Insieme per prenderci cura
Assistenza e religione. Professioni sanitarie a confronto per rispondere ai bisogni spirituali dei pazienti
Presentata a Milano la seconda fase di Prenderci Cura, il ciclo di incontri organizzati dalla Biblioteca Ambrosiana, l’Ipasvi, la Fnomceo Milano e le realtà rappresentative di tre religioni (cattolicesimo, ebraismo, islam) per riflettere sull’importanza di assistere i malati rispettando la loro fede e i loro bisogni spirituali.
10 OTT – “Insieme per prenderci cura, non è uno slogan ma una visione nuova della cura e dell’assistenza, che tenga in considerazione l’individuo nella sua globalità, a partire dalla sua fede, dal suo vissuto, dalle sue convinzioni”. Partendo da questo presupposto alcune istituzioni accademiche, medico-ospedaliere e religiose (ossia Biblioteca Ambrosiana, Associazione Medica Ebraica, CO.RE.IS Italiana, Ordine degli infermieri Collegio IPASVI Milano-Lodi-Monza e Brianza e Fondazione Ca’ Granda) hanno attivato una collaborazione volta ad offrire ai professionisti della salute un percorso formativo che diviene inevitabilmente anche occasione di confronto.
“Medici e operatori sanitari si trovano oggi di fronte a nuove sfide deontologiche ed etiche, che coinvolgono malati di differenti etnie, lingue, culture e religioni. I cambiamenti in atto nella società multiculturale e multietnica (e qui il riferimento non può che andare anche alle conseguenze della recente ondata migratoria) sollecitano risposte nuove”, spiegano i promotori dell’iniziativa, che si sono incontrati venerdì scorso per inaugurare la seconda fase di questo percorso, iniziato lo scorso aprile e che si concluderà il 12 maggio 2016, in occasione della giornata internazionale dell’infermiere.
Esponenti medici e infermieristici e rappresentanti delle tre religioni monoteiste (Islam, Cristianesimo, Ebraismo) si sono interrogati e si interrogheranno sui grandi quesiti dell’uomo, dalle questioni di inizio vita alle nuove possibilità diagnostico-terapeutico assistenziali, dall’umanizzazione delle cure alla bioetica, passando per molti altri aspetti rilevanti, in un progetto d’ampio respiro.
“È necessario – ha spiegato Giorgio Mortara, Presidente AME (Associazione Medica Ebraica) – individuare e discutere i dilemmi e le problematiche che coinvolgono e che turbano le diverse figure professionali nello svolgimento del loro lavoro (ginecologi, neonatologi, ostetriche, infermieri, anestesisti, oncologi, terapisti del dolore) e confrontarle con le posizioni che le religioni hanno riguardo alle problematiche della salute, della malattia, della vita e della morte in modo da elaborare un processo di cura che tenga conto della dimensione spirituale e culturale della persona assistita. Questo corso va nella direzione auspicata dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini che nel recente convegno “Europa e cultura europea. Le religioni come sistemi educativi” ha annunciato la creazione di una Commissione sul pluralismo religioso composta da esperti di diversa estrazione, colmando in tal modo una carenza grave nell’ambito dell’istruzione superiore italiana”.
In tal senso il corso è anche un percorso di crescita e confronto, con l’intervento di esponenti delle chiese cristiane e di altre religioni fra cui l’Induismo e il Buddismo. Un percorso che vuole offrire, oltre a una riflessione sulle principali criticità attuali (ad esempio l’impossibilità di disporre di luoghi di culto in ospedale, la difficoltà ad avere menù adeguati, la limitata presenza di spazi per la preghiera), anche una serie di risposte ai dilemmi di fronte ai quali gli operatori si trovano quotidianamente allorché vogliano dare una risposta ai bisogni, materiali e non, della persona in una visione olistica.
“Come infermieri – ha affermato il presidente dell’ordine degli Infermieri Collegio IPASVI Milano-Lodi-Monza e Brianza Giovanni Muttillo – vogliamo offrire un’assistenza che ponga al centro la persona e le sue esigenze, nel pieno rispetto delle sue abitudini e delle sue convinzioni religiose. Ciò è possibile solo a partire dalla conoscenza delle diverse fedi, che si trasforma in dialogo, che si trasforma in rispetto. Il senso del percorso “Insieme per prenderci cura” è quindi questo: offrire ai professionisti della salute l’occasione per conoscere appieno il mondo e la spiritualità delle persone che assistiamo, per offrire una risposta adeguata, appropriata, rispettosa dell’individuo e della sua comunità. L’infermiere è un soggetto attivo, che agisce in prima persona con autonomia di scelta e responsabilità entro una cornice valoriale in cui il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale per assistere e perseguire la salute intesa come bene fondamentale del singolo e interesse peculiare della collettività. Un bene da tutelare in ogni ambito professionale attraverso attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palli azione”.
Un punto di vista condiviso anche dalla professione medica, come spiegato Alberto Scanni, Consigliere O.M.C.e.O (Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri) della provincia di Milano: “Ritengo che soprattutto per un medico sia indispensabile l’esperienza che stiamo proponendo. L’umanità della nostra professione si sostanzia in un’offerta assistenziale che tiene conto delle varie identità presenti nella nostra società. Le diverse realtà spirituali devono diventare patrimonio indispensabile di una buona medicina che si prenda cura dell’Uomo, indipendentemente da censo, etnia e religione. Questo progetto vuole gettare un seme fecondo in questo sentiero”.
