Memoria – L’impegno del Quirinale
È determinato ed esplicito riguardo alle responsabilità italiane per quanto avvenne durante le persecuzioni e la Shoah nell’Italia fascista, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel celebrare il suo ultimo Giorno della Memoria al Quirinale e nel ripercorrere in questa circostanza – a fianco del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo – le iniziative svolte negli ultimi anni per “una sempre più larga, partecipata e creativa consapevolezza dell’aberrazione introdotta anche in Italia dal fascismo con l’antisemitismo”. Forte e inequivocabile anche il richiamo a vigilare “contro i revisionismi” pronunciato in una sala colma di giovanissimi, rappresentanti istituzionali, del mondo della cultura e della società civile oltre ai ragazzi che hanno preso parte al concorso I giovani ricordano la Shoah. Ad ascoltarlo, tra gli altri, il presidente del Consiglio Mario Monti, il presidente del Senato Renato Schifani, il presidente della Camera Gianfranco Fini, il ministro della Giustizia Paola Severino e quello degli Esteri Giulio terzi di Sant’Agata, il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, l’ambasciatore d’Israele in Italia Naor Gilon. Folta la rappresentanza delle comunità ebraiche: per il Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane il vicepresidente Giulio Disegni, e i Consiglieri Noemi Di Segni, Giorgio Sacerdoti e Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma; il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, il presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia Susanna Calimani, il presidente del Museo della Shoah di Roma Leone Paserman, i parlamentari Fiamma Nirenstein e Alessandro Ruben.
Nel suo intervento, pronunciato in un’atmosfera di grande commozione, il Presidente della Repubblica ha spiegato come, nella coscienza democratica del paese “si siano consolidati alcuni punti fermi come il rifiuto intransigente e totale dell’antisemitismo in ogni suo travestimento ideologico come l’antisionismo”. Perché, ha evidenziato, “in gioco non è solo il rispetto della religione, della tradizione storica, della cultura ebraica, ma insieme con esso inscindibilmente il riconoscimento delle ragioni spirituali e storiche della nascita dello Stato di Israele e quindi del suo diritto all’esistenza e alla sicurezza”.
Rivolto al presidente Gattegna, intervenuto poco prima con una testimonianza di stima e gratitudine a nome di tutti gli ebrei italiani, Napolitano ha voluto condividere l’emozione “nell’accomiatarci dopo sette anni, per quel che mi riguarda almeno nelle funzioni di presidente della Repubblica”. È stato, ha sottolineato a proposito del comune lavoro finalizzato a una Memoria viva e proiettata al futuro, “tra gli impegni ricorrenti con cui mi sono maggiormente identificato, dal punto di vista non solo istituzionale ma personale, in senso intellettuale e morale”.
Scuola, Memoria, consapevolezza. Parole chiave che hanno costituito il baricentro delle riflessioni non solo del ministro Profumo e del presidente Gattegna ma anche di Ferrucio De Bortoli, direttore del Corriere della sera e presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, che ha condotto la cerimonia.
Il messaggio di Gattegna, rivolto alle nuove generazioni affinché siano ambasciatrici “di libertà e di speranza”, ha toccato i punti salienti di quale sia oggi l’impegno e il patto per la Memoria con i più giovani – un processo che trae nuova linfa dalle due importanti intese firmate pochi giorni fa a Cracovia con i ministri Profumo e Severino – e si è soffermato sulle specificità del tema sviluppato per questo 27 gennaio: il coraggio di resistere declinato da un punto di vista ebraico nelle molte rivolte e insurrezioni contro gli aguzzini che ebbero luogo in Italia e in tutta Europa sfatando il cliché dell’ebreo vittima della storia e delle sue pieghe più atroci. Ad essere citata, tra le altre, l’eroica esperienza di quanti presero parte alla rivolta del Ghetto di Varsavia nella struggente narrazione di Marek Edelman, di cui sono risuonate le parole racchiuse in “Il ghetto di Varsavia lotta”. Il passato, il suo ricordo e la sua comprensione affinché determinate situazioni non abbiano a ripetersi: una lezione drammaticamente attuale. “Ancora oggi – ha proseguito Gattegna – ci giungono notizie di episodi di razzismo, di intolleranza, di pregiudizio, di antisemitismo sia nella nostra Italia che in Europa. Sappiamo che stanno rinascendo gruppi, movimenti e partiti, che hanno il neofascismo e il negazionismo come parte integrante del loro programma. Pensiamo con preoccupazione all’Ungheria e alla Grecia, dove questi gruppi stanno conquistando consensi e riconoscimenti. A voi ragazzi raccomando di non ignorare anche i più piccoli segnali. Non volgete lo sguardo dall’altra parte se vi capita di assistere a soprusi e ingiustizie”.
