Dossier Oltreconfini – Lugano, la ventiduesima Kehillah
Il sorriso è accogliente, i modi gioviali e allo stesso tempo estremamente pratici. Rabbi Yakov Kantor apre le porte della Chabad House di buon mattino. “Good morning, welcome in Lugano”, dice tendendo la mano e facendo segno di entrare. Varcata la soglia e recitata una breve preghiera di ingresso, si entra in un microcosmo piuttosto ordinato e razionale. Un grande tavolo al centro, siddurim ben disposti sugli scaffali, alcune fotografie di vita comunitaria appese al muro, una macchina del caffè verso cui ci dirigiamo entrambi con passo rapido. Newyorkese di nascita, rabbi Kantor è il personaggio attorno cui si raccolgono oggi molte speranze e progettualità degli ebrei di Lugano. Una realtà singolare, letteralmente a un passo dall’Italia, e che per quanto concerne il mondo ebraico si potrebbe azzardare costituisca una sorta di sua ventiduesima comunità trapiantata in terra straniera. Sarà banalmente perché si parla italiano, innanzitutto. Ma anche perché gli intrecci con la realtà d’oltreconfine sono forti e affondano le proprie radici nelle vicende familiari di molti suoi protagonisti. La kehillah luganese ha però allo stesso tempo alcuni aspetti che la differenziano in modo marcato da qualsivoglia altro nucleo ebraico italiano: una data di fondazione abbastanza recente (1919) e una composizione demografica che per lungo tempo ha evidenziato l’esistenza tra i suoi effettivi di una prevalente componente ashkenazita giunta all’inizio del secolo scorso in cerca di protezione e fortune commerciali. Oggi che il loro numero va progressivamente scemando, ad assumere le redini della comunità, a prendere parte ai momenti collettivi della vita ebraica, sono spesso volti diversi rispetto al passato. Rabbi Kantor, inviato alcuni anni fa dal movimento chabad dopo varie missioni in Estremo Oriente, si occupa di tenere unito l’amalgama, di risvegliare e solleticare l’interesse, ancora in parte latente, verso la religione, la cultura e i costumi dell’ebraismo. Non è il rabbino capo, figura attualmente non contemplata a Lugano e in Ticino, ma rappresenta di fatto il motore della vita ebraica. Aiutato dalla moglie Yuti, costante presenza al suo fianco, si districa ancora con qualche difficoltà nei meandri della lingua italiana ma è senz’altro riuscito a rendere la Chabad House di via Lambertenghi un prezioso punto di riferimento. “L’ebraismo – esordisce – ci insegna che è importante ogni singolo individuo. Qua a Lugano siamo pochi ma anche nella ristrettezza numerica stiamo riuscendo, col contributo e con la partecipazione di tutti, a mantenere accesa una fiamma viva di identità ebraica”. I numeri contano poco, prosegue convinto il rabbi. Quello che conta davvero è la qualità, il modo in cui le cose vengono fatte. Dalle ore di studio alle gite in barca, dalla Kabbalat Shabbat alle escursioni nei boschi: l’organizzazione degli eventi è curata al dettaglio, niente viene lasciato al caso, ogni singolo istante merita di essere vissuto con intensità. Quando ci incontriamo Rabbi Kantor è appena tornato da un campeggio di alcuni giorni in montagna con i ragazzi del Talmud Torah. Un’esperienza che definisce “fantastica” e che ha ulteriormente cementificato i rapporti coi più giovani che vedono ormai nei coniugi Kantor non solo una guida ebraica ma anche delle persone vicine con le quali parlare dei problemi di tutti i giorni. “È quasi retorico sottolinearlo – afferma il rabbi – ma gli investimenti più importanti dobbiamo farli proprio coi ragazzi. Se saremo stati in grado di trasmettere loro qualcosa i risultati di questo passaggio avranno un valore per tutta la vita. La formula del campeggio, così come le altre iniziative che ci vedono spesso riuniti all’aria aperta, sono un modo per stringere ancora di più relazioni, fare gruppo, imparare divertendosi”. L’impegno con le nuove generazioni prosegue anche con gli studenti della vicina scuola americana che sono coinvolti, come i ticinesi doc, in un fitto programma di appuntamenti a regolare cadenza. E non vanno poi dimenticati gli adulti. Una vasta carrellata di fotografie sul sito internet a cura di Yuti, che ha responsabilità che vanno dalle attività giovanili alla gestione del mikveh, il bagno rituale, mostra infatti una certa effervescenza anche tra i più grandi. “Sempre più persone mettono i tefillin” sottolinea il rabbi, che intanto si alza dalla sedia per dirigersi nella sala adiacente dove accende la luce e mostra un piccolo kosher corner, altro fiore all’occhiello della sua gestione che richiama due volte a settimana un numero significativo di persone. Quando dall’Italia ero entrato in contatto con Elio Bollag, uno degli storici esponenti della comunità ebraica, questi nel delineare alcune caratteristiche dell’odierna realtà ticinese aveva affermato, suscitando un certo disagio in chi scrive, che le difficoltà da affrontare erano moltissime e che un giorno neanche troppo lontano il rischio sarebbe stato che si parlasse di ebraismo a Lugano solo al passato. Bollag, pur esprimendo grande preoccupazione per il futuro, aveva però concluso il suo intervento elogiando la figura di un “eroico” rabbino, anche se non ufficialmente “il rabbino” della comunità, capace di portare un nuovo entusiasmo in città. Rabbi Kantor sorride per il complimento e saluta il cronista con queste parole: “I think it’s cool to be a jew in Lugano”.