Ferrara, torna la gran Festa dei libri
Intervista a Riccardo Calimani

Sembrava una scommessa quasi impossibile: costruire dal nulla un grande evento dedicato al libro ebraico, ai suoi contenuti e ai suoi autori. Non un momento riservato agli specialisti e agli addetti ai lavori, ma una proposta capace di attirare anche il grande pubblico e di parlare linguaggi diversi. La terza edizione, ormai alle porte, della Festa del libro ebraico in Italia sottolinea questa vittoria, per nulla scontata. In questo breve arco di tempo la manifestazione è riuscita infatti a coinvolgere i cittadini di Ferrara che ne frequentano con grande entusiasmo gli appuntamenti, a richiamare appassionati da tutt’Italia e a suscitare l’interesse dei media. “La Festa del libro ebraico in Italia è un’iniziativa ormai consolidata” spiega Riccardo Calimani, presidente della Fondazione Meis-Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah che organizza l’evento. “La vastissima attenzione che continua a suscitare – continua – ci permette di tenere vivo e attuale il tema del museo. Dopo l’inaugurazione della palazzina a dicembre ci avviamo ora a dare il via ai lavori del secondo lotto, che interverranno sul corpo centrale del complesso di via Piangipane”. Mentre le opere edilizie procedono e già si segnalano alcune prime donazioni, si continua dunque a lavorare per costruire l’orizzonte in cui muoverà il Meis attraverso un laboratorio culturale che proprio nella Festa del libro ebraico vede uno dei suoi momenti centrali.

Riccardo Calimani, cosa ci porterà di nuovo quest’anno la Festa del libro ebraico?

Inauguriamo sabato 28 aprile con la Notte bianca che tanto successo ha avuto lo scorso anno e fino a lunedì 30 vi saranno proposte aggiornate per ciò che riguarda le presentazioni dei libri e gli incontri con gli autori e momenti artistici di grande significato. In particolare saranno ricordati i 25 anni dalla drammatica morte di Primo Levi e i cinquant’anni dall’uscita del film Il giardino dei Finzi Contini. E non mancheranno le passeggiate notturne nei luoghi di Giorgio Bassani che ogni volta riscuotono notevole interesse.

Qualche argomento in particolare da segnalare?

Ho trovato molto interessante il tema della condizione giuridica degli ebrei italiani attraverso i secoli, tema difficile e molto sfrangiato. È un aspetto che ha fortemente influito sulla vita degli ebrei fin dal loro arrivo in Italia 22 secoli fa, dopo la caduta del Tempio di Gerusalemme. Lo status giuridico si è infatti modificato in modo notevole nel corso del tempo, a partire dalla decisione di Costantino di dichiarare il cristianesimo religione ufficiale di Stato passando per l’intreccio di privilegi concessi, secolo dopo secolo, dai sovrani e dai papi anche sulla base dei lavori svolti.

Una questione molto complessa, dunque.

Senz’altro. Anche perché ogni trasformazione ha motivi di interesse non solo dal punto di vista giuridico e sociale ma anche psicologico. Un esempio lo possiamo ritrovare nell’affermazione per cui gli ebrei non fanno proselitismo. Se analizziamo la storia ci possiamo rendere conto che non è un atteggiamento escluso a priori dal mondo ebraico ma determinato dal fatto che nel quarto secolo Costantino pone un divieto in tale senso. Lo stesso antisemitismo, se lo guardiamo dal punto di vista storico, ci appare in una luce nuova.

Uno degli obiettivi del Meis è d’altronde proprio quello di fare chiarezza su tanti punti ancora oscuri.

Con il Museo abbiamo per la prima volta l’occasione di avere una realtà nazionale, legata al nostro Paese, che ci permette di sviluppare una linea culturale che sia composita e non tramata di personalismi. E questo presuppone che nella discussione delle idee ognuno di noi si sforzi di essere disponibile ad accettare le idee degli altri, senza lasciarsi andare alla tentazione di certe “scomuniche”: dobbiamo tornare a discutere sulle idee e superare schematismi di esclusione sia nei confronti di noi stessi sia nei confronti dell’esterno. La sfida ora è quella di far crescere una sensibilità, nelle Comunità ebraiche e non solo, nella consapevolezza che abbiamo una debolezza numerica e per raggiungere certi risultati dobbiamo lavorare insieme. Possiamo essere forti solo nell’unione: le baruffe interne rischiano invece di far dimenticare il quadro complessivo.

Tradotto in termini pratici cosa significa?

Il Meis deve diventare punto di raccolta di documenti e oggetti e al tempo stesso laboratorio culturale così da costruire una testimonianza vivente di due secoli di storia, raccogliere energie, sviluppare idee e dare un senso alla presenza ebraica in Italia. Stiamo già registrando le prime donazioni. La speranza è che piano piano si crei una partecipazione sempre più ampia e un entusiasmo corale. Stiamo organizzando un programma che mi auguro possa divenire un punto di riferimento per le Comunità e coinvolgerle.

Il Meis non potrebbe rappresentare una sorta di concorrenza per i tanti Musei ebraici presenti in Italia?

Lo escludo. Il museo che nelle Comunità raccoglie meravigliosi argenti o libri miniati mostra il passato. Il Meis è molto meno ricco di queste belle testimonianze e fa piuttosto appello ai contenuti. L’obiettivo è quello di avere un respiro diverso e più ampio e di porsi come complementare alle altre realtà museali, guardando al futuro piuttosto che al passato. Al Meis sarà possibile scoprire un’Italia ebraica piccola ma sorprendente attraverso un approccio che rende il complesso delle Comunità: uscendo dalla frammentarietà e offrendo una visione complessiva.

Di recente si è registrata una sua polemica con Dario Calimani a proposito di Heidegger. Lei ha sostenuto che “chi è stato, o è, fascista, nazista o antisemita in modo grave, e non lieve, non è grande nel pensiero”. Conferma questa visione?

Assolutamente. Il fatto che un grande uomo sia stato antisemita o fortemente compromesso con il nazismo o il fascismo lo rende moralmente riprovevole e criticabile. Dobbiamo privilegiare la coerenza e l’etica rispetto all’arte.