Ferrara, 15/11/2009. Bombardamento mediatico sui farmaci. Dr.ssa R. Supino
Stamattina il Prof Avato ha detto: “informare non è curare”. Grazie alle moderne tecnologie ed ai media, oggi comunicazione ed informazione hanno raggiunto una grandissima importanza.
Alla base del bombardamento mediatico sui farmaci c’è una mentalità che vede, nei fruitori del farmaco, non cittadini ma “consumatori”. Al giornalista, all’azienda non interessa aumentare la cultura del lettore interessa informare, fare colpo e interessa il consumo, ma non l’arricchimento culturale del cittadino.
A tale scopo le aziende, convincendo i medici, ricorrono ad alcuni “sotterfugi” tra i quali, ad esempio:
1. la trasformazione di fattori di rischio in malattia (l’osteopenìa che diventa pre-osteoporosi da trattare con un farmaco),
2. l’estensione dei confini delle malattie con nuove terminologie, che fanno di una sindrome una malattia (vedi i “Deficit Disorders”, l’”iperattività” dei bambini, le disfunzioni sessuali femminili e così via),
3. la riduzione a malattie di semplici disagi esistenziali, come la depressione o l’ansia di parlare in pubblico.
4. e che dire dei livelli fisiologici del colesterolo che continuano a cambiare?
Sono modifiche che avvengono con l’avvallo dei medici, ma su spinta dell’industria farmaceutica.
Quanto i medici sono condizionati e influenzati dal rappresentante e dall’industria? Vengono date loro delle informazioni sui farmaci non complete, manipolate e “abbellite”. Vengono spinte le specialità nuove, più costose e di cui si conosce relativamente poco soprattutto sugli effetti collaterali. Il medico ha poche possibilità di verificare. Le uniche fonti sono le riviste indipendenti che aderiscono alla International Drug Bulletin Association.
Molti medici non sono affatto consapevoli dell’influenza determinante che l’industria esercita sui singoli medici e sulle loro associazioni, sulle associazioni di malati, su su fino alle istituzioni di vigilanza, attraverso le più svariate modalità di promozione e di lobby.
Ricordiamoci che tutti i dati relativi alla ricerca ed allo sviluppo di un farmaco sono di proprietà dell’industria che comunica solo quelli che vuole.
D’altra parte i testi sui giornali sono molto spesso, anzi quasi sempre parziali, scorretti e fatti per attirare l’attenzione. Chi ne è responsabile? Il medico e/o il giornalista che non è preparato scientificamente, bisogna che il giornalista capisca il medico. Ma anche il medico ne è responsabile, perché non controlla il testo e perché dà messaggi forti al giornalista.
E poi quanto il paziente, vero o falso, viene influenzato dai media? Ci sono anche pazienti che si sentono malati, ma che malati non sono. In Europa la pubblicità sui giornali e alle televisioni è permessa solo per i farmaci da banco. Ma negli USA e in Canada c’è il “direct to consumer advertising” cioè attraverso i media possono essere pubblicizzati farmaci di prescrizione medica; conseguenza di ciò è che il paziente richiede al medico un farmaco specifico con il quale lui, influenzato dalla pubblicità, “decide” di essere curato. Qui il pericolo è grande: i pazienti vorrebbero curarsi da se, senza nessuna cognizione di causa, o, peggio ancora, con le informazioni di internet e sulla base delle informazioni pubblicitarie.
Facciamo degli esempi concreti ed attuali. La pandemia da virus A/H1N1: “Occorre molto buon senso e raziocino poiché,” sottolinea la SItI, “nella corretta gestione di una epidemia come questa bisogna prestare grande attenzione all’aspetto mediatico al fine di evitare reazioni ingiustificate di panico come sta avvenendo in questi giorni. Vanno bene i comunicati del Ministero – anche se forse la cadenza quotidiana è esagerata – ma ci vogliono anche quelli degli Assessorati regionali alla sanità e quelli dei Dipartimenti di prevenzione delle singole ASL che devono essere responsabilizzati a dare alla popolazione tutte le informazioni necessarie”. “In questo momento la vera emergenza pandemica riguarda la contraddittorietà delle informazioni e la differente tempistica regionale”. Questa influenza ha portato ad una altissima vendita di tachiflu: pazienza per le vendite, ma poi al primo raffreddore…giù tachiflu! E poi… ero pochi giorni fa all’Istituto Superiore di Sanità a Roma, dove ho visto bottiglie di amuchina appese ai muri di tutti i corridoi. A adesso ci dicono che basta lavarsi le mani con il sapone. Cosa c’è alla base di tutto ciò? La comunicazione!
Un altro esempio: la scoperta degli anti-angiogenetici, di nuove terapie del cancro, di geni coinvolti nel processo tumorale. Spesso ne parla il”Corriere della salute”, ma a cosa serve, poi cosa cambia? La qualità della vita? La sopravvivenza, si, ma di quanto? Come può il cittadino valutare l’informazione? E invece siamo al punto che i medici devono leggere il questi giornali per sapere cosa il paziente gli chiederà il giorno dopo. Questi giornali portano una buona informazione (per chi sa già), ma superficiale. Il paziente, o meglio il lettore, non può valutare se i suoi sintomi corrispondono a quelli descritti, se il farmaco fa al caso loro etc etc. E lo stesso si può dire per internet (la conoscenza della scienza “fai da te”) e per le enciclopedie mediche che comunque sono più controllate.
Il percorso del messaggio è: 1) Rivista internazionale con dati scientifici sperimentali, ripetibili e veri, 2) Lancet o Science con ancora dati scientifici, 3) risultati clinici (ma su quanti pazienti?), e da qui i giornalisti prendono la notizia e la lanciano ai e sui media. E i cittadini ovviamente leggono e capiscono in base agli strumenti che hanno.
Un altro esempio è la pubblicità della Roche affissa a dimensioni cubitali in tutta la città; essa promette terapie innovative e individuali. Cosa ne deduce il cittadino, magari già in crisi per una malattia grave?
Ancora un esempio della ricaduta dell’informazione mediatica: il “turismo staminale” che comprende la corsa alla conservazione del cordone ombelicale e la ricerca di strutture in paesi lontani che “curino” patologie gravi. Nessun giornale sottolinea che la conservazione del sangue del cordone ombelicale è già attiva in Italia, ed è pagato dalla ASL per malattie famigliari per le quali sia possibile un terapia con cellule staminali in tempi relativamente brevi. Per quanto riguarda le terapie di patologie gravi, raramente vengono date dalle statistiche che inducano il paziente a ragionare prima di intraprendere una avventura costosa e faticosa in paesi lontani.
Mi astengo poi dai commenti sul “bugiardino” che tutti i presenti ben conoscono.
Vorrei concludere richiamando sia i medici che i giornalisti alla responsabilità: il medico deve controllare il testo scritto dal giornalista, il ricercatore non si deve far prendere dagli entusiasmi sulle sue scoperte, e comunque tutti devono valutare la preparazione del giornalista ed adeguarsi a lui.
Nessuno poi ci parla di rispetto per gli altri e delle regole basilari dell’igiene, che sono la terapia più semplice ma, ahimè, troppo economica!