15/06/2009 – Relazioni del convegno di Ferrara 2008 – Dott. Giorgio Mortara

Anzitutto un ringraziamento alla FNOMCeO per averci coinvolto in questa sessione, in questo dibattito, in particolare al professor Panti con cui abbiamo già avuto occasione di dialogare.

L’Associazione Medica Ebraica ha la “mission” di contribuire alla diffusione e all’approfondimento della cultura ebraica etica nella società italiana e, quindi, partecipare e contribuire al dibattito in corso sui principali temi di bioetica. Questo è perseguito attraverso la promozione di incontri culturali e scientifici tra quanti hanno interessi nell’approfondimento della cultura e dell’etica ebraica in campo sanitario. In questo percorso è fondamentale agevolare i rapporti tra le associazioni e le istituzioni sanitarie in Italia, in Israele, in Europa e nel resto del mondo attraverso la partecipazione e l’organizzazione di convegni medici e di scambi culturali con particolare riguardo alla ricerca, alla bioetica, alla medicina sociale. Si è reso perciò necessario, anche nel nostro ambito, istituire una commissione di bioetica presieduta dal Rabbino dottor Riccardo Di Segni, che fa parte anche della Commissione Nazionale di Bioetica, per fornire un parere ebraico su questioni ed argomenti inerenti la professione medica.

Negli ultimi anni molte delle nostre attività sono state realizzate con la collaborazione degli ordini dei medici e delle facoltà di medicina e chirurgia, a cominciare dal primo convegno tenutosi a Milano sulla umanizzazione dell’ospedale nel 2003. Proprio qui a Ferrara c’è una lunga tradizione di approfondimento di tematiche relative all’area sanitaria, studi sfociati in convegni organizzati biennalmente dalla sezione locale Gruppo Maimonide, in collaborazione con l’Università e l’Ordine dei Medici. Ricordiamo gli ultimi sul disagio psichico e sulla fertilità in occasione del referendum del 2005. L’anno scorso a Bologna abbiamo tenuto un convegno sul trattamento biologico e recentemente a Roma a settembre, in collaborazione con l’Università di Tor Vergata, sulla figura del medico rabbino, con una sezione di bioetica sulle problematiche di inizio e fine vita, con la partecipazione del dottor Falcone, Presidente dell’Ordine dei Medici di Roma.

Prima di affrontare l’argomento specifico della deontologia di inizio vita, vorrei sottolineare alcuni aspetti particolari; essi riguardano un po’ le domande che mi vengono fatte quando si parla di etica ebraica e della posizione dell’ebraismo.

Esiste un punto di vista ebraico univoco? Per ebraico intendiamo conforme alla Halachà, la normativa della religione ebraica che è il risultato di riflessioni collettive dei maestri, talvolta conflittuali, non il dictat di un unico decisore. Una visione ebraica univoca attualmente non esiste, infatti, con la diaspora, con la distruzione del secondo tempio, non esiste all’interno del mondo ebraico un’autorità religiosa centrale, universalmente riconosciuta da tutti gli ebrei. Questo fatto per certi versi è un elemento positivo, infatti ogni singola comunità riconosce come vincolante per sé la propria autorità rabbinica, anche se ovviamente ci sono personalità importanti per cultura e prestigio che superano gli stessi ambiti della comunità di appartenenza.

La divergenza è maggiore per i problemi moderni, ovviamente, sorti in seguito alle conquiste della scienza e della tecnica, soprattutto in campo di bioetica. Ricordiamo inoltre, che la legge dello stato di Israele non segue necessariamente la normativa religiosa ebraica, anche se questa è tenuta sicuramente in considerazione. Negli ultimi anni i medici e rabbini stanno cercando di elaborare delle linee guida per quanto riguarda importanti problematiche quali trapianti e fine vita. Recentemente la Commissione Steinberg ha proposto dei modi di comportamento per le fasi terminali della vita che sono largamente accettate in Israele e nella diaspora.

Vediamo il tema odierno. L’ebraismo costituisce uno straordinario valore alla vita: “scegli la vita” (Deuteronomio 30:19). E’ l’imperativo della Torah dove ricorrono espressioni quali: “osserverete le mie leggi seguendo le quali l’uomo può vivere” (Levitico 184). Ne consegue che l’esigenza di salvare la vita umana, il Pikuach nèfesh, così come la tutela della salute, occupano un posto elevato nella scala dei valori della tradizione ebraica come in tante altre culture.

