Conversioni, leggi dello Stato
e legge ebraica La sentenza dell’Alta Corte d’Israele
L’ultima sentenza dell’Alta Corte israeliana ha rilanciato il dibattito sui rapporti tra leggi dello Stato, giurisprudenza e Halakhah (la legge ebraica). Nel merito, i giudici hanno stabilito che chi si converte all’ebraismo in Israele attraverso i movimenti reform e conservative deve essere riconosciuto come ebreo ai fini della Legge del Ritorno. Con il diritto quindi di ottenere la cittadinanza.
Già dal 2005, sottolineano i giudici, il ministero degli Interni riconosce le conversioni di queste due correnti quando effettuate all’estero. Questa sentenza le estende dunque anche alle conversioni fatte in Israele, e fa riferimento solamente a chi può essere considerato ebreo per la Legge del ritorno.
Il provvedimento, aggiunge la Corte, non entra nel merito del riconoscimento di chi è ebreo secondo la Halakhah. La sentenza potrà ora essere modificata attraverso una decisione della Knesset. Proprio l’assenza di un intervento del legislatore, atteso da molti anni ha spinto la Corte a dare una risposta a una petizione presentatale oltre quindici anni fa. Una decisione che però ora sta dividendo l’opinione pubblica. Molto duro l’intervento a riguardo del rabbino capo d’Israele, rav David Lau: “Coloro che si sono convertiti all’ebraismo in una conversione reform o simile non sono ebrei, nessuna decisione dell’Alta Corte di un tipo o di un altro cambierà questo fatto”.
Haaretz spiega che “in media, i movimenti reform e conservative in Israele convertono circa 300 persone. La stragrande maggioranza di questi convertiti – circa il 90% – ha diritto alla cittadinanza secondo la Legge del Ritorno. Secondo quest’ultima, è sufficiente che un individuo abbia un nonno ebreo per ottenere la cittadinanza israeliana. Quindi la maggior parte di questi convertiti ha già la cittadinanza”.
Sul sito Kipa, il rabbino Yuval Cherlow, tra i fondatori dell’organizzazione Tzohar, spiega che l’Alta Corte non ha competenze in termini di Halakha, ma si è inserita in un vuoto normativo. “Lo Stato d’Israele ha deciso che una delle componenti della sua identità è essere uno stato ebraico. Ma a questo scopo deve anche decidere nelle sue istituzioni chi è per lo Stato un ebreo”, scrive rav Cherlow. “Lo Stato si è sottratto a prendere una decisione. Non solo, ma il sistema politico ha bloccato ogni tentativo di regolamentare una conversione halakhica ampia e condivisa”. E a questo, sostiene il rav si deve arrivare sulla scia di questa decisione. La stessa Corte, in un comunicato diffuso dal suo portavoce per spiegare la sentenza, ha sottolineato al parlamento spetti il compito di regolamentare tutta la questione. “La Corte ha ritenuto che la Knesset dovesse decidere se la conversione (reform e conservative) sia valida ai fini della Legge del Ritorno, e per circa 15 anni ha evitato di decidere affinché il Ministro degli Interni e la Knesset trovassero una soluzione ai promotori della petizione e alla questione di principio. – si legge nel testo della portavoce dell’Alta Corte – Tuttavia, da quando sono state presentate le petizioni e ancora di più dal 2016 (allora fu deciso che la conversione di coloro che si sottoponevano a procedimenti di conversione in comunità ortodosse in Israele al di fuori del sistema di conversione statale doveva essere riconosciuta), nessuna proposta è stata adottata per risolvere la questione. In queste circostanze, quando i firmatari aspettano da molti anni di sapere cosa succederà loro, il tribunale è tenuto a decidere”. I giudici aggiungono poi che la sentenza attua “la legge esistente. Ma la Knesset può in qualsiasi momento prescrivere una disposizione diversa”.