Ecco perché la patata ogm può essere kasher
rav Gianfranco Di Segni
Collegio rabbinico italiano
Istituto di biologia cellulare, CNR
Gli Ogm (organismi geneticamente modificati) pongono problemi dal punto di vista ebraico? Una possibile questione è di ordine teologico (ammesso che tale termine sia appropriato parlando di patate). Abbiamo noi il diritto di intervenire nella natura? In effetti, non ogni azione è lecita: la Torah proibisce una serie di “mescolanze” (kilàyim), come la creazione
di specie animali ibride (per esempio è vietato far accoppiare cavalle e asini per far nascere muli) o l’innesto di una pianta su un’altra di specie diversa. La Torah non spiega il significato di questi divieti, ma generalmente essi vengono interpretati come un’indicazione che non si debba sovvertire l’opera del Creatore. Sulla base di queste norme, c’è chi
ha voluto proibire l’ingegneria genetica quando è rivolta a produrre organismi transgenici, in cui un gene di un particolare organismo biologico viene inserito in un’altra specie.
Tuttavia, secondo la maggior parte dei decisori rabbinici, la produzione di Ogm non rientra nella proibizione del kilàyim. Dopo tutto, non tutte le mescolanze sono proibite, ma solo quelle esplicitamente indicate dalla Torah o dal Talmud.
Inoltre, negli Ogm non si “mescola” un organismo intero con un altro, ma ci si limita a prelevare una minima porzione del Dna di una specie per introdurla in un’altra, senza con ciò trasformarla in una specie diversa.
Un altro problema ipotizzabile è, visto che si parla di cibo, verificare se un organismo transgenico sia kasher o no. Facciamo l’esempio, molto noto, della pianta di fragola in cui sia stato inserito un gene derivante da un pesce (anche se si tratta più che altro di una leggenda metropolitana). Lo scopo sarebbe produrre delle fragole resistenti al freddo utilizzando geni di pesci del Mare artico. Se il pesce utilizzato non è kasher, ciò rende la fragola non più kasher? Pure in questo caso la risposta si basa sul fatto che la porzione di Dna del pesce introdotta in quello della fragola è minima.
Inoltre il Dna del pesce non viene introdotto direttamente nella pianta di fragola, ma viene prima trasferito in un batterio, che non pone alcun problema di kashrut. Infine, il gene del pesce non cambia essenzialmente la pianta. La fragola rimane fragola, non diventa pesce: non esiste affatto una fragola – pesce, benché i titoli scandalistici dei giornali l’abbiano così chiamata. La fragola Ogm sarebbe quindi kasher.
Se non ci sono problemi reali dal punto di vista teologico né della kashrut, possiamo dunque concludere che gli Ogm siano ebraicamente accettabili? In realtà, l’unico problema serio negli Ogm è la loro eventuale pericolosità. Secondo una precisa norma della Torah è vietato procurare un danno alla propria o altrui salute.
Se in base all’opinione degli esperti alcuni Ogm fossero dannosi per la salute, allora tali cibi – a prescindere
da qualsiasi considerazione sul loro essere specie ibride o altro – sarebbero vietati proprio in quanto dannosi. Ma la valutazione sui possibili pericoli derivanti dall’utilizzo degli Ogm, per i singoli individui o per l’habitat in cui viviamo, non può venire dai rabbini e dagli uomini di religione, ma dagli esperti, ossia gli scienziati e i medici. Come è
noto il dibattito è aperto, con opinioni a favore ed altre contro. È anche ovvio che tali esperti non devono essere collegati in alcun modo con le industrie e le multinazionali che producono Ogm, per evitare conflitti di interesse.
Una volta accertato che un particolare Ogm non comporta ragionevoli rischi per la salute o per l’ambiente, l’ottimizzazione di colture e prodotti tramite le biotecnologie, al fine di apportare un maggiore livello di elementi nutritivi, di minerali o vitamine, non solo sarebbe sicuramente un atto lecito dal punto di vista ebraico, ma verrebbe anche considerato come un adempimento a un precetto della Torah. Infatti, fornire gli alimenti a chi è affamato, come è il caso degli abitanti dei paesi del terzo e quarto mondo che hanno problemi di sovrappopolazione e di carenza di cibo, è considerato un dovere religioso e morale della massima importanza.