Tali istanze sono anteposte a quasi tutte le norme e neutralizzano pressoché ogni divieto. La peculiarità della medicina ebraica, fin dall’antichità, è dovuta a due fattori. Primo: non fa riferimento tanto alla religione, bensì alla religiosità intesa come legame tra uomini, in quanto carattere antropologico trasmissibile, come legame tra libertà personale e relazioni interpersonali, come già ribadito anche Cosmacini nel suo libro “Religiosità della medicina”.

Secondo: è considerato positivamente lo studio della natura, attraverso la scienza, in particolare la scienza medica, perché la conoscenza del creato serve meglio a conoscere e ad amare il creatore. Nel pensiero ebraico non esiste un’obiezione a priori sull’uso della tecnologia medica, né una distinzione tra ciò che potrebbe essere naturale e non naturale, cioè artificiale. Il concetto stesso di natura è estraneo all’ebraico biblico che lo sostituisce con quello di creato. L’uomo è considerato come un collaboratore del creatore nel controllo, nel mantenimento e nel miglioramento del creato.

E’ in questo contesto che si inserisce come un collaboratore specializzato al mantenimento della salute. Pertanto, non vi è un’opposizione di principio all’uso di tecniche nuove per risolvere i problemi che affliggono l’uomo (vedi l’uso delle cellule staminali). La ricerca scientifica non deve essere ostacolata invocando possibili abusi che possono derivare sul piano etico, sociologico e medico o politico, che hanno certamente una loro rilevanza, ma sono tenuti distinti dalla ricerca in quanto tale.

Approfondire la conoscenza della natura per il bene di coloro che soffrono di gravi malattie è un obbligo e nessuna barriera può essere eretta ad impedire la cura di queste malattie perché, in tal caso, la perdita sarebbe maggiore al beneficio.

Vorrei infine fare delle precisazioni su alcuni punti inseriti nella bozza del documento FNOMCeO presentato dal professor Panti il 19 giugno. Le considerazioni che porrò sono formulate nell’ambito della nostra commissione di bioetica. Per quanto riguarda la prescrizione del Levonorgestrel, inteso come farmaco che inibisce l’ovulazione secondo l’interpretazione più comunemente accettata, l’adozione di metodi anticoncezionali può essere ammessa in determinate circostanze e in tal caso l’impiego di farmaci inibitori l’ovulazione è preferibile rispetto ad altri sistemi.

Per quanto riguarda la diagnosi preimpianto, nella cornice di una procedura di fecondazione assistita ammessa, e non tutte lo possono essere, la diagnosi preimpianto è permessa se il suo scopo è quello di accertare malattie genetiche dell’embrione.

Sull’uso della RU486, in particolare, nelle situazioni in cui può essere consentito l’aborto, l’impiego di questo farmaco per la sua precocità di azione e per l’assenza di interventi meccanici è preferibile. Per quanto attiene ai neonati tra al ventiduesima e la venticinquesima settimana, se esiste la possibilità di vita autonoma del feto c’è l’obbligo di intervenire per salvaguardarla. Sul consenso da richiedere ai genitori, ammesso che ci sia il tempo di farlo visto che le decisioni devono essere spesso istantanee, è dubbio che sia determinante secondo la Halachà.

A questo proposito si richiama l’attenzione ad un recentissimo documento del Comitato Nazionale di Bioetica su questo argomento.

E’ da tenere presente che è fondamentale per l’ebraismo il rispetto della legge nello stato in cui noi viviamo, dinà le malchut dinà, purché garantisca la possibilità di mantenere la propria visione religiosa, non solo la nostra ma di tutti. Ed è anche per questo che noi siamo qui disposti a collaborare. La normativa ebraica specifica quali sono le condizioni in cui possono essere attuati i procedimenti contraccettivi, abortivi e la procreazione assistita. Data la complessità, la non unicità dei pareri, da un punto di vista halachico, chiedo al Rabbino Capo di Ferrara, Rav Luciano Caro, di esporre brevemente i principi informatori sulla posizione ebraica su questi argomenti.