“La Shoah – ha affermato il ministro Profumo – rappresenta uno spartiacque nelle vicende umane, segnando per sempre un prima e un dopo. Un tarlo insinuato nelle coscienze, ingannate da folli ideologie che, anziché guardare alla vita, progettavano lo sterminio dell’uomo contro l’uomo. Vegliare affinché quel tarlo non si diffonda mai più non è solo un dovere verso il popolo ebraico, della cui sofferenza purtroppo fu responsabile anche una parte fondamentale del nostro Paese, ma è un imperativo morale per l’intera umanità”. Valori che sono stati proiettati con numerose iniziative in tutte le scuole italiane. Il suo bilancio, in conclusione di mandato, è a tinte estremamente positive: “In questo anno e mezzo – ha spiegato – abbiamo incontrato insieme centinaia di studenti, raccogliendo le loro riflessioni, parole e aspirazioni. Da ministro, con l’aiuto delle tante professionalità del ministero che ringrazio personalmente, abbiamo visitato molte scuole, da Nord a Sud, viaggiato all’estero. E personalmente porterò sempre con me gli sguardi, le domande, la voglia di futuro e speranza dei nostri ragazzi”. Il ministro ha quindi parlato di scuola come terreno “in grado di far fruttare le competenze acquisite” ma anche come luogo dove dare concretezza “ai valori e alla consapevolezza”. Il male commesso ai danni del popolo ebraico non potrà essere pertanto sanato dalla celebrazione annuale del 27 gennaio: “Giorno per giorno – ha infatti concluso – sarà necessario il nostro impegno affinché la testimonianza diventi azione concreta in difesa delle vittime dell’intolleranza e della barbarie. ‘Mai più’ è il monito che tutti dobbiamo levare a tutela di ogni forma di violenza e discriminazione”.
Adam Smulevich
Gattegna: “Contro ogni forma di razzismo”
Illustre e caro Presidente Napolitano, illustri autorità, cari amici, carissimi ragazzi,
è sempre emozionante prendere la parola qui, nel Palazzo del Quirinale, per la cerimonia ufficiale del Giorno della Memoria, che è ormai un appuntamento pubblico molto significativo per le Istituzioni, per i cittadini, per tutto il Paese. Quest’anno, caro Presidente Napolitano, c’è una ragione in più per essere emozionati, sapendo che si sta avvicinando la conclusione del Suo settennato.
Voglio, pertanto, esprimerLe la stima e l’apprezzamento di tutte le comunità ebraiche italiane per aver dato solennità e ufficialità a questo momento, per aver voluto rinsaldare la consuetudine di ricordare il Giorno della Memoria in questo Palazzo, nella casa di tutti gli italiani. Sono segnali importanti, dai quali sono derivate indicazioni chiare sulla sensibilità con cui applicare la legge istitutiva, per trasmettere ai giovani la Memoria della Shoah e gli insegnamenti di storia e di vita che si possono trarre dallo studio e dall’approfondimento delle tragiche vicende di quegli anni.
Come sempre, abbiamo messo al centro del nostro impegno i giovani, il mondo della scuola, l’educazione, il loro futuro: quindi il futuro del nostro Paese.
Alcune delle iniziative promosse cominciano a dare i primi frutti. Pochi giorni fa ero ad Auschwitz-Birkenau, con il Ministro Francesco Profumo e con il Ministro Paola Severino, due rappresentanti delle istituzioni e due persone con le quali abbiamo stabilito un rapporto di collaborazione, di stima e di amicizia che ha reso più efficace la pianificazione e la realizzazione del lavoro in comune. Con noi erano presenti alcuni testimoni, e 130 ragazzi in viaggio di studio nei luoghi dello sterminio nazista. Alcuni di quei ragazzi sono qui oggi tra noi e ascolteremo le loro riflessioni.
Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario della rivolta nel ghetto di Varsavia, l’eroico tentativo di resistenza messo in atto da gruppi di giovani ebrei, asserragliati in poche vie chiuse da un muro di cinta, che nel 1940 erano arrivate a contenere, in condizioni disumane, mezzo milione di persone.
Nell’aprile del 1943, quando la popolazione del ghetto, decimata dalle deportazioni, dalle malattie e dalla mancanza di mezzi di sussistenza era ridotta a 70.000 persone, di fronte ad un nuovo tentativo di compiere un’ultima e definitiva deportazione di massa, i combattenti insorsero eroicamente contro un nemico cinico, brutale e dotato di una schiacciante superiorità di uomini e di mezzi, al quale opposero per oltre un mese una tenace resistenza.
Gli ebrei, privati di ogni diritto, anche di quello di vivere, vittime predestinate della “Soluzione finale”, tentarono, quando fu possibile, di combattere, anche senza alcuna speranza di salvezza. La loro scelta fu di morire in modo diverso da quello che era stato pianificato dai carnefici, combattendo.
Ha scritto Marek Edelman, uno dei capi della rivolta del ghetto di Varsavia e fra i pochissimi sopravvissuti: “Il 10 maggio 1943 finisce la storia drammatica degli ebrei di Varsavia. Il luogo in cui sorgeva il ghetto è ridotto ad una montagna di macerie alta due piani. Coloro che sono caduti hanno compiuto il loro dovere fino in fondo, fino all’ultima goccia di sangue. Sangue che è stato assorbito dalla terra stessa del ghetto di Varsavia. Noi, che siamo sopravvissuti, lasciamo a voi il compito di non far morire la loro memoria”.
Rivolte ebraiche avvennero perfino nei campi di sterminio, portate avanti da prigionieri stremati, privati di tutto, ma non della volontà di resistere.
Un’altra vicenda che pienamente si intreccia con i destini della nostra identità, e che smentisce il luogo comune che gli ebrei abbiano subito passivamente le persecuzioni e lo sterminio, è quella della Brigata Ebraica, che si rese protagonista di uno dei momenti più significativi dell’azione di affrancamento dell’Italia dal giogo fascista e nazista.
Questo corpo straordinario, formato da oltre settemila volontari provenienti da molti Paesi, si rivelò decisivo per la liberazione di vaste aree, in particolare dell’Emilia e della Romagna, nei dintorni di Imola e di Ravenna. Attraversando il fiume Serio, realizzarono il primo sfondamento della Linea Gotica, che costrinse i fascisti e i nazisti alla ritirata; molti di loro furono poi artefici dell’indipendenza dello Stato di Israele. I caduti della Brigata Ebraica sono tumulati nel cimitero di Piangipane nei pressi di Ravenna.
Ancora oggi ci giungono notizie di episodi di razzismo, di intolleranza, di pregiudizio, di antisemitismo sia nella nostra Italia che in Europa. Sappiamo che stanno rinascendo gruppi, movimenti e partiti, che hanno il neofascismo e il negazionismo come parte integrante del loro programma. Pensiamo con preoccupazione all’Ungheria e alla Grecia, dove questi gruppi stanno conquistando consensi e riconoscimenti.
E’ la prova che bisogna restare in guardia.
A voi, ragazzi, raccomando: non ignorate anche i più piccoli segnali, non volgete lo sguardo dall’altra parte, se vi capita di assistere a soprusi e ingiustizie.
Per concludere vorrei ricordare che la Resistenza non si fa soltanto con le armi, ma anche con la cultura e con la corretta conoscenza dei fatti storici. Cosa significa “resistere” ce lo dimostra anche la tenacia di Rita Levi Montalcini che ci ha lasciati da poco. All’epoca della legislazione antiebraica non rinunciò a portare avanti i suoi esperimenti nel laboratorio clandestino allestito in un paese dell’Astigiano dove aveva trovato rifugio. Rita ci lascia in eredità un bene prezioso: il coraggio delle idee, la forza di saperle portare avanti nel tempo, oltre qualsiasi ostacolo.
Cari ragazzi, siate sempre ambasciatori di libertà e di speranza.
