Victoria’s Secret sbarca in Israele
Il successo del business per la comunità
Victoria’s Secret, il marchio di lingerie più famoso del mondo, si prepara a sbarcare in Israele, con due punti vendita all’aeroporto di Ben Gurion. Un grande risultato, se si pensa che il brand è assai geloso della propria americanità, e che sono pochissimi i paesi del mondo in cui ha accettato di aprire negozi con il proprio marchio (solo Canada e Puerto Rico, mentre l’apertura di un flag store a Londra è prevista per l’estate 2012). Per chi conosce il mondo dietro al brand, la scelta di aprire nello Stato ebraico non ha stupito: i “Victoria’s angels”, le modelle mozzafiato scelte ogni anno per reclamizzare la nuova collezione, celano infatti un uomo che ha fatto del sostegno a Israele e del business verso il sociale in campo ebraico e non, i suoi segni distintivi. Leslie Wexner, figlio di ebrei sbarcati in Ohio dalla Russia all’inizio del Novecento, è infatti il fondatore e amministratore delegato di Limited Brands, la società che possiede non soltanto Victoria’s Secret, ma pure Henri Bendel e La Senza. Un colosso che, fondato nel 1963 come negozio di abbigliamento per giovani donne (che Wexner chiamò “The limited” per distinguerlo da quello dei genitori, rivolto alla generalità del pubblico femminile), arrivò a essere quotato in Borsa già nel 1969. Da lì, tutto un crescendo, con l’acquisizione di grandi marchi uno dopo l’altro (tra gli altri anche il popolare Abercrombie & Fitch, che però è diventato una società quotata autonoma nel 1996). Nella sua carriera di uomo d’affari, Les Wexner ha voluto mettere l’impegno per la comunità al centro. Nel 2010 ha donato alla sua alma mater, la Ohio State University, ben cento milioni di dollari. In tempi di crisi, una decisione non da poco. E dal 1984 la Wexner Foundation finanzia gli studi di decine di giovani che desiderano intraprendere la carriera rabbinica, di cantori, nel campo dell’educazione ebraica, della leadership, offrendo anche un programma di borse di studio che consentono ogni anno a una decina di funzionari pubblici israeliani di frequentare un master alla Harvard’s Kennedy School of Government. “Alla Limited Brands crediamo che importi il modo in cui partecipiamo al gioco degli affari, e questo include fare del mondo in cui svolgiamo il nostro lavoro un posto migliore” si legge sul sito web della società, che include i dettagli del suo impegno sociale, dalle pratiche lavorative equosolidali alle opportunità di volontariato. Dichiarazioni di principio che non hanno però impedito che Victoria’s Secret finisse sui giornali di tutto il mondo per aver comprato cotone coltivato col lavoro di bambini- schiavi in Burkina Faso, come rivelato dall’agenzia d’informazione Bloomberg a metà dicembre. Il cotone proveniva da una fattoria appartenente al programma di agricoltura biologica e solidale dello Stato africano ed era pertanto certificato come tale. “Il lavoro minorile – ha assicurato per Limited Brands Tammy Roberts Myers – è assolutamente proibito dai nostri standard di etica commerciale. Stiamo facendo tutto il necessario per andare a fondo della faccenda”. Perché il segreto dietro agli scintillanti prodotti di Victoria possa continuare a essere l’impegno sociale, e non la triste realtà quotidiana della piccola Klarisse, la protagonista del reportage di Bloomberg dal Burkina Faso.