Brigata Ebraica
“Sono da condannare nettamente le parole di Beppe Grillo quando associa gli ebrei alle lobby delle banche o fa un uso spregiudicato dei simboli della Shoah al pari di quelle forze xenofobe. Nonostante ciò sarebbe un errore associarlo alla ‘galassia nera’. Ma anche per questo saremo sempre vigili per arginare e denunciare in ogni sede qualunque espressione contraria ai valori dell’Italia antifascista. Nei giorni scorsi il presidente dell’UCEI Renzo Gattegna ha espresso in maniera netta i sentimenti della nostra base e delle nostre comunità. Nessuna esclusa. Rincuora, nello stesso tempo, aver letto i commenti di condanna alle parole di Beppe Grillo, arrivati anche dagli stessi militanti del Movimento 5 Stelle che sappiamo non includere nel loro dna sentimenti antisemiti o xenofobi”. Così il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici in un editoriale che appare sulla Stampa nostro giudizio sul M5S – sottolinea Pacifici – sarà solo sui singoli personaggi ed episodi e mai generalizzato al Movimento stesso, nonostante non ci sfugga l’esistenza di frange minoritarie che sul blog esprimono posizioni inquietanti. La speranza è che militanti e simpatizzanti grillini abbiano anticorpi più forti delle urla del loro leader”.  
 
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  davar
FRA STORIA E DRAMMATICA ATTUALITà
Nuova luce sul caso Mortara
Per rendere noto il suo lavoro ha atteso la mattina di questo 25 aprile. “Questo giorno – commenta oggi – denso di speranza e di significato, che segna la riconquista della libertà e della dignità per gli ebrei italiani e per tutti gli italiani, non è un episodio isolato, ma il culmine di un percorso difficile e doloroso nelle bimillenarie vicende degli ebrei italiani”.
Il caso Mortara, la vicenda del bimbo ebreo strappato con un pretesto alla sua famiglia e rapito nel 1858 a Bologna dai gendarmi dello Stato della Chiesa per poi essere nascosto in Vaticano ed educato a divenire un sacerdote cattolico, non è solo un capitolo di storia, ma è una ferita eternamente aperta. Non è la drammatica vicenda di una famiglia. È la definizione di nuovi equilibri e l’apertura di un dilemma, quello del confronto fra aspirazione alla democrazia e ai diritti civili di fronte al potere temporale della Chiesa cattolica.
Elèna Mortara Di Veroli, studiosa e docente di letteratura americana all’Università di Roma e discendente di Edgardo Mortara, ha appena consegnato al suo editore statunitense, la prestigiosa Dartmouth College Press, il manoscritto di un libro destinato a suscitare una forte emozione. In “Writing for Justice”, questo il titolo ancora provvisorio dell’opera che sarà data alle stampe nei prossimi mesi, il caso Mortara si stacca dal fatto di cronaca ormai lontano nel tempo ed entra in una dimensione di viva e drammatica attualità, quella del dibattito storico e culturale che sta alla base della conquista di una società plurale, aperta e democratica.
Ma se il lavoro degli studiosi promette ulteriori sconvolgenti rivelazioni su un caso che ha segnato la storia ebraica, la storia dell’unità nazionale italiana e anche quella delle democrazie occidentali, un nuovo colpo di scena, questa volta proveniente dal mondo dello spettacolo, annuncia che la vicenda del bambino rapito sarà il soggetto di un film che il regista Stephen Spielberg sta per mettere in lavorazione. Questa volta sarà l’opera di un grande realizzatore a mettere sotto gli occhi del grande pubblico una storia che ha segnato l’ebraismo italiano.
La stessa professoressa Mortara rivela ora di aver lavorato a stretto contatto con il celebre sceneggiatore di Spielberg Tony Kushner (ha già firmato fra l’altro i magistrali testi che hanno fatto da base ai film dedicati alla strage delle Olimpiadi di Monaco e a Lincoln) e con lo storico David Kertzer, esperto di storia politica della Chiesa e autore di molti studi dedicati al caso Mortara e ai rapporti fra la Chiesa e il fascismo.
Un lavoro rigoroso e coraggioso, destinato a restituire all’ebraismo italiano consapevolezza delle proprie ferite e delle proprie conquiste e al mondo comprensione dei valori di rispetto e di dialogo che tutto il paese civile, in questo 25 aprile, non può fare a meno di porre a tutela del proprio futuro.