A Lei, Presidente, rivolgo un affettuoso saluto e un sincero ringraziamento per quanto ha fatto e continuerà a fare per la Memoria, e per il futuro del nostro Paese.
Napolitano: “Fascismo regime infame”
Ecco il testo dell’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il Giorno della Memoria 2013
Rendo ancora omaggio agli ex internati e deportati, vittime e testimoni dell’orrore dei campi in Germania, cui abbiamo appena conferito la Medaglia d’onore.
A conclusione di questa cerimonia, ancora una volta così significativa e coinvolgente per l’intensità della riflessione e per la ricchezza di voci cui ogni anno dà spazio qui in Quirinale, vorrei dire brevi parole, anche – in qualche modo – di bilancio. Caro Presidente Gattegna, può immaginare come io condivida la sua emozione nell’accomiatarci dopo sette anni, per quel che mi riguarda almeno nelle funzioni di Presidente della Repubblica. Con lei, d’altronde, abbiamo condiviso sempre sentimenti e pensieri celebrando il Giorno della Memoria. E’ stato questo tra gli impegni ricorrenti con cui mi sono maggiormente identificato, dal punto di vista non solo istituzionale ma personale, in senso storico e morale. Ringrazio anche il ministro Profumo per aver sottolineato il contributo di impulso e sostegno che è stato da me rivolto in particolare al mondo della scuola.
Vedete, credo che possiamo, tutti insieme, esprimere soddisfazione per il cammino percorso e i risultati raggiunti in questi anni nel coltivare la memoria della Shoah, nel diffonderne l’esercizio attivo e consapevole, nel farne sprigionare – in tutta la loro straordinaria molteplicità e ricchezza – insegnamenti e messaggi essenziali non solo per la comprensione della storia ma per la costruzione del futuro. L’esempio più eloquente ce l’offre la scuola. Abbiamo ascoltato dal ministro cifre e fatti che testimoniano quale estensione e quali diverse concrete espressioni abbia assunto un impegno di conoscenza e di partecipazione sui temi della Shoah, ormai divenuto parte integrante del percorso scolastico e di formazione civile degli studenti in ogni parte d’Italia. Ma meritano egualmente di essere valorizzate tutte le iniziative che hanno rispecchiato un’accresciuta sensibilità delle istituzioni, della società civile, dei cittadini. Ringrazio il dottor De Bortoli per averci presentato l’appena aperto Memoriale della Shoah presso quel Binario 21 della stazione di Milano centrale la cui visita, qualche anno fa, mi è rimasta fortemente impressa. Egli ha avuto ragione di richiamarci nello stesso tempo alla necessità di tenere alta la guardia, di vigilare e reagire contro persistenti e nuove insidie di negazionismo e revisionismo magari canalizzate attraverso la Rete. E anche di evocare un fenomeno che rischiamo di sottovalutare, e che invece si lega, come grave fattore inquinante, a vicende e processi politici in atto non solo nel Medio Oriente: il fenomeno cioè dell’antisemitismo come dimensione del fondamentalismo islamico.
Da noi, in Italia, propagande aberranti si traducono in diverse città in fatti di violenza e contestazione eversiva da parte di gruppi organizzati : come quelli su cui è intervenuta, nei giorni scorsi, con provvedimenti motivati, la Procura della Repubblica di Napoli. C’è da interrogarsi con sgomento sia sul circolare, tra giovani e giovanissimi, di una miserabile paccottiglia ideologica apertamente neonazista, sia sul fondersi di violenze di diversa matrice, da quella del fanatismo calcistico a quella del razzismo ancora una volta innanzitutto antiebraico. Abbiamo letto perfino di progetti che a Napoli si sarebbero ventilati di distruzione di un negozio ebreo, o di aggressione e stupro di una studentessa ebrea. Mostruosità anche se solo enunciate, che sollecitano la più dura risposta dello Stato e la più forte mobilitazione di energie nelle scuole, nella politica, nell’informazione, a sostegno degli ideali democratici.
