19/11/2008 – Deontologia di inizio vita – Dr Giorgio Mortara

L’Associazione Medica Ebraica ha la mission di contribuire alla diffusione e approfondimento della cultura etica medica ebraica nella società italiana, ebraica e non. e quindi partecipare e contribuire al dibattito in corso sui principali temi di bio-etica.

Questo è perseguito attraverso la promozione di incontri culturali e scientifici tra quanti hanno interessi nell’approfondimento della tradizione, della cultura e dell’etica ebraica in campo sanitario.
In questo percorso è fondamentale agevolare i rapporti con le associazioni e le istituzioni sanitarie in Italia, in Israele, in Europa e nel resto del mondo attraverso la partecipazione e l’organizzazione di convegni medici e di scambi culturali con particolare riguardo alla ricerca, alla bio-etica e alla medicina sociale.
Si è reso, perciò, necessario istituire una commissione di bioetica presieduta dal Dr. Rav Riccardo Di Segni, attuale vicepresidente della commissione nazionale per fornire un parere ebraico su questioni e argomenti inerenti la professione medica.

Negli ultimi anni molte delle nostre attività sono state realizzate con la collaborazione degli Ordini dei Medici e delle facoltà di Medicina e Chirurgia a cominciare dal primo convegno tenutosi a Milano sulla Umanizzazione dell’Ospedale nel 2003.
Proprio qui a Ferrara c’è una lunga tradizione di approfondimento di tematiche relative all’ area sanitaria, studi sfociati in convegni organizzati biennalmente dalla sezione locale Gruppo Maimonide in collaborazione con l’Università e l’Ordine dei medici. Ricordiamo gli ultimi sul disagio psichico e e sulla fertilità in occasione del referendum del 2005. A Bologna sul testamento biologico nel novembre 2007 e recentemente a Roma a Settembre, in collaborazione con l’università di Tor Vergata, sulla figura del medico rabbino con una sezione di bioetica sulle problematiche di inizio e fine vita cui ha partecipato il dott. Falcone presidente dell’Ordine dei medici di Roma.
Prima di affrontare l’argomento specifico della deontologia di inizio vita vorrei sottolineare alcuni aspetti particolari.

Esiste un punto di vista ebraico univoco?
Per ebraico intendiamo conforme alla halakhà, la normativa religiosa ebraica che è il risultato di riflessioni collettive dei maestri, conflittuali talvolta, non il diktat di un unico decisore. Sempre in ammodernamento???

Una visione ebraica univoca attualmente non esiste. Infatti con l’inizio della diaspora, cioè l’insieme delle comunità ebraiche nel mondo, non esiste all’interno del mondo ebraico un’autorità religiosa centrale universalmente riconosciuta da tutti gli ebrei. Questo fatto per certi versi è un elemento positivo; infatti ogni singola comunità riconosce come vincolante per sé la propria autorità rabbinica, anche se, ovviamente, ci sono personalità importanti per cultura e prestigio che superano gli stretti ambiti delle comunità di appartenenza.
La divergenza è maggiore per i problemi moderni sorti inseguito alle conquiste della scienza e della tecnica soprattutto in campo della bioetica.
Ricordiamo inoltre che la legge dello stato di Israele non segue necessariamente la normativa religiosa ebraica, anche se questa è sicuramente tenuta in considerazione.
Negli ultimi anni i medici e i rabbini stanno cercando di elaborare delle linee guida per quanto riguarda importanti problematiche come quelle dei trapianti o della fine vita. Recentemente la commissione Steinberg ha proposto dei modi di comportamento per le fasi terminali della vita che sono largamente accettate in Israele e nella diaspora.

