La lezione di Gillo Dorfles

Schermata 2019-03-12 alle 14.08.33Il 2 marzo 2018 moriva a Milano Gillo Dorfles, uno degli intellettuali italiani di maggiore spicco del Novecento. Pittore, critico d’arte, docente di estetica alle università di Trieste e Milano, la sua formazione intellettuale era stata fortemente condizionata dall’ambiente culturale della borghesia ebraica triestina e nel 1948 fu tra i fondatori del Movimento per l’arte concreta insieme a Bruno Munari. Dorfles è scomparso all’età di 107, dimostrando “il suo essere eccezionale anche nella longevità”, ha sottolineato l’amica di una vita Lea Vergine, critica d’arte e curatrice italiana, nell’appuntamento che la Fondazione Corriere della Sera ha dedicato a Milano in ricordo del Maestro. Con lei sul palco, l’architetto Stefano Boeri, il filosofo Massimo Cacciari, lo storico Aldo Colonetti e il critico dell’arte Luigi Sansone. “Dorfles ci ha educato ad avere un atteggiamento critico nei confronti della moda, del moderno, del contemporaneo”, ha sottolineato Cacciari, spiegando l’importanza del Maestro sulla cultura italiana. Cacciari ha poi ricordato come Dorfles ci avesse messo in guardia dall’“universale mercificazione delle cose” che rischia di “far perdere la propria soggettività”. Un concetto che lo stesso Dorfles aveva espresso in un’intervista rilasciata a Pagine Ebraiche. “In un certo senso – spiegava il Maestro a Daniela Gross parlando della moda attuale – l’individualismo è azzerato: tutti vogliono gli stessi jeans, la stessa maglia, il piercing, l’orecchino o i tatuaggi. Ma non direi che andiamo verso il peggio: la moda italiana versa ancora in ottime condizioni”. Nella stessa intervista, si ricordava il rapporto con il mondo ebraico, in particolare triestino. “Frequentavo molti personaggi legati alla Trieste ebraica, a quel tempo molto importante dal punto di vista culturale. Ricordo Italo Svevo, Umberto Saba e quel grande intellettuale che fu Bobi Bazlen, amico che continuai poi a vedere anche negli anni milanesi. A Trieste il mondo ebraico conviveva con la comunità greca, con quella serbo ortodossa e slovena e proprio questa diversità di radici e di culture era all’origine delle fortune di quella città. A Trieste allora era del tutto normale parlare due o tre lingue …”.