C’è da fare della memoria della Shoah l’asse di una chiarificazione costante e diffusa e di una battaglia ideale e politica non di parte, che vadano al di là degli stessi confini storici della persecuzione, fino allo sterminio, contro gli ebrei (e anche, non dimentichiamolo, contro i Rom e i Sinti). E non solo perché razzismo e xenofobia hanno molteplici bersagli, che fanno tutt’uno con quello posto al centro del criminale disegno hitleriano. Ma perché sono in giuoco valori supremi, che nei ghetti di Cracovia, Lodz o Varsavia, e nei lager di Auschwitz-Birkenau o Dachau, sono stati calpestati come in nessuna costruzione di pensiero si era prima immaginato potesse catastroficamente accadere : valori di civiltà e umanità senza frontiere di luogo e di tempo, che si chiamano rispetto della dignità della persona, ridotta invece a brandello umano, a sopravvivenza nel terrore fino alla soppressione più brutale.
Ma torno alle mie parole iniziali di bilancio per mettere ancora in luce quel che nel concreto siamo riusciti nel nostro paese a realizzare in questi anni di sempre più larga, partecipata e creativa consapevolezza dell’aberrazione introdotta anche in Italia dal fascismo con l’antisemitismo. Attraverso, ad esempio, la scoperta, per tanti delle generazioni più giovani, e quindi la denuncia dell’infamia delle leggi razziali del 1938, di cui Benedetto Croce – che abbiamo di recente commemorato a 60 anni dalla scomparsa – scrisse allora, collocandole tra “gli atroci delitti” che il fascismo stava perpetrando : “la fredda spoliazione e persecuzione”, furono le sue parole, “degli ebrei nostri concittadini, che per l’Italia lavoravano e l’Italia amavano né più né meno di ogni altro di noi”. Di quelle leggi, di quel clima fu vittima, in quanto stroncata nelle sue possibilità di lavoro scientifico e quindi costretta a lasciare l’Italia, la nostra grande Rita Levi Montalcini, cui rivolgo anch’io un pensiero triste e commosso a breve distanza di tempo dalla sua scomparsa.
Ma non è solo per le infamie del fascismo che l’Italia è presente nella ricostruzione storica cui ci sollecita la memoria della Shoah nel Giorno della Memoria. E’ presente in senso positivo e in piena luce per tutte le forme di solidarietà che vennero dagli italiani verso gli ebrei perseguitati e braccati dai nazisti durante l’occupazione tedesca da Roma in su. E’ presente con gli italiani che hanno meritato il riconoscimento di Israele col titolo di “Giusti tra le Nazioni”. E’ presente con storie straordinarie, assai poco note, come quella – raccontata in un libro biografico apparso in italiano, con grande ritardo, solo l’anno scorso – della vita di pensiero e di azione di Enzo Sereni, trasferitosi poco più che ventenne in Eretz Israel, fattosi pioniere e messaggero nel mondo del futuro Stato di Israele, partito nel marzo 1944 per Bari nell’Italia già liberata e di lì fattosi paracadutare al Nord, dove fu catturato dai tedeschi e dopo mesi di terribili ed eroiche prove deportato e ucciso a Dachau.
Ma chiudo ora questa lunga digressione di carattere storico, che rimanda all’impegno sviluppato e da sviluppare per comprendere i termini di quei decenni “di ferro e di fuoco” del secolo che conobbe la barbarie della persecuzione antiebraica e della Shoah ; e vengo a più brevi parole di bilancio in senso più strettamente politico dell’impegno che ho condiviso con voi. Ritengo di poter dire che si sono in questi anni consolidati – nella coscienza democratica del nostro paese – alcuni fondamentali punti fermi. Innanzitutto, rifiuto intransigente e totale dell’antisemitismo in ogni suo travestimento ideologico come l’antisionismo : perché in giuoco non è solo il rispetto della religione, della tradizione storica, della cultura ebraica, ma insieme con esso, inscindibilmente, il riconoscimento delle ragioni spirituali e storiche della nascita dello Stato di Israele, e quindi del suo diritto all’esistenza e alla sicurezza.
Se questo è il punto fermo da non mettere mai in forse, ne discende l’altro, della distinzione da non annebbiare, tra solidarietà – da un lato – con la causa dello Stato di Israele contro ogni propaganda e minaccia di distruzione, comprese quelle che vengono dalla dirigenza iraniana, e – dall’altro lato – libertà di giudizio su linee di condotta e concrete evoluzioni delle forze politiche che sono chiamate via via a governare Israele. Giudizi critici che d’altronde si esprimono liberamente nel dibattito politico e di opinione in seno a Israele, non possono essere considerati ostili purché formulati con il rispetto dovuto a ogni governo legittimo di qualsiasi paese amico. L’essenziale è che essi non sfocino in posizioni equivoche circa la natura e il futuro di Israele come Stato, circa il suo ruolo indipendente nella regione mediorientale e nella comunità internazionale.
