L’intervista a Elèna Mortara
“Rapito, un film necessario”

Elèna Mortara non è soltanto una pronipote di Edgardo. Ma è anche l’autrice di un testo fondamentale per inquadrare il caso Mortara nel contesto internazionale, all’interno della sua epoca e dei suoi fermenti: Writing for Justice: Victor Séjour, the Kidnapping of Edgardo Mortara, and the Age of Transatlantic Emancipations, pubblicato negli Stati Uniti e premiato nel 2016 con il riconoscimento europeo “American Studies Network Book Prize”. Vi si racconta una battaglia politico-culturale, quella di cui fu protagonista l’intellettuale cattolico liberale originario di New Orleans Victor Séjour, che appena pochi mesi dopo il rapimento del figlio di Momolo e Marianna mise in scena a Parigi una pièce teatrale ispirata al caso Mortara, alla cui prima assistettero come ospiti d’onore l’imperatore Napoleone III e l’imperatrice Eugenia. Séjour, scrittore allora di successo e oggi riscoperto, era “di sangue misto” e già noto per una sua precedente opera contro la schiavitù. Lo studio di Elèna Mortara contribuisce a illuminare l’età da lei definita “delle emancipazioni transatlantiche”, e cioè il convergere verificatosi a metà Ottocento delle diverse battaglie per l’emancipazione, in particolare quella ebraica e quella dei neri vittime della schiavitù in America, battaglie che andarono a incontrarsi sulla scena internazionale, suscitando l’interesse di una pubblica opinione che in molti Paesi si mostrava finalmente ricettiva alle istanze di uguaglianza.
“Andando all’estero, quando pronuncio il mio cognome, capita che mi si chieda se ho una relazione col famoso caso Mortara. Se sono una parente, una discendente di Edgardo… Una cosa che mai mi succede in Italia”, sottolinea Mortara. Un paradosso, visto dove gli eventi si sono svolti e sviluppati. Anche in considerazione di ciò, il film di Bellocchio “rappresenta un contributo importante” per segnare una svolta e scrivere nuove pagine di consapevolezza. “Questo film – afferma Mortara – lo definirei un evento. Si propongono i fatti per come sono avvenuti, con a monte un lavoro profondo di documentazione sui libri degli storici e sugli atti dei processi. E poi la potenza delle immagini, la forza del cinema, nelle mani di un artista dotato di capacità e sensibilità. Che dire: sono estremamente soddisfatta da quest’esito”.
La professoressa Mortara è stata tra quanti hanno avuto modo di confrontarsi con Bellocchio in corso d’opera. “Mi ha telefonato all’inizio della sua ricerca e così sono andata a trovarlo nel suo studio. Il titolo provvisorio che mi aveva sottoposto, La conversione, mi aveva lasciata perplessa e per la verità anche un po’ turbata. Non sembrava infatti cogliere l’essenza del fatto, la violenza di quell’azione. Passare a Rapito è stata una svolta. È un titolo che chiarisce il punto chiave, quello da cui parte e si dipana la storia. Bellocchio lo spiega con maestria. Così come, ben consigliato, ha saputo descrivere ritualità e costumi ebraici”.
Il caso Mortara non fu certo l’unico episodio di battesimo forzato. Ma, prosegue la pronipote di Edgardo, “questa vicenda ha una assoluta specificità: la reazione della famiglia ha contribuito non solo alla graduale fine del potere temporale della Chiesa, ma anche alla nascita di una Italia di cittadini con uguali diritti, facendo sì che l’emancipazione ebraica potesse realmente affermarsi”. C’è quindi qualcosa da imparare, sostiene Mortara, “anche per il mondo ebraico: il valore in sé di quella denuncia e il fatto che i genitori non siano rimasti in silenzio nel portarla avanti”. “Questo comportamento”, aggiunge, “fu coraggioso in quanto a Bologna c’era ancora il potere pontificio, ma fu possibile perché il fatto avvenne ai margini di quello Stato. Ben diverse erano le condizioni di completa sottomissione e i comportamenti suggeriti dall’allora segretario della Comunità ebraica romana, per il quale la linea più adatta da seguire era: non fare chiasso, non protestare”. Una linea “il cui degrado risalta in una delle scene più significative del film, quando i dignitari della Comunità sfilano in ginocchio davanti al papa, fino a baciargli la pantofola: una ricostruzione purtroppo realistica di quanto succedeva in quella Roma, la Roma del papa re”.
L’impegno pubblico di Elèna Mortara è iniziato oltre vent’anni fa, quando espresse indignazione per il processo di beatificazione di Pio IX messo in atto dalla Chiesa di Wojtyla. Una conferma di come, malgrado i molti progressi compiuti da allora lungo la strada del Dialogo, non tutti i problemi siano stati superati. “Ancora oggi – il suo pensiero – è essenziale far riflettere il mondo cattolico sulla persistenza nel diritto canonico del battesimo somministrato in punto di morte quale via per la salvezza. Non possiamo far finta che questo tema non esista, ponendosi tra l’altro in contrasto con l’idea di fratellanza universale sostenuta dall’attuale pontefice nella sua enciclica ‘Fratelli tutti’. Mi piacerebbe che Bergoglio vedesse il film, come auspicato dallo stesso Bellocchio, ma che soprattutto intervenisse per correggere questa stortura. Sarebbe importante”.
La professoressa Mortara non esclude che anche Steven Spielberg possa trattare in un suo film la vicenda, come annunciato più volte in passato: “Ho sentito David Kertzer e resta speranzoso al riguardo. Vedremo, senz’altro si tratterebbe di un altro contributo di enorme valore. Ci sono infatti altri temi che possono essere sviluppati. A partire dall’impatto che il caso Mortara ebbe non solo sulla stampa, ma anche nelle cancellerie e nei governi di mezzo mondo. Una storia per molti aspetti ancora da raccontare”.

Proseguono gli appuntamenti dedicati al caso Mortara. Questo pomeriggio alle ore 18.30, il Museo ebraico di Roma ospiterà la presentazione del romanzo di Daniele Scalise “Un posto sotto questo cielo”. Interverranno con l’autore Rav Riccardo Di Segni, Alberto Melloni, Gianni Yoav Dattilo, Elèna Mortara Di Veroli, con la moderazione di Maria Antonietta Calabrò.
Aprirà la serata un saluto della presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello
Ingresso libero fino a esaurimento posti

(Nelle immagini: Elèna Mortara insieme ad altri componenti della famiglia Mortara davanti al celebre quadro di Moritz Daniel Oppenheim; la copertina del suo libro sul caso del piccolo Edgardo)