Francesco e i Gran Rabbini: la sfida di parlare alla gente
Papa Francesco al posto dei Gran Rabbini di Israele? E’ la provocatoria domanda che rilancia sul suo blog Vittorio Dan Segre, riprendendo un polemico editoriale dell’analista di Haaretz Carlo Strenger. “Non c’è pericolo che gli israeliani si convertano all’insegnamento del rabbino Gesù”, afferma il giornalista, esperto di politica internazionale, ma anche l’ebraismo, in Israele e non, deve confrontarsi con il nuovo e dirompente vento che spira dal Vaticano. Ogni gesto, ogni parola di papa Francesco sono percepiti come rivoluzionari, gioca in attacco, parla di giustizia sociale, di gay, di riforma dello Ior. E telefona a casa dei fedeli, come ricorda oggi Beppe Severgnini sul Corriere, richiamando la storia di uno studente padovano che all’altro capo della cornetta si è sentito dire “pronto Stefano, sono il papa”. Per non trovarsi impreparati per future conversazioni con il successore di Pietro, Servergnini si diletta a scrivere il manuale di conversazione con il pontefice e suggerisce “se al telefono è sua santità: siate voi stessi”. Leggerezza e ironia ma comunque un gesto che fa clamore e da alle persone la sensazione che questo papa non sia lontano dai problemi delle persone.
Non sembra aver intrapreso, ma è ancora presto per dirlo, la stessa direzione il Gran rabbinato di Israele: eleggere nel ruolo di rabbini capo due figli di rabbini capo precedenti non appare quanto meno un segnale di cambiamento. Cosa propongono da Israele per confrontarsi con la nuova politica di Francesco? Qual è la via ebraica alternativa a quella che il giornalista di New York Times e Boston Globe James Carroll definisce la “cultura della solidarietà”? Su questa peraltro riflette Vittorio