E’ alla luce di questa distinzione che l’Italia e l’Europa possono e debbono fare la loro parte perché si apra la strada della pace in Medioriente, con la soluzione del conflitto israelo-palestinese sulla base della collaborazione tra due popoli e due Stati. “Israele” – ha detto di recente Shimon Peres – “non ha un’opzione migliore, diversa dalla soluzione dei due Stati” …. I negoziati con i palestinesi [dopo il voto all’ONU] si sono fatti “forse non più complicati, in ogni caso più necessari”. Voglio qui condividere più in generale, ancora una volta, la visione che ha ispirato e continua a ispirare il mio collega Presidente israeliano, uomo che da decenni conosco da vicino, stimo e considero un autentico amico. La sua visione e la sua fiducia.
A tutti gli amici israeliani desidero dire : i “punti fermi” che ho ritenuto di poter ricordare come ormai consolidati nell’opinione e nella consapevolezza politica del paese, non conosceranno alcun affievolimento nel prossimo futuro; la loro continuità è garantita, anche nel naturale succedersi, come in ogni paese democratico, delle maggioranze parlamentari e dei governi.
Infine, rinnovo un caloroso apprezzamento alle ragazze e ai ragazzi, e nel loro insieme agli Istituti Scolastici, che si sono distinti nel concorso “I giovani ricordano la Shoah”. Negli interventi degli studenti qui abbiamo sentito vibrare le corde dell’emozione più sentita e profonda. E in generale per quel che, come ho detto, siamo riusciti a costruire sul terreno di una più ampia e partecipata presa di coscienza del significato della Shoah, e della lezione da trarne, dobbiamo molto a voi, dobbiamo molto alle generazioni più giovani, per come si sono venute impegnando con mente aperta, sensibilità e confortante maturità. E dunque, grazie. E arrivederci.
Profumo: “Una testimonianza per il futuro”
Ecco il testo dell’intervento del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo per il Giorno della Memoria 2013
Signor Presidente della Repubblica, Gentili autorità, Cari docenti e studenti, Cari amici della comunità ebraica,
ogni anno il “Giorno della Memoria” è, per tutti noi e per Voi ragazzi in particolare, un incontro con la Storia, ma soprattutto uno strumento di testimonianza per il futuro.
La Shoah rappresenta uno spartiacque nelle vicende umane, segnando per sempre un “prima” e un “dopo”. Un tarlo insinuato nelle coscienze, ingannate da folli ideologie che, anziché guardare alla vita, progettavano lo sterminio dell’uomo contro l’uomo. Vegliare affinché quel tarlo non si diffonda mai più non è solo un dovere verso il popolo ebraico, della cui sofferenza purtroppo fu responsabile anche una parte fondamentale del nostro Paese, ma è un imperativo morale per l’intera l’umanità.
Da qui, dalle celebrazioni che si tengono ogni 27 gennaio nel Palazzo del Quirinale – e tutti noi La ringraziamo, Signor Presidente, per la partecipazione e l’affetto dimostrati in questi anni nell’ospitarle – il mondo della scuola, gli studenti, gli insegnanti, i genitori, si incamminano insieme nel percorso di costruzione di un’etica civile rinnovata. Nella maturazione di un concetto di Bene Comune che resta il fondamento di una società più giusta che, nel Terzo millennio, si declina attraverso la promozione del rispetto dell’altro, la valorizzazione della dignità umana, e ovviamente la presa di posizione chiara contro ogni negazionismo o, peggio, indifferenza.
Presenziare in qualità di Ministro dell’Istruzione alla giornata di oggi ha per me un significato storico e personale di ancora maggiore rilievo e partecipazione. Capita, infatti, a conclusione di un impegno di governo di grande intensità emotiva, che coincide anche col termine dello splendido settennato del Presidente della Repubblica.
