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 15 Maggio 2018 - 1 Sivan 5778


alef/tav
Su Pagine Ebraiche 24, la Newsletter quotidiana di metà giornata, oggi i pensieri del rav Haim Korsia e di Dario Calimani. Nella sezione pilpul una riflessione di Tobia Zevi, Mario Avagliano ed Emanuele Calò.
 
 
 
Da Gerusalemme alla Striscia,
i festeggiamenti e le tensioni
L’inaugurazione dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme nel 70esimo anniversario dalla nascita dello Stato di Israele e le tensioni tra Striscia di Gaza e Stato ebraico, con diverse decine di morti tra i palestinesi che hanno provato a forzare il confine, sulle prime pagine di tutti i giornali italiani.
“Gaza, la rabbia e il sangue” titola il Corriere della sera. “Festa e sangue per l’ambasciata Usa a Gerusalemme” la scelta di Repubblica. “Hamas scatena la battaglia a Gaza. Raid e cecchini israeliani: 55 morti” scrive La Stampa.
Forti in genere le critiche alla reazione israeliana, nonostante il riconoscimento della provocatorietà dell’azione di Hamas. “Auguri allo Stato di Israele. Non abbiamo esitazioni nel sostenere il suo diritto alla sicurezza. Ma è risaputo che gli errori, soprattutto quando grondano sangue, possono rovinare le feste” scrive Franco Venturini sul Corriere.
Sempre al Corriere, lo scrittore Etgar Keret dice: “La cerimonia a Gerusalemme, con l’ambasciatore che dal palco dichiara ‘questo è il vero inizio del processo di pace’, mentre a Gaza cinquantacinque palestinesi vengono ammazzati negli scontri, dimostra quanto in questo Paese stiamo vivendo distaccati dalla realtà”.
Per il giornalista Yossi Klein Halevi, di cui è tradotto un intervento: “Israeliani e palestinesi sono invischiati in quello che potrebbe essere definito un ‘ciclo di negazione’ che ha definito la nostra comune esistenza sin dalla creazione di Israele 70 anni fa”.
Su Repubblica Bernardo Valli scrive: “Come i suoi predecessori Donald Trump poteva rinviare il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme, e comportarsi come quasi tutti gli altri paesi, mantenendola a Tel Aviv. Poteva insomma attendere un negoziato, anche se per la verità l’attesa dura da troppo tempo”.
In una cronaca da Gaza, in cui si definisce quanto avvenuto ieri una “carneficina”, si legge: “Alla sera i dimostranti abbandonano le aree della barriera e rientrano nelle varie città della Striscia sugli autobus messi a disposizione da Hamas. Tutti a casa per dormire. E oggi, dopo l’alba, si ricomincia”.
Molto duro anche Ugo Tramballi, sul Sole 24 Ore: “Se questo è un merito – l’incipit del suo editoriale odierno – il trasloco di Trump a Gerusalemme, il settimanale massacro lungo il reticolato di Gaza, la celebrazione dei 70 anni d’Israele e la speculare rievocazione dell’inizio dell’esilio palestinese, servono a una cosa: a ricordarci che il più antico e coriaceo conflitto del Medio Oriente esiste ancora”.
Rischio intensificazione della protesta? Non per Aaron David Miller, tra i massimi esperti di Medio Oriente e negoziatore di fama internazionale. “Se le violenze non registreranno un’ulteriore inasprimento oggi e non si allargheranno alla Cisgiordania e a Gerusalemme, la protesta si andrà spegnendo e questo passerà alla storia come uno dei tanti scontri sanguinari tra israeliani e palestinesi. Del resto – dice a La Stampa – le violenze sono una costante del confronto tra i due popoli”.
Dei 70 anni di Israele scrive anche Francesco Perfetti, sul Quotidiano Nazionale. Lo Stato ebraico viene definito “un sogno in guerra perenne contro terrore e antisemitismo”. A proposito del legame con gli Stati Uniti, riaffermato ieri con forza, viene detto: “Israele non può che festeggiare, in uno spirito di consolidata amicizia, l’avvenimento del 14 maggio. Anche se, oggi come settant’anni or sono, la festa viene rovinata dal sangue”.
“La giornata di ieri in Israele e Palestina è stata una delle più tristi di questo oramai pluridecennale conflitto tra i due popoli. Non perché la più sanguinosa, anche se sanguinosa è stata. Ma perché mai forse come ieri – sostiene Fabio Nicolucci sul Messaggero – è apparso evidente come le ragioni della pace siano, se non estinte, certo in profondissima crisi”.
Si concentra sulle parole di Netanyahu l’analisi di Fiamma Nirenstein sul Giornale: “Il suo discorso di due minuti – sottolinea – ha indicato il significato che il presidente vuole dare alla sua mossa: da una parte un segnale di amicizia immortale, di realizzazione dovuta di una promessa; dall’altra l’apertura di una fase in cui si renda possibile una pace coi palestinesi basata sulla realtà, e sui vantaggi di cui i palestinesi potrebbero godere”.
Mattia Ferraresi, sul Foglio, analizza le figure controverse dei due pastori intervenuti ieri alla cerimonia. “Ebrei, musulmani, cattolici e mormoni si sono trovati spesso dal lato sbagliato della sua urticante retorica” dice ad esempio del battista Robert Jeffress, che ha pronunciato l’invocazione iniziale.
“Brand Israel, che brutto compleanno festeggiare i primi settant’anni. E pensare che si era fatto di tutto per rinfrescarle il make-up” scrive Leonardo Coen sul Fatto Quotidiano. Ad essere citati il massiccio investimento per portare il Giro d’Italia a Gerusalemme, la vittoria di Netta Barzilai all’Eurovision, i significativi successi in campo tecnologico ed economico.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
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