Sinagoghe, chiese, moschee:
edifici in dialogo aperto
Il convegno internazionale al via

Approfondire e indagare lo studio delle tipologie architettoniche delle tre principali religioni monoteiste con il proposito di non considerarle come fenomeni isolati e distinti “ma di analizzarne gli scambi, le contaminazioni, l’adozione di antichi prototipi” e oltre a ciò “i dolorosi e sacrileghi processi di adattamento al nuovo culto, con particolare attenzione alle metodologie di restauro e ripristino di edifici religiosi non più in uso o depredati”. Ad avviare una riflessione di respiro internazionale il Museo ebraico di Roma attraverso il convegno “Synagogue-Church-Mosque. Connections, interactions and transformation strategies” che ha preso il via in queste ore, promosso in collaborazione con la Comunità ebraica locale, la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma, Histara – Histoire de l’art, des représentations et de l’administration dans l’Europe moderne et contemporaine, l’École Pratique des Hautes Études, Université de recherche Paris-Sciences-et-Lettres (PLS), l’Universidad de Jaen e con il contributo della direzione generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali del Ministero della Cultura italiano.
Un progetto che nasce da una iniziativa di Olga Melasecchi, che del Museo ebraico romano è la direttrice, insieme a Sabine Frommel direttrice di Histara. Una pratica diffusa, quei laceranti adattamenti, “che coincide generalmente con interventi a basso costo consistenti nel rimuovere e sostituire le immagini, oltre a cambiare gli ornamenti ed eventualmente l’arredamento”. Per studiare questo aspetto a detta delle studiose si rende pertanto necessario “evidenziarne il trauma” e quindi ricordare la profanazione degli edifici “compiuta nei secoli per adattarli alle esigenze del potere dominante” e di conseguenza lo snaturamento di alcune loro caratteristiche peculiari. E quanto poi, si aggiunge, “veniva distrutto e quanto mantenuto”.
Numerosi i relatori coinvolti nella due giorni, accolti in sede dalla presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello e dal rabbino capo rav Riccardo Di Segni. “Un tema di enorme interesse e in parte finora anche tabù”, l’osservazione iniziale del rabbino capo. Una storia quindi “con un suo fascino ma purtroppo anche un suo dramma” di cui si trova un’ampia testimonianza non solo in Italia ma in tutta Europa. Un momento di analisi che, per Dureghello, è da leggere anche alla luce dei progressi ma anche delle sfide ancora aperte in materia di dialogo interreligioso “negli ultimi cinquant’anni”. Un convegno che va quindi inteso anche “come punto di partenza” per ulteriori e mirati progetti nel campo della formazione.
Tra gli spazi oggetto di indagine un luogo la cui storia si intreccia inevitabilmente anche a quella del Museo ebraico: il Tempio maggiore simbolo dell’emancipazione inaugurato nel 1904 in una parte dell’area ricavata demolendo le strutture del ghetto in cui gli ebrei romani furono confinati fino al 1870, l’anno della Breccia di Porta Pia, del crollo dell’autorità pontificia e dell’incorporazione del territorio della Capitale in fieri nel Regno d’Italia. Il museo ebraico si trova infatti al livello inferiore dell’edificio, che da oltre un secolo svetta nella skyline capitolina e le cui strutture offrono più di una chiave di lettura per cogliere anche quest’ultima e più recente fase della bimillenaria storia della più antica comunità della Diaspora. Questo il tema dell’intervento, ad esempio, di Sergio Amedeo Terracina su “Il Tempio Maggiore di Roma e le sue tipologie architettoniche di riferimento”.
La sinagoga in Italia dal medioevo all’emancipazione: una prospettiva affascinante per rileggere i grandi eventi, le grandi contraddizioni e gli snodi più importanti del passato. In questo senso si presenta infatti come una lunga storia “di continuità tipologica, cambi di destinazione d’uso e strategie di rinnovamento stilistico e architettonico”, come rileva uno dei relatori del convegno: Andrea Morpurgo, Consigliere della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia.
Nella brochure una delle immagini scelte è quella della sinagoga Scolanova di Trani, di epoca medievale, trasformata in chiesa dopo l’espulsione degli ebrei dal Meridione di fine Quattrocento e tornata solo in tempi recenti alla sua funzione originaria. A riprova di questa travagliata vicenda la coesistenza, nello stesso edificio, di una Stella di Davide e di una campana. Una storia, quella delle sinagoghe, che come ricorda Morpurgo a Pagine Ebraiche oscilla tra “la continuità insediativa” nel Centro-Nord Italia e “la discontinuità”, per l’appunto, nel Sud del Paese. Con trasformazioni in chiese che hanno riguardato non solo le sinagoghe ma anche le moschee. “Nel Meridione ciò accade piuttosto spesso, a differenza del Centro-Nord dove la continuità è garantita nella pur travagliata stagione dei ghetti fino all’epoca dell’emancipazione”, sottolinea ancora. Una stagione segnata dalla volontà di esprimersi con un proprio stile e quindi anche attraverso la ripresa di apparati decorativi che, in qualche modo, finiranno comunque anche per rivelare “un contatto con le altre realtà”.
Tra i protagonisti della due giorni anche Alessandro Saggioro (Università di Roma La Sapienza), Sible de Blaauw (Radboud University Nijmegen), Bianca Kühnel (Hebrew University of Jerusalem), Patrizia Rusciani direttrice della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma che ospiterà la seconda giornata del convegno, Elie Abi Nassif (Académie Libanaise des Beaux Arts, Beyrouth, UOB, Université de Balamand), Mattia Guidetti (Università di Bologna), Yuri Alessandro Marano (Università Ca’ Foscari di Venezia), Ionna Rapti e Mathieu Lours (EPHE-PSL Paris), Pedro Galera Andreu, Luis Ruenda Galan e Felipe Serano Estrella (Università di Jaén), Gianmario Guidarelli (Università di Padova) e Alexander von Kienlin (Technische Universität München).