Tradizione ebraica e Legge, il segno di Vittorio Ottolenghi

Tra i parenti, nel foro dei colleghi avvocati così come tra gli ebrei italiani, Vittorio Ottolenghi è ricordato per la sua autorevolezza, per il suo spirito di servizio, per la capacità di affrontare questioni estremamente complesse con grande pacatezza e obiettività. La sua dedizione nei confronti dell’ebraismo italiano che guidò tra il 1978 e il 1983, verso la sua famiglia, verso la sua professione è stata ricordata con un appuntamento a più voci promosso dalla Fondazione Cdec in collaborazione con il figlio di Vittorio Ottolenghi, David, organizzata all’auditorium del Memoriale della Shoah a Milano. Emblematico il titolo dell’iniziativa: “Siamo il popolo della Legge”. “Questo incontro è una occasione per fare un affresco in cui mettere insieme le due grandi anime di Vittorio Ottolenghi: la sua professione di giurista e la sua devozione al mondo ebraico italiano, considerato come radice della civiltà di questo paese da preservare e da gestire nel miglior modo possibile”, ha spiegato in apertura Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec, che ha ringraziato David Ottolenghi (in arte Gioele Dix) per una donazione che ha portato il Cdec a dedicare la sezione giuridica della sua Biblioteca proprio al padre avvocato.
Ad aprire gli interventi, il rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib, che si è soffermato sull’equilibrio che vi è nella tradizione ebraica tra principio generale e norme particolari. “Il principio generale è fondamentale, ma se lasciato a se stesso rischia di non incidere nella vita delle persone”. Ecco perché, ha rilevato il rav, nell’ebraismo le norme particolari hanno un ruolo fondamentale. “Permettono di calare i principi generali e i valori nella nostra quotidianità”. Lo fanno attraverso le azioni. Un elemento, ha sottolineato ancora il rav, proprio dell’impegno di Ottolenghi, che “si metteva al servizio dell’ebraismo, risolvendo problemi pratici. Un’idea che sta molto dentro alla nostra tradizione”.
Sul significato delle Intese, a cui Ottolenghi lavorò in qualità di membro della Commissione giuridica incaricata di trattare con lo Stato, si è soffermato il giurista Francesco Margiotta Broglio, che a quel tavolo rappresentava proprio la parte governativa. In particolare Margiotta Broglio, tra i massimi esperti di rapporti tra Stato e istituzioni religiose, ha sottolineato come l’esperienza ebraica in questo ambito possa “essere d’aiuto per fare sì che ci si occupi delle altre comunità religiose di cui nessuno si preoccupa”. Chi con Ottolenghi allora lavorò fianco a fianco alle Intese, prendendo insieme il treno che da Milano li portava a Roma, è stato il giurista Giorgio Sacerdoti, oggi presidente della Fondazione Cdec. “In quel negoziato così come nei lavori sullo Statuto Ottolenghi ebbe un ruolo propulsivo”. Era un uomo che non si metteva in luce, il ricordo di Sacerdoti, “quindi spesso le sue attività non figuravano al grande pubblico”. Ma il suo contributo era chiaro agli addetti ai lavori. Per Sacerdoti poi Ottolenghi ebbe un ruolo importante nel “riposizionamento nel panorama politico e sociale italiano dell’Unione delle Comunità israelitiche”. Sotto la sua presidenza la visibilità dell’ebraismo aumentò, anche a causa di circostanze difficili e dolorose come il conflitto in Libano nel 1982 e l’attentato al Tempio Maggiore di Roma. Seppe gestire quei momenti con grande autorevolezza, il pensiero di Sacerdoti condiviso da Emanuele Ascarelli, che, in qualità allora di responsabile della comunicazione dell’Unione, lavorò a stretto contatto con Sacerdoti. “Anche nel burrascoso incontro con Pertini a pochi giorni dall’attentato, seppe gestire con grande saggezza la situazione”. “In lui c’era un grande senso di dignità istituzionale”.
Autorevolezza, dedizione, precisione sono alcuni invece dei termini richiamati dall’avvocato Fabio Russo, che presso lo studio Ottolenghi iniziò la sua carriera professionale. “Mi diceva spesso: ‘Fabio io non faccio l’avvocato, sono un avvocato. La sua professione era infatti il suo modo di essere”.
A chiudere la giornata, il ricordo affettuoso del figlio, David, che al padre ha dedicato il volume “Quando tutto questo sarà finito – Storia della mia famiglia perseguitata dalle leggi razziali” (Mondadori). Attraverso alcune fotografie, ha fatto riemerge alcuni risvolti della gioventù paterna al riparo dal nazifascismo in Svizzera. Un passato su cui Ottolenghi aveva sempre tenuto un certo riserbo. “Diceva sempre di essere un fortunato tra i sopravvissuti. E sopratutto ribadiva l’importanza di non trasformarsi da essere vittima a fare la vittima. Di non subire l’odio, pur non dimenticando mai le sofferenze del passato”.