Ciò in quanto, spiegano i promotori, “è fondamentale riflettere sul fondamento etico che sostiene qualsiasi scelta di cura, sia attiva che passiva, e sulle sue motivazioni più profonde, siano esse di tipo personale o comunitario, ideale o spirituale, religioso o civile, scientifico o umanistico. Il modo stesso con il quale il malato e il curante interagiscono, risulta infatti determinato anche da convinzioni valoriali, che possono contribuire positivamente al migliore esito di qualunque intervento, o viceversa risultare negative in ordine alla sua piena efficacia”.
“L’assunzione di responsabilità – ha detto ancora Muttillo – pone l’infermiere in una condizione di costante impegno: quando assiste, quando cura e si prende cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo; quando si richiama ai principi di equità e giustizia nell’assumere decisioni organizzativo gestionali, quando rispetta i valori etici, religiosi e culturali oltre che il genere e le condizioni sociali della persona/assistito nell’assumere decisioni assistenziali. Abbiamo tre parole chiave in tal senso: ricerca, cura e assistenza. La mission primaria dell’infermiere è il prendersi cura della persona che assiste in logica olistica, considerando le sue relazioni sociali e il contesto ambientale, nonché la comunità di riferimento. Il prendersi cura è agito attraverso la strutturazione di una relazione empatica e fiduciaria soprattutto quando l’assistito vive momenti difficili, diviene “più fragile” e perciò ancora più bisognoso di aiuto e sostegno”.
Aspetti psicologici, convinzioni di fede, esperienze cliniche possono, insieme, produrre una sommatoria che converge al benessere della persona sofferente e malata, nel pieno rispetto della sua dignità. Un concetto su cui le diverse religioni concordano, come ha sostenuto Shaykh ‘Abd al-Wahid Felice Pallavicini, Presidente della COREIS (Comunità Religiosa Islamica Italiana): “Salute e salvezza sono aspetti legati tra loro e al destino dell’uomo e della donna. Infatti, la ricerca della salute scollegata da una prospettiva spirituale porta all’illusione di una vita eterna in questo mondo. Mentre la ricerca della salvezza senza il sostegno della salute porta a misconoscere i mezzi che Dio ci ha donato per adorarLo in questa vita, in vista dell’altra. Riscoprire le radici spirituali di Ebraismo, Cristianesimo e Islam significa anche essere disposti a vedere se stessi e la vita in più dimensioni integrate nell’Unità di Dio”.
“Il dovere per il malato di curarsi – ha aggiunto Chiara Ferrero, Presidente ISA (Interreligious Studies Academy) – rappresenta un cardine anche nella tradizione islamica che invita a tutelare la salute come dono e responsabilità. Il corso “Insieme per prenderci cura” è un’occasione per i docenti musulmani e i rappresentanti religiosi di ribadire il valore della vita, propria e altrui, in tutti i suoi aspetti insieme alla necessità di una maggior conoscenza reciproca e dialogo nella società contemporanea”.
Il punto di partenza del percorso formativo è dato da una prospettiva clinica, che vede medici e infermieri interrogarsi sulle risposte più adeguate da offrire al paziente, nel rispetto della sua identità spirituale. Come comunicare?, quali sono le modalità di accoglienza più reciprocamente rispettose delle culture da cui provengono?, come le tradizioni religiose interagiscono nell’assistenza alla persona malata nel contesto socio-sanitario e ospedaliero?, come soddisfare le esigenze alimentari-religiose del malato in ambiente ospedaliero?; sono queste le domande della quotidianità di chi cura e assiste.
Ma non solo: a partire da questa prospettiva, che ha un occhio puntato verso l’operatività, ci si sposta in un’altra dimensione in cui le religioni possono aprirsi a un confronto franco, trasparente, costruttivo basato sul rispetto e la collaborazione: “C’interroghiamo – ha affermato monsignor Pier Francesco Fumagalli, Vice Prefetto della Biblioteca Ambrosiana – su come possiamo, insieme eppur diversi per convinzioni ideali e religiose, “prenderci cura” di chi vive un’esperienza di dolore, nel rispetto delle differenti identità e convinzioni profonde di ciascuno. La donna e l’uomo, il bambino e l’anziano, con la loro domanda di benessere e di salute posta in questione dalla malattia e dalla sofferenza, sono al centro del nostro comune interesse verso di loro”.
Per i promotori dell’iniziativa è dunque questa “una solida base per sostenere una corretta azione di cura e di assistenza, rispettosa della persona nella sua individualità, nella sua unità, nella sua umanità. Già in una bellissima lettera del 1873 – ricordano i promotori in una nota -, se sostituiamo al termine “religione” il termine più generico di “spiritualità”, Florence Nightingale rispondeva a tutte le istanza sollevate dai nostri seminari: “La vita, e specialmente la vita ospitaliera, è una cosa insipida senza un profondo senso [spirituale]. La nostra esperienza ci dice come, anche le cose migliori, quelle che sembrerebbe dovessero sempre commuoverci, induriscono il nostro cuore se non sono usate rettamente. Io mi sono fatta la convinzione che nulla vale imparare ad assistere gli infermi, se non si impara ad assisterli con il proprio cervello e col proprio cuore e che quindi, se non abbiamo una [spiritualità] veramente sentita, la vita ospitaliera diventa un insieme di manualità compiute per abitudine e che inaridiscono mente e cuore… Vi sono degli elementi spirituali che dobbiamo possedere se vogliamo impedire questa degenerazione e dobbiamo anzi chiedere a noi stesse, se essi sono in noi in aumento o in decrescenza”, (F. Nightingale, Lettere alle infermiere, a cura della CNAIOSS,