Giorgio Mortara e il medico rabbino

E’ soddisfatto il dottor Giorgio Mortara, Presidente dell’AME Italia, associazione medica ebraica, nel trarre un bilancio delle due giornate di studio che hanno esplorato la figura del medico rabbino attraverso un viaggio che si è snodato nel corso dei secoli ed ha esaminato sia l’aspetto storico sia le varie implicazioni della bioetica attuale.
“Il Convegno è andato bene, per l’altissimo livello degli oratori, che hanno perfettamente centrato gli argomenti”. Rileva il medico.

Dottor Mortara quale è il rapporto fra la medicina e la Torà?
La posizione di privilegio goduta dalla medicina fra gli Ebrei nel corso delle generazioni ed in particolare la frequente associazione tra rabbinato ed esercizio della professione medica, sono prova obiettiva che il principio del potere espiatorio della sofferenza, pur accettato, è stato modificato sostanzialmente da un principio complementare secondo il quale la Torà autorizza il medico a curare, anzi gliene impone l’obbligo, essendo il medico un intermediario che agisce con l’aiuto di Dio per metterne in atto la volontà.
L’ebraismo, infatti, attribuisce uno straordinario valore alla vita.
Ne consegue che il Pikuach nèfesh, l’esigenza di salvare la vita umana, così come la tutela della salute, occupano un posto elevato nella scala dei valori della tradizione ebraica. Tali istanze sono anteposte a quasi tutte le norme e neutralizzano pressoché ogni divieto.

Cosa significa esattamente che il medico agisce per volontà di D-o?
La facoltà di guarire è attribuzione di Dio che la demanda al medico considerato come Suo rappresentante. L’azione del medico non può pertanto essere considerata come un’interferenza con la volontà di Dio; l’esercizio della medicina che si propone di guarire o di preservare la salute dell’uomo non è solo ammesso ma considerato come meritorio.

Anche il Presidente Ucei, Renzo Gattegna, nel suo discorso inaugurale ha citato il passo del Deuteronomio “Scegli la vita” per spiegare lo stretto rapporto fra la medicina e la religione lei come intende questo rapporto
Maimonide paragona i medici, guaritori del corpo, ai rabbini e ai saggi, guaritori dell’anima. In Italia, più che in qualunque altro paese, la medicina fu la professione che, dal Medioevo in epoca moderna, consentì agli ebrei di vivere in entrambi i mondi. Potevano essere rabbini e guide delle loro comunità e allo stesso tempo curatori di papi e re.

Il convegno ha avuto una sezione storica ed una sezione etica, in particolare nella sezione etica vi sono stati tre interventi che hanno affrontato argomenti di estrema attualità come l’etica dell’inizio e della fine della vita, ma anche le “regole” di comportamento del medico di fronte al malato
Si, perché è importante che in campo ebraico vengano elaborate delle linee guida comuni che risultino valide sia in Israele che nella diaspora con le quali partecipare al dibattito internazionale in atto su questi argomenti, perché se da un lato è importante sapere da dove veniamo altrettanto se non di più è sapere dove stiamo andando.

Si riferisce all’intervento del Dr. Ghesundheit sull’etica medica?
Non solo a quello, però non posso negarle che tengo molto ad un particolare aspetto sollevato dall’intervento del Dr. Ghesundheit che è quello della necessità per i futuri medici di seguire un corso di etica medica, che li guidi nel comportamento da assumere nei confronti del malato. Non intendo soltanto nelle situazioni drammatiche, ma anche nella quotidianità, per far fronte alle singole situazioni.
L’AME, l’associazione che rappresento, è particolarmente interessata all’etica medica ebraica, non dimentichiamoci che tre o quattro dei relatori intervenuti oggi, sono medici e rabbini. Io ritengo che, ad esempio, il Collegio Rabbinico possa offrire un significativo contributo in questo senso.

