MILANO – Beteavòn, dieci anni di mensa per tutti

Era il 2014 quando a Milano apriva i battenti Beteavòn, la prima cucina sociale kasher d’Italia, nata su iniziativa del Merkos l’Inyonei Chinuch, il ramo educativo del movimento Chabad-Lubavitch. Da dieci anni la missione non è cambiata: offrire pasti gratuiti a quanti si trovano in difficoltà dentro e fuori la comunità ebraica. «Quello che è cambiato», testimonia Sonia Norsa, tra le prime cuoche volontarie di Beteavòn, «è la quantità. Quando ho iniziato, il mercoledì preparavamo le challot (il pane per il sabato) e il giovedì i piatti da consegnare il giorno seguente per shabbat. Parliamo di qualche decina di pasti». Oggi dalla stessa cucina, condivisa con la scuola ebraica del Merkos, escono centinaia di pasti al mese distribuiti a persone bisognose della comunità e ai senzatetto assieme ai volontari dell’associazione City Angels, come anche ai centri di accoglienza presenti sul territorio. «Ci siamo accorti ben presto che la necessità e il bacino di utenza erano molto più ampi e non potevamo rimanere indifferenti», spiega Igal Hazan, rabbino del movimento Chabad di Milano e fondatore di Beteavòn, che in ebraico significa «Buon appetito». «In questi dieci anni», prosegue Hazan, «uno dei più importanti risultati è stato riunire, attraverso un’iniziativa ebraica, diversi enti e associazioni del territorio e della società civile. Non bisogna sottovalutare il valore della coesione e dell’unità nell’aiutare il prossimo». Un impegno riconosciuto dalla città di Milano, che negli scorsi giorni ha conferito a Beteavòn l’attestato di benemerenza civica.
Tra i progetti più recenti c’è la collaborazione con il Centro accoglienza ambrosiano di via Tonezza. «Due anni fa abbiamo cercato un’associazione da aiutare nella nostra zona. Il centro è praticamente dietro di noi», racconta Nathalie Silvera, tra i responsabili di Beteavòn. «Abbiamo parlato con la direzione e c’è stata subito sintonia. Così è iniziata una nuova collaborazione: ogni mercoledì, da due anni, portiamo una quarantina di pasti per chi è ospite del centro». Si tratta di una struttura attiva da oltre 40 anni in cui sono accolte e sostenute mamme in difficoltà. «Offriamo alle madri e ai loro bambini una casa e le aiutiamo in un percorso verso l’autonomia», spiega Francesca Magna del Centro accoglienza ambrosiano. «L’obiettivo è integrare o reintegrare le donne che arrivano da noi nella società, evitando che entrino nel circolo vizioso dell’assistenzialismo. I motivi per cui sono qui sono diversi: difficoltà economiche, abusi o sfruttamento da parte del partner o di un altro membro della famiglia». Il focus iniziale, quando le madri sono accolte in comunità «è soprattutto il benessere del bambino: creare le condizioni perché cresca in un ambiente sano che tuteli la sua infanzia. Dopo l’attenzione alle capacità genitoriali, ci concentriamo sulle competenze per permettere alle donne di migliorare ad esempio la lingua, di trovare un lavoro, di conoscere tutti i servizi territoriali di cui possono aver bisogno: dai servizi scolastici, al doposcuola, ai presidi sanitari, fino all’assistenza legale». Un aiuto, aggiunge Magna, è arrivato da un’altra collaborazione legata al mondo ebraico: l’associazione Human in progress. «Sono un gruppo di professionisti che ci stanno aiutando su alcuni profili per dare sostegno terapeutico e assistenza legale». Coma Hazan, anche Magna sottolinea l’importanza di fare rete. «Con Beteavòn ci siamo conosciuti per un fattore di prossimità ». Gestire le case accoglienza ha molti costi e il vitto è uno di questi. «Poter contare ogni mercoledì sui pasti monoporzione della cucina sociale ebraica è un aiuto importante. In più, ci mettono la massima cura e attenzione, tutti gli alimenti sono ben specificati».
Chi da due anni porta fisicamente in via Tonezza i pasti è Yonathan Ferri Abarbanel, genovese, nato in Israele, e gestore di due locali a Genova e Milano. «Ho visto un post su Instagram di una mia amica in cui raccontava di essere andata la sera a distribuire cibo ai senzatetto in stazione Garibaldi. Per me l’orario serale vuol dire lavoro, ma volevo dare anch’io un contributo ». E così è iniziata la collaborazione con Beteavòn il mercoledì pomeriggio. «Io non faccio molto, se non andare a prendere il cibo già pronto, metterlo in macchina e consegnarlo al Centro di accoglienza. Mi sento però utile e nel mio piccolo do una mano». Ad eccezione di un incontro, non c’è interazione tra lui e le persone ospitate nel centro. «Se non sbaglio, per l’ebraismo la forma di beneficenza più nobile è quando chi dà non sa a chi sta dando e chi riceve non sa da chi sta ricevendo. E mi ritrovo in questa idea».
Anche per Norsa l’importante è fare, nel suo caso cucinare. «Per chiunque siano i nostri piatti, ci mettiamo amore. Vogliamo sentano che è una cucina di famiglia. Se faccio un brasato, lo faccio come lo farei per i miei figli e nipoti. Abbondante e saporito». Si cucina pesce, carne, verdure, e le ricette vengono decise a seconda di cosa viene comprato o regalato da chi sostiene Beteavòn. «Facciamo dal cholent (stufato della tradizione ebraica ashkenazita) al pollo al curry. Alcune ricette un po’ le inventiamo. L’importante è la cura e il sapore di casa». Nell’ultimo periodo Norsa ha rallentato. «Ho avuto un infarto per cui purtroppo non posso andare quanto vorrei, ma tutte le cuoche sono bravissime. Io ho mandato anche mio figlio e mio nipote a distribuire il cibo ai senzatetto. In passato distribuivamo direttamente dai pentoloni ed era bello vedere i sorrisi delle persone. Cucinare bene per loro significa anche rispettarne la dignità. Dire con il cuore Beteavòn».
Per ogni festa ebraica escono dalla cucina sociale pasti ad hoc. «Per Chanukkah (quest’anno il primo giorno è il 25 dicembre) prepariamo alcuni dolci per i nostri utenti e per la casa di riposo della Comunità ebraica», sottolinea Hazan, che ricorda anche il significato di Chanukkah. «È la festa in cui accendiamo i lumi. Per farlo deve necessariamente essere buio, questo perché è in quel momento che si vede il valore della luce. Quando il periodo è più buio, ancor più importante è portare la luce».

Daniel Reichel