In questo anno e mezzo abbiamo incontrato insieme centinaia di studenti, raccogliendo le loro riflessioni, parole e aspirazioni. Da ministro, con l’aiuto delle tante professionalità del ministero che ringrazio personalmente, abbiamo visitato molte scuole, da Nord a Sud, viaggiato all’estero. E personalmente porterò sempre con me gli sguardi, le domande, la voglia di futuro e speranza dei nostri ragazzi.
Le esperienze vissute insieme durante i viaggi al ghetto di Cracovia e al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, nel 2012 e pochi giorni fa, come la visita al museo della Shoah Yad Vashem lo scorso settembre, rimarranno nella nostra mente e nel nostro cuore per il valore e la forza delle testimonianze.
Tredici anni fa la didattica della Shoah entrava nelle scuole, e da allora un crescendo di iniziative permette di coinvolgere ogni anno oltre mille scuole e decine di migliaia di studenti. Un seme della conoscenza e del rispetto che da allora è stato sparso da più di 100.000 ragazzi. Con questi numeri, l’Italia si segnala tra i Paesi più attivi in Europa nei progetti didattici che coinvolgono scuole e studenti, oltre ad essere tra i pochi Paesi al mondo a vantare un master universitario in didattica della Shoah.
Quest’anno, con il protocollo d’intesa firmato con l’Ucei e con il Presidente Renzo Gattegna – che ringrazio personalmente per il proficuo lavoro portato avanti insieme – il “Viaggio della Memoria” diventa parte del percorso formativo e scolastico di ciascuno studente, così come lo sono già il concorso “I giovani ricordano la Shoah”, il “viaggio allo “Yad Vashem” organizzato con lo Stato d’Israele.
Non c’è luogo più idoneo della scuola per trasmettere alle nuove generazioni l’importanza della Memoria, e per curare l’infezione dell’odio, dell’indifferenza e della viltà, che non sono scomparsi neppure nella nostra Europa. Siamo chiamati a vigilare costantemente, perché – come scriveva Primo Levi – Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo”. Ne è stata drammatica testimonianza il massacro alla scuola ebraica di Tolosa, nella vicina Francia, che lo scorso anno ci ha riportato alla mente l’attentato alla sinagoga di Roma del 1982. E altre manifestazioni di violenza in molte parti del Continente.
Se i nostri ragazzi e le nostre ragazze diventeranno ottimi professionisti, ma scadenti cittadini, avremo fallito la nostra missione di educatori. La crescita della consapevolezza negli studenti passa inevitabilmente attraverso la formazione costante degli insegnanti, che al pari delle famiglie compartecipano allo sviluppo delle qualità intellettuali, culturali e umane dei nostri giovani. Per questo agli insegnanti, al personale scolastico e ai genitori voglio esprimere la mia più sincera gratitudine per il coinvolgimento entusiastico alle iniziative che riguardano la Shoah. Si tratta di tanti piccoli tasselli che si uniscono ogni giorno aiutandoci a costruire un’etica civile più forte, e una cittadinanza inclusiva e matura per il futuro. Perché, come diceva Italo Calvino “la storia è fatta di piccoli gesti anonimi…e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano”.
Care ragazze e ragazzi e cari insegnanti, la scuola deve essere il terreno in grado di far fruttare le competenze acquisite. Ma deve anche dare concretezza ai valori e alla consapevolezza che, come popolo, ci intrecciano al caleidoscopio di vicende umane che uniscono italiani, europei e gli altri cittadini del mondo. Il male commesso ai danni del popolo ebraico non potrà essere sanato dalla celebrazione annuale del 27 gennaio. Giorno per giorno sarà necessario il nostro impegno, affinché la testimonianza diventi azione concreta in difesa delle vittime dell’intolleranza e della barbarie. “Mai più” è il monito che tutti dobbiamo levare a tutela di ogni forma di violenza e discriminazione.
Signor Presidente, desidero cogliere questa occasione così solenne per ringraziarLa, personalmente e a nome delle scuole d’Italia, per la vicinanza, il sostengo e la guida che ci ha offerto in questi anni difficili, richiamandoci costantemente alla realizzazione di un domani migliore e alla conoscenza vitale della Storia e della memoria. Beni di tutti, da conoscere, da difendere, da amare. Ma soprattutto da vivere in prima persona. Grazie.