Ascarelli: il giurista, l’uomo di cultura
Tra i giuristi del Novecento poche figure hanno lasciato una traccia così duratura come quella impressa da Tullio Ascarelli (1903-1959). In “Racconti ascarelliani” (Editoriale Scientifica) Mario Stella Richter, professore ordinario di Diritto commerciale all’Università degli studi di Roma Tor Vergata e condirettore della Rivista delle società (la pubblicazione fondata nel 1956 da Ascarelli stesso) spiega in modo efficace il motivo.
Figlio di Attilio, il medico che fu incaricato di dirigere le operazioni di recupero e identificazione delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, e di Elena Pontecorvo, discendeva per parte di padre da un’illustre famiglia di ebrei sefarditi stabilitasi a Roma nel quindicesimo secolo, e per parte di madre da una famiglia di importanti industriali tessili di Pisa, cui apparentati ad altri come Eugenio Colorni ed Enzo ed Emilio Sereni.
Un ambiente fertile per imporsi, anche sui banchi di scuola. “Le straordinarie doti di studente – racconta Richter, ospite del videopilpul trasmesso ieri sera – consentirono a Tullio di iscriversi all’università a sedici anni appena compiuti e di laurearsi a diciannove”.
La sua tesi, Le società a responsabilità limitata e la loro introduzione in Italia, fu subito pubblicata sulla Rivista del diritto commerciale. Nello stesso anno della laurea pubblicò altri due importanti studi: uno dei quali sempre sulla Rivista del diritto commerciale e l’altro su Diritto e pratica commerciali. Primi risultati di una carriera di spessore, segnata nel 1955 dal conferimento del Premio Feltrinelli per le Scienze Giuridiche da parte dell’Accademia dei Lincei.
Il libro ben racconta anche le peripezie relative alla persecuzione antiebraica del regime fascista. La fuga in Inghilterra poco prima che fossero promulgate le Leggi razziste. E da lì il trasferimento a Parigi. E quindi un’altra fuga, con il Paese sotto occupazione nazista. Con la moglie e i tre figli attraverso il sud della Francia, la Spagna e il Portogallo, per arrivare finalmente in Brasile (dove restò diversi anni). Nella nuova patria mise presto radici. Ma il cuore restò in Italia, dove nel ‘46 si ritrovò nuovamente a insegnare seppur, rileva l’autore, “tra grandi difficoltà e in un ambiente essenzialmente ostile”.
Irrefrenabile però quel “dovere morale di tornare” che lo vide distinguersi sempre ad altissimi livelli. E non solo nel diritto commerciale, suo principale ambito di lavoro ed elaborazione. Un filo conduttore, spiega Richter, emerge in ogni impegno assunto anche in quell’ultimo scorcio di esistenza (purtroppo spezzata prematuramente dalla malattia). “Il tema della lezione della sua vita – rimarca l’autore – fu sempre e solo uno: quello della ricerca della libertà e del progresso”.
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(22 luglio 2020)