gv

(Nelle immagini "I
l rapimento di Edgardo Mortara" di Moritz Oppenheim e la professoressa Eléna Mortara Di Veroli)
 
cinema
La grande sfida di Spielberg:

raccontare il dramma di Edgardo
Il prossimo film di Steven Spielberg sarà dedicato a uno dei casi più drammatici della storia ebraica italiana, il rapimento del piccolo Edgardo Mortara. La vicenda del bimbo ebreo sottratto con la forza alla sua famiglia dalla Chiesa nel 1858 dopo un battesimo segreto da parte della domestica, cresciuto da cattolico e infine divenuto prete, sarà narrato dal regista in un adattamento per il grande schermo del libro di David Kertzer intitolato The Kidnapping of Edgardo Mortara.
A firmare la sceneggiatura sarà Tony Kushner, già autore di Lincoln e Munich mentre il film, che Spielberg produrrà e potrebbe anche dirigere in prima persona, sarà frutto di una coproduzione DreamWorks-Weinstein. Non è per ora nota la tempistica del progetto, ma secondo alcuni fonti potrebbe non essere realizzato nell’immediato. In ogni caso Kushner avrebbe appena dato mano allo screenplay.
La vicenda di Edgardo, così commovente, ricca di colpi di scena e di implicazioni religiose e politiche, promette di appassionare gli spettatori come d’altronde già il libro di Kertzer, pubblicato nel 1997 e finalista al National Book Award nellasezione non fiction.
“Una squadra di polizia, agli ordini dell’Inquisitore, invade la casa del mercante ebreo Momolo Mortara, strappa dalle sue braccia il figlioletto di sei anni che piange e lo trascina via su una carrozza diretta a Roma. La madre sconvolta collassa e deve essere portata nella casa del vicino, il suo pianto si sente in tutta la città”. Inizia così l’appassionante ricostruzione del caso di Edgardo Mortara, pubblicata in italiano da Rizzoli con il titolo di Prigioniero del papa re, che David Kertzer dedica alla memoria del padre Morris.
Una dedica per nulla casuale, visto il suo affettuoso e mai dimenticato legame con l’Italia ebraica. Il 22 gennaio 1944 il rabbino Morris Kertzer era infatti fra i soldati del sesto Corpo d’armata americano sbarcati sulla costa tra Anzio e Nettuno. Dopo settimane trascorse ad assistere, unico cappellano ebreo in servizio, i soldati ebrei nell’inferno che si scatena in quel tratto d’Italia il giovane rabbino di Iowa City entra a Roma dove incontra il rabbino alloraalla guida della Comunità ebraica romana, e con lui celebra lo Shabbat al Tempio maggiore davanti a una folla di 4 mila persone.
David Kertzer, docente di scienze sociali alla Brown University, autore del libro “I Papi contro gli Ebrei: il ruolo del Vaticano nell'ascesa dell'antisemitismo moderno” (2001) e del volume “Il patto col diavolo – Mussolini e papa Pio XI. Le relazioni segrete fra il Vaticano e l’Italia fascista”, da poco pubblicato da Rizzoli, è considerato l’esperto statunitense di maggior rilievo nella storia moderna delle relazioni tra Vaticano e mondo ebraico.
Il film di Spielberg promette dunque di portare al grande pubblico una vicenda dalle solide basi storiche che non mancherà di far discutere. Edgardo Mortara fu rapito alla sua famiglia perché la domestica affermò di averlo battezzato, in segreto, durante una grave malattia temendo che morisse. Il bambino si ristabilì ma, quando la notizia del battesimo giunse alle orecchie dell’Inquisizione, fu sequestrato e inviato in un monastero per venire educato da cattolico.
Le conversioni forzate erano allora piuttosto diffuse in tutta Europa. Ma i tempi stavano cambiando: la vicenda catturò l’attenzione internazionale e contro il Vaticano si mobilitarono i Rothschild, Napoleone III e perfino l’opinione pubblica americana. La sorte di Edgardo divenne un simbolo della lotta del liberalismo risorgimentale al potere pontificio e la storia. Gli sforzi della famiglia Mortara di riguadagnare la custodia del figlio non ebbero però alcun esito. Edgardo, cui si interessò personalmente papa Pio IX, rifiutò di tornare con loro e da adulto venne ordinato prete nell’ordine degli Agostiniani con il nome di Pio. Servì da missionario in Germania dove cercò di dedicarsi alla conversione degli ebrei. Riavvicinatosi alla famiglia, tentò, senza risultati, di convertire anche la madre e i fratelli. Morirà a 88 anni, a Liegi, dopo anni trascorsi in monastero. Ironia della sorte, proprio la sua storia fu uno dei principali elementi opposti alla beatificazione di Pio IX avvenuta nel 2000.
Ma la storia di Edgardo Mortara non si esaurisce qui, perché solo pochi mesi il suo nome è tornato ancora una volta alla ribalta della cronaca. A metà dicembre è andato all’asta da Sotheby’s a New York il quadro, intitolato “Il rapimento di Edgardo Mortara” e firmato da Moritz Oppenheim (Hanau 1800, Francoforte 1882).
Ritrovata di recente in Inghilterra dopo una scomparsa durata oltre un secolo, l’opera (in precedenza erano conosciuti soltanto i suoi lavori preparatori) ritrae il momento in cui il bimbo viene sottratto a forza dalla sua casa. Considerato il primo pittore ebreo dell’età moderna, Oppenheim, che da giovane era stato in Italia e aveva visitato il ghetto di Roma di cui conservò a lungo un ricordo indelebile, dipinse la scena quattro anni dopo il rapimento da cui era rimasto molto colpito.
Elèna Mortara Di Veroli, docente di Letteratura anglo-americana all’Università di Roma Tor Vergata, discendente di Edgardo Mortara, aveva chiesto il ritorno in Italia, auspicandone l’acquisto da parte del Museo ebraico di Roma che però, nelle parole della direttrice Alessandra Di Castro, non disponeva purtroppo dei fondi necessari all’acquisizione. Il quadro è stato venduto a un collezionista privato per 407 mila dollari. È l’ultimo colpo di scena di una storia intricata e emozionante: una finale che da solo pare un film.


