Pesach e le regole per vivere insieme

Non sempre la Scuola di Hillel assume una posizione più facilitante rispetto alla Scuola di Shammai nella Halakhah. La Mishnah (Yevamot 1,4; ‘Eduyyot 4,8) cita una particolare controversia matrimoniale fra le due scuole dalla quale risulta che i figli di un certo tipo di unione del tutto permessa secondo Beth Shammai erano addirittura considerati mamzerim (lett. “meticci”: sono i figli di unioni per le quali la Torah commina la pena divina del karèt, come l’incesto e l’adulterio; essi potranno sposarsi soltanto fra loro per tutte le generazioni successive) da Beth Hillel: si tratta di una situazione che avrebbe potuto dividere in due la discendenza d’Israel… La Mishnah in questione peraltro aggiunge che “sebbene (in quel dato caso) gli uni considerassero le donne permesse e gli altri le vietassero, cionondimeno non si astennero mai quelli della Scuola di Shammai dallo sposare donne che provenivano dalla Scuola di Hillel, e non si astennero mai quelli della Scuola di Hillel dallo sposare donne che provenivano dalla Scuola di Shammai”. La Ghemarah spiega che gli uni solevano sempre indicare agli altri quali donne potevano sposare in base ai rispettivi rigori, affinché non ci fossero problemi. In questo modo si arginava una situazione potenzialmente assai pericolosa per l’unità del nostro popolo. Conclude la stessa Mishnah: “E con tutti i casi di purità e impurità che gli uni dichiaravano puri e gli altri dichiaravano impuri, non si astennero mai (quelli di una Scuola) dal compiere cose pure con gli utensili degli altri”, senza timore di contravvenire ai propri principi. Così facendo applicavano il versetto: “Amate la verità e la pace” (Zac. 8,19). Pesach è l’occasione annuale in cui forse più emergono differenze di abitudine e di comportamento fra sefarditi e ashkenaziti, nel solco della Halakhah che è cara a tutti e in linea di principio resta unitaria. Rav Ovadiah Yossef (Resp. Yechawweh Da’at I, 10) cita la nostra Mishnah nel rispondere al quesito se è lecito per un negoziante vendere a clienti ashkenaziti cibi sui quali essi esercitano un rigore maggiore rispetto ai sefarditi, come il riso, i legumi e le cosiddette matzot ashirot (“azzime ricche” impastate con succo di frutta o vino, che gli ashkenaziti permettono durante Pesach solo per bambini, anziani e malati). Il rav ritiene che sia sufficiente in questo caso avvertire la clientela, tramite un avviso appeso all’ingresso del negozio, del fatto che i prodotti ivi venduti non tengono conto di quei rigori. A questo punto i clienti ashkenaziti sono consapevoli di ciò che acquistano e si può supporre che lo facciano a beneficio delle categorie esenti dal rigore. Il principio generale è il seguente. Abbiamo due persone con diverso grado di osservanza che chiameremo rispettivamente mattìr (“colui che permette”) e ossèr (“colui che proibisce”). Da un lato è vietato al padrone di casa mattìr nascondere all’ospite osser il fatto che sta portando a tavola un cibo proibito al secondo: deve rendergli noto quali cibi può mangiare in base al suo livello di osservanza e quali no, altrimenti trasgredisce il divieto: “non porre un inciampo di fronte al cieco” (Lev. 19,14). Una volta reso esplicito tale chiarimento, tuttavia, per tutto il resto l’ospite osser può affidarsi al padrone di casa mattìr senza timore di venir ingannato. In un ulteriore responso della stessa raccolta (V, 32) si affronta il problema di un ashkenazita invitato in una casa sefardita durante Pesach. La sua conclusione è che “è permesso agli ashkenaziti che usano proibire riso e legumi per Pesach intrattenersi a casa dei sefarditi che invece permettono questi alimenti. I primi possono mangiare le vivande che vengono loro offerte anche se sanno per certo che sono state cucinate in recipienti kasher le-Pesach adoperati anche per il riso e i legumi. “Amate la verità e la pace”, poiché quanto alla Torah “le sue vie sono vie di dolcezza e tutti i suoi corsi sono pace” (Prov. 3,17). Dai testi citati impariamo una lezione importante su come gestire in una Comunità la convivenza fra individui caratterizzati da diversi livelli di osservanza, purché siano tutti leciti in base allo Shulchan Arukh. Pesach è solo un esempio: è noto infatti che in molti casi la Halakhah concede gradi differenti di rigore nei confronti di una certa norma e ciò arricchisce il nostro patrimonio spirituale. Il mattir ha un problema di coscienza, mentre all’ossèr si pone un problema di fiducia. La regola numero uno, in questi casi, si chiama chiarezza. Non sono ammissibili da parte del mattir frasi del tipo: “Devi mangiare tutto quello che ti do e se non ti fidi mi offendo”. Ma una volta che sono state fornite tutte le spiegazioni del caso compete all’osser fidarsi dell’onestà e della buona fede di chi lo ospita. Egli riconoscerà a questo punto che la Halakhah ammette diversi gradi di osservanza e, senza timore di venir ingannato sui cibi, accetterà quelli che gli verranno offerti anche se preparati nelle stoviglie del mattir. Testimonianza dell’unità di fondo della Torah e salvaguardia dell’unità del nostro popolo!

rav Alberto Moshe Somekh