Marcello Foa a Pagine Ebraiche
“Rai, adesso si cambia”

Gli è stata affidata la guida di un gigante difficile come la Rai, ma il suo primo amore resta la carta stampata. Forse anche per questo, nonostante le responsabilità enormi che si è appena assunto, Marcello Foa, da poco insediato alla presidenza dell’ente televisivo, trova il tempo per ricevere in amicizia Pagine Ebraiche al settimo piano del quartier generale di viale Mazzini. Per il giornale dell’ebraismo italiano è uno scambio di vedute e un incontro fra colleghi giornalisti molto importante.
Una mattina di primavera di dieci anni fa Guido Vitale, direttore della Comunicazione e della redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche, passa i controlli di sicurezza all’aeroporto della Malpensa e raggiunge un gruppo di viaggiatori in attesa di imbarcarsi sul volo ElAl per Tel Aviv. Non ha un biglietto in tasca, ma sotto il braccio porta all’appuntamento improvvisato un voluminoso fascio di fogli, la prima prova e il numero zero di Pagine Ebraiche. A esaminare le bozze un vecchio amico che è anche il giudice più implacabile e autorevole, il politologo e diplomatico Vittorio Dan Segre. In una recente lezione all’Università di Firenze dedicata a Segre, Vitale ha ricordato le parole del grande ebreo piemontese che fu fra i protagonisti della nascita di Israele. “Congratulazioni – commentò Segre – avete rimesso in piedi un cadavere”. Pagine Ebraiche è nato allora, in quell’incontro fulmineo alle prime luci dell’alba. E accanto a Segre, in attesa di partire per Israele, c’è un altro giornalista e un altro amico: Marcello Foa.
Negli anni che ci separano da quell’incontro il giornale dell’ebraismo italiano è cresciuto. E Foa ha lasciato la guida degli Esteri del Giornale, si è occupato dell’autorevole Gruppo elvetico Corriere del Ticino, infine gli è stata affidata la guida dell’emittenza pubblica.
“Su di me – si confida – in queste settimane è stato scritto di tutto e spesso con una violenza verbale che altri con spalle meno larghe delle mie non avrebbero saputo affrontare. Sono stato dipinto come un mostro. Si è voluta attaccare e distruggere la mia reputazione per via di alcuni tweet. Chi mi conosce sa quanto ciò che è stato raccontato sia lontano dalla realtà. E quanto io ponga al centro di tutto la dignità e il rispetto della persona, qualunque sia la sua opinione. Una lezione che ho appreso anche del ramo ebraico della mia famiglia, storicamente radicato in Piemonte. Origini in cui mi riconosco e di cui vado orgoglioso”.
Il nuovo presidente della Rai ci apre le porte del suo ufficio. Polemiche e conflittualità legate alla nomina restano fuori dalla conversazione.
“Sono un giornalista fuori dagli schemi, non allineato politicamente” afferma Foa. “Certamente – riprende poi – lo scopo che andrà perseguito per la Rai dovrà essere in linea con le aspettative qualitative e professionali riposte in me. Però, a prescindere dagli orientamenti dei singoli, posso garantire che mi farò garante di un impegno: promuovere meritocrazia e rinnovamento. La Rai è un’azienda che può e deve dare molto di più al paese, di cui è una delle sue più alte espressioni”.
Una delle prime occasioni pubbliche per parlarne sarà in Israele, il 16 ottobre prossimo, all’Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv dove terrà una conferenza su “Manipolazione dei media e fake news”. La sua prima conferenza all’estero da quando è presidente Rai.
È un invito che mi è arrivato prima della nomina e congiuntamente dall’ambasciata italiana e da quella svizzera. Sarà una relazione su temi che mi sono cari e di cui ho scritto anche nei miei libri. Parlarne in Israele, paese cui sono legato da straordinari incontri e personaggi, lo considero un po’ un segno del destino. Ci sono stato diverse volte da giornalista, avendo tra l’altro l’opportunità di intervistare Yitzhak Rabin a poche settimane dall’attentato in cui rimase ucciso. Con me c’era Simonetta Della Seta, all’epoca corrispondente del Giornale. Israele, comunque, per me è soprattutto Vittorio Dan Segre. Una firma indimenticabile, ma anche e soprattutto una persona dall’umanità e dalla spiritualità profonde. Tra noi c’è stata un’amicizia intensa.
Nata esattamente quando?
Ai tempi in cui al Giornale fui nominato vicecapo e poi capo degli Esteri. Vittorio Dan Segre era il nostro analista di punta. Io avevo meno di 30 anni, lui viaggiava verso i 70. Diventammo come fratelli. Fino all’ultimo il nostro percorso comune è stato molto bello, da un punto di vista professionale ma non solo. È stato lui infatti a introdurmi allo studio della Kabbalah, in cui trovava un appagamento e una risposta ai suoi dilemmi interiori. Ed è stato grazie a lui, ai suoi scritti ma anche a quelle indelebili conversazioni, che mi sono avvicinato ancora di più alla realtà di Israele. È stata una gran fortuna poter condividere i momenti salienti della storia di questo giovane Stato attraverso la testimonianza di un suo protagonista.
È stata anche un’occasione per approfondire la radice ebraica della sua famiglia?
Certamente: è un qualcosa che sento e sempre sentirò come parte della mia vita pur non essendo io ebreo. La famiglia, nelle generazioni precedenti, orbitava principalmente a Cuneo. Fu il bisnonno, approfittando di un salvacondotto concesso dall’Impero Ottomano, a recarsi in Egitto. Lì nacque mio nonno, lui sì ebreo, cui fu dato il nome celebrativo di Egizio. E in Egitto sono nati anche i miei genitori. Sotto Nasser, in un clima di odio crescente, fu presa la decisione di tornare in Italia. Una decisione purtroppo inevitabile.
Oltre agli scritti di Dan Segre quale altra lettura l’ha influenzata?
Ho sempre letto molto, sia su Israele che su temi ebraici. E appena avrò completato il trasloco penso che in quest’ufficio se ne avrà un segno evidente. Comunque, a parte i tre grandi classici Yehoshua, Oz e Grossman, ho sempre cercato di mettere a fuoco una figura per me fondamentale come quella di David Ben Gurion. L’esperienza del mio amico Vittorio Dan, che al suo fianco ha condiviso momenti e decisioni epocali, è stata un arricchimento decisivo. Israele ha in me un amico sincero e consapevole. E sincero proprio perché consapevole del suo ruolo e della sua specificità.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(L’intervista integrale sarà pubblicata su Pagine Ebraiche di novembre)
(10 ottobre 2018)