Venendo al tema odierno l’ebraismo, attribuisce uno straordinario valore alla vita.
“SCEGLI LA VITA” (Deut. XXX, 19) e’ l’imperativo della Torà dove ricorrono espressioni quali “OSSERVERETE LE MIE LEGGI…SEGUENDO LE QUALI L’UOMO PUO’ VIVERE” (Levitico XVIII, 5). Ne consegue che l’esigenza di salvare la vita umana, il Pikuach nèfesh, così come la tutela della salute, occupano un posto elevato nella scala dei valori della tradizione ebraica come di tante altre culture. Tali istanze sono anteposte a quasi tutte le norme e neutralizzano pressoché ogni divieto religioso.
La peculiarità della medicina ebraica fin dall’antichità è dovuta a due fattori:

primo – non fa riferimento tanto alla religione ma alla religiosità intesa come legame tra gli uomini in quanto carattere antropologico trasmissibile come legame tra libertà personale e relazione interpersonale, come ribadito nel suo recente libro “La religiosità della medicina” da Giorgio Cosmacini;
secondo – è considerato positivamente lo studio della natura attraverso la scienza, ed in particolare la scienza medica, perché la conoscenza del creato serve a meglio conoscere e amare il Creatore. Nel pensiero ebraico non esiste una obiezione a priori contro l’uso della tecnologia medica né una distinzione tra ciò che potrebbe essere naturale e non naturale cioè artificiale. Il concetto stesso di natura è estraneo all’ebraico biblico che lo sostituisce con quello di creato.
L’uomo è considerato come un collaboratore del Creatore nel controllo, nel mantenimento e nel miglioramento del creato. E in questo contesto si inserisce il medico come “collaboratore specializzato” al mantenimento della salute. Pertanto non vi è una opposizione di principio all’uso di tecniche nuove per risolvere i problemi che affliggono l’uomo (vedi uso di cellule staminali ecc.). La ricerca scientifica non deve essere ostacolata invocando possibili abusi che possono derivare sul piano etico, sociologico e politico, che hanno certamente la loro rilevanza, ma vanno tenuti distinti dalla ricerca in quanto tale. Approfondire la conoscenza della natura per il bene di coloro che soffrono di gravi malattie è un obbligo e nessuna barriera può essere eretta ad impedire la cura di queste malattie perché in tal caso, la perdita sarebbe maggiore del beneficio. Vorrei infine fare delle precisazioni su alcuni punti inseriti nella bozza del documento FNOMCeO presentato dal dott. Panti il 19 giugno scorso.

Le considerazioni che esporrò sono state formulate nell’ambito della nostra commissione di bioetica.

– Prescrizione del Levonorgestrel, inteso come farmaco che inibisce l’ovulazione (secondo l’interpretazione più comunemente accettata del suo ruolo):
L’adozione di metodi anticoncezionali può essere ammessa in determinate circostanze e, in tal caso, l’impiego di farmaci inibitori dell’ovulazione è preferibile rispetto ad altri sistemi.

Diagnosi preimpianto: nella cornice di una procedura di fecondazione assistita ammessa (non tutte lo possono essere) la diagnosi preimpianto è permessa se il suo scopo è quello di accertare malattie genetiche dell’embrione.

– Sull’ uso della RU 486 in particolare: nelle situazioni in cui può essere consentito l’aborto, l’impiego di questo farmaco, per la sua precocità di azione e per l’assenza di interventi meccanici, è preferibile.

Neonati vitali di età bassa(22-25 settimane):
Se esiste la possibilità di vita autonoma del feto c’è l’obbligo di intervenire per salvaguardarla. Sul consenso da richiedere ai genitori (ammesso che ci sia il tempo per farlo, le decisioni devono essere spesso istantanee) è dubbio che sia determinante secondo l’halakhà.
Si richiama l’attenzione, in particolare su questo punto controverso, su un documento recentissimo su questo argomento prodotto dal Comitato nazionale di Bioetica, reperibile sul sito del CNB.

La normativa ebraica specifica quali sono le condizioni in cui possono essere attuati i provvedimenti contraccettivi, abortivi e la procreazione assistita.
E’ da tenere presente che fondamentale per l’ebraismo è il rispetto della Legge dello Stato ”dinà le malchut dinà” in cui viviamo purchè garantisca la possibilità di mantenere la propria visione religiosa…..ed è anche per questo che siamo qui.

Data la complessità e la non univocità dei pareri da un punto di vista halahkico chiedo al rabbino capo di Ferrara, Rav Luciano Caro, di esporre brevemente i principi informatori della posizione ebraica su questi argomenti.