Il labirinto di carta, di Anna Maria Habermann
Se il ricordo è un magnifico dono.
La guerra, l’Ungheria, la fuga. E poi una congiura del silenzio e gli enigmi di famiglia. Pianista e medico, l’autrice ricostruisce una vicenda toccante (di Fiona Diwan)
Milano 1984. Alla morte dei genitori, una donna scopre, nascosti in uno stipo celato nel doppiofondo della cassaforte, documenti e fotografie che le rivelano il segreto della doppia esistenza dei genitori. Una congiura del silenzio che la lascia tramortita.
Ungheria, 1934. Tutto comincia qui. C’è un’altra donna, che è stata la prima moglie del papà, un fratello sconosciuto, la guerra, i convogli, il tradimento e le persecuzioni. E mai una parola su tutto questo: perché
escludermi dal passato, si chiede la protagonista?
E mentre si interroga su tanto silenzio, improvvisamente ricorda le frasi sospese, gli argomenti tabù, l’aria di mistero intorno a discorsi interrotti. E su tutto questo la tragedia dell’ebraismo ungherese, quella che farà dire al padre, “Io in quel paese di morti non ci metterò più piede”! Da qui prende il via un appassionante viaggio a ritroso alla ricerca degli enigmi e delle verità nascoste del passato. E la scoperta che la memoria, anche se dolorosa, può essere un grande dono. Scritto in maniera magistrale, pieno di colpi di scena e di poesia, con una struggente galleria di ritratti, Anna Maria Habermann riesce in un sol colpo a scendere nelle segrete delle proprie memorie familiari, raccontando una storia che ci cattura e ci riempie di meraviglia.
Un libro che per struttura e poesia, ricorda Gli scomparsi di Daniel Mendhelsson.