(Nell'immagine Steven Spielberg e Tony Kushner)

Daniela Gross
 
25 aprile 
"Libertà, il bene più prezioso"
In occasione dei festeggiamenti per il 25 aprile il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:

"Non vi è bene più prezioso della libertà e del poterla praticare in un contesto rispettoso di ogni singolo individuo qualunque sia il suo credo, la sua provenienza, la sua pulsione ideologica.
È questo l'insegnamento che rinnoviamo ogni anno celebrando il 25 aprile. In tutte le piazze d'Italia, nelle istituzioni e nei luoghi che sono deputati ad accogliere insegne che rimandano a un'epoca di scelte coraggiose.
Oggi onoriamo i caduti e chi scelse di combattere per affrancare l'Italia dal giogo di una terribile dittatura generata dall'asse tra fascismo e nazismo. Una pagina di violenza democratica che vogliamo consegnare alla Storia ma che è bene conoscere in ogni dettaglio affinché, attraverso le generazioni, viva una piena consapevolezza dei fatti accaduti e simili crimini non abbiano a ripetersi contro nessuno e per nessun motivo.
La Liberazione ha tanti protagonisti: l'esercito alleato, le forze partigiane, i singoli individui che agirono secondo coscienza. Tra le tante azioni voglio qui ricordare, per lo straordinario messaggio che questa vicenda ci offre, il contributo fondamentale arrivato da un gruppo di volontari che scelsero di riscattare i loro fratelli trucidati nella Shoah e dare vita a quella che sarebbe stata chiamata la Brigata Ebraica. Giunti dall'allora Palestina sotto mandato britannico, il futuro Stato di Israele, i soldati della Brigata si resero protagonisti di molte azioni decisive come il primo sfondamento della Linea Gotica a fianco della divisione Folgore e l'ingresso in numerose località del Centro Italia.
Si tratta di una pagina di coraggio che ancora oggi pochi conoscono e la cui memoria è stata non di rado insultata in questi anni da chi, in malafede o per profonda ignoranza delle vicende storiche, vede nella presenza della bandiera della Brigata ai principali cortei nazionali un insopportabile provocazione politica.
L'auspicio è che da oggi si riesca finalmente a voltare pagina e che queste odiose iniziative siano condannate e isolate dal resto dei partecipanti. Chi offende la memoria della Brigata Ebraica offende infatti la memoria dell'Italia intera e il terribile prezzo che questa dovette pagare per abbattere la dittatura e ripristinare un corso di normalità degli eventi che sarebbe stato consolidato in quel caposaldo inalienabile di valori e diritti che è per tutti noi la Costituzione repubblicana".

25 aprile
In piazza con la Brigata Ebraica 
Con il 25 aprile in piazza anche le bandiere della Brigata Ebraica, il corpo di soldati giunto dalla Palestina mandataria (il futuro Stato di Israele) per liberare l'Italia dal nazifascismo. La chiamata delle forze alleate fu accolta da migliaia di volontari che, dopo un periodo di addestramento in Nord Africa, contribuirono in modo decisivo allo sfondamento della Linea Gotica e all'apertura di fronti strategici in tutto il Centro Italia.
A ricordare questa pagina di coraggio ancora poco conosciuta dal grande pubblico sono stati i molti manifestanti ritrovatisi dietro alle bandiere con la Stella di Davide nei più importanti cortei nazionali. Da registrare anche alcuni tafferugli a Roma dove i sostenitori della Brigata si sono scontrati con attivisti filo-palestinesi. Attimi di tensione sono stati registrati in un primo momento in zona Colosseo e successivamente a Porta San Paolo.
qui milano
Disobbedienza civile e tradizione
Quando si pone il problema della disobbedienza civile? In che modo il concetto è presente nella tradizione ebraica? E quali sono le risposte elaborate dai Maestri? A interrogarsi su questi quesiti il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni a fianco del giudice Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, nella conferenza organizzata dall’associazione Kesher presso la Comunità ebraica di Milano.
A sottolineare l’attualità del tema e gli spunti offerti dal confronto tra due personalità dal retroterra differente, il rabbino e il giudice, è stato rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e guida di Kesher.
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qui torino
Il rapporto tra fratelli
Una sala gremita ha accolto la lezione di rav Ariel Di Porto nelle sale della Comunità ebraica di Torino. Diverse decine di iscritti hanno infatti partecipato al primo incontro del ciclo “Rapporto con l'altro alla luce dell'ebraismo”, iniziativa organizzata dal Gruppo di Studi Ebraici. A inaugurare la serie di lezioni l'intervento di rav Di Porto dal titolo Fratelli 1.0 e 2.0. L'evoluzione del rapporto tra fratelli in alcuni passi della Torah, il tema dell'intervento del rav che si è soffermato sui modelli conflittuali dovuti a diverse scale di valori (come nel caso di Esaù e Giacobbe) così come a legami positivi come quello tra Zevulun e Issachar: un modello di convivenza e rispetto reciproco che - ha detto il rav - potrebbe costituire un buon esempio per le nostre Comunità. Ad ascoltare le sue parole una sala partecipata e attenta, con la presenza delle varie anime dell'ebraismo torinese. “Rav Di Porto – spiega Tullio Levi del Gruppo di Studi Ebraici – ha inaugurato una serie di incontri che avranno cadenza mensile incentrati sul rapporto con l'altro. Il prossimo, ad esempio, sarà tenuto da rav Roberto Della Rocca sul legame tra maestro e discepolo”.

pilpul
I cibi della libertà
Pesach – lo sperimentiamo tutti gli anni – arriva ben prima del 15 di Nissan: entra nelle nostre vite poco a poco già settimane prima con le pulizie, i pacchi di pasta da finire e non ricomprare, la casa e il frigorifero che si svuotano per poi riempirsi di pacchi e pacchetti rigorosamente sigillati, gli armadi già kasher da non confondere con quelli ancora da kasherizzare. È difficile sostenere che tutte queste operazioni ci facciano gustare in anticipo la liberazione imminente; casomai ci fanno capire che il cammino verso la libertà è arduo e impegnativo.

Anna Segre, insegnante
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Il rispetto per lo Stato
Nel Pirkei Avot – il trattato mishnaico letto tradizionalmente nei sabati dopo Pesach fino a Shavuot – si trovano alcuni insegnamenti che mettono in guardia l'uomo dalle autorità e dallo Stato, come per esempio la massima "Ama il lavoro, detesta l'atteggiamento di superiorità ed evita relazioni con le autorità" (Avot, 1:10) oppure "State attenti all'autorità governativa, perché non si accosta alla persona se non quando ne ha bisogno per sé".

Francesco Moises Bassano, studente
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