Un convegno, tanti interventi, quale è il bagaglio che porterà via da Roma, quali riflessioni e quali progetti
“Questo tipo di incontri è molto utile perché consente di fare il punto della situazione e di aprire il confronto, vi è stata fra il pubblico una componente non ebraica molto folta e interessata perché si sono aperti fronti di riflessione mai affrontati. Di progetti, come potrà rendersi conto, ne abbiamo molti, alcuni sono già trasparsi dalle cose che ci siamo detti. Il più immediato è la speranza di poter procedere alla pubblicazione degli atti del Convegno.

“Credo che la mia identità ebraica abbia favorito un rapporto corretto, paritario e a volte anche amichevole con il paziente/malato. Per me il malato deve essere trattato con dolcezza, ma con decisione deve essere stimolato a reagire”. Così Guido Coen, medico ortopedico romano, spiega il suo rapporto con il malato e con la malattia.
“Per la mia professione, con la malattia sono in contatto quotidianamente, e sono sempre disponibile a affrontarla con fermezza, utilizzando tutte le cure, anche quelle più nuove e sperimentali”.
Il dottor Coen, vicepresidente dell’Associazione medica ebraica Ame, è uno degli organizzatori assieme a Miriam Silvera, storica dell’Università di Tor Vergata a Roma e a Riccardo Di Segni rabbino capo di Roma, (nella veste di vicepresidente della Commissione Nazionale di Bioetica) del Convegno “Aspetti di Storia della Medicina Ebraica: La figura del medico-rabbino” (nell’immagine il celebre monumento spagnolo al Maimonide , prototipo del medico-rabbino) organizzato dal Centro Romano di Studi sull’Ebraismo della seconda Università di Roma e dall’AME con il contributo dell’Ospedale Israelitico e di Teva, azienda leader nel mercato del farmaco generico, nell’Aula Moscati della Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Tor Vergata a Roma.
“L’idea di esplorare la figura del medico-rabbino, è venuta molto tempo fa a Coen, osserva Miriam Silvera, ma ritengo che assuma un significato particolare in questi giorni di preparazione delle celebrazioni per 70 anni dalla promulgazione delle leggi razziste, per dimostrare quanto gli ebrei fossero inseriti nel tessuto sociale della nazione e quanto queste leggi siano state distruttive privando per un lungo periodo la collettività di un contributo tanto importante.
“Il fatto poi che sia intervenuto Mario Falconi, presidente dell’Ordine Provinciale dei Medici, aggiunge la Silvera, testimonia appunto che la Storia della Medicina Ebraica fa parte della Storia della Medicina”.
Una figura emblematica quella del medico- rabbino, che fin dai tempi più antichi ha dovuto conciliare la religiosità con la scientificità, visitandone le varie implicazioni alla luce delle posizioni correnti e della legislazione vigente: “Poter fare la Birkath Coanim e curare è di molta soddisfazione, osserva infatti Coen, certo le regole del Coen-medico sono in alcuni momenti molto ristrettive e a volte in contrasto con le leggi civili reggenti “.
I lavori delle giornate di studio prevedono due sezioni una storica ed una etica, che accoglieranno medici storici e religiosi di portata internazionale.
Nella sezione storica esperti come Roberto Bonfil, Giorgio Cosmacini, Giuseppe Veltri, Kenneth Stow ripercorrono le fasi della storia della medicina ebraica, soffermandosi su alcune figure interessanti come quella di Isacco Lampronti rabbino e medico nella Ferrara del ‘700, ricordato da Gianfranco Di Segni, ricercatore CNR e rabbino, o alcuni aspetti particolari come il rovesciamento dei rapporti sociali dell’epoca papalina, esaminati da Stefano Arieti, storico della medicina all’Università di Bologna, nella sua relazione sugli “Incontri irrituali: i pontefici e i medici ebrei”.
Nella sezione etica si affronteranno argomenti di rilievo e di particolare attualità la Bioetica degli stati iniziali della vita e quella degli stati terminali della vita con interventi di Riccardo Di Segni e Cesare Efrati, ma anche il rapporto fra Qabbalà ed etica esaminato da Gaviel Levi.
Infine Benjamin Gesundheit, del Hadassa University Hospital di Gerusalemme, esaminerà le ripercussioni etico-religiose del rapporto con il malato in un intervento dal titolo “Jewish Medical Ethical Syllabus”.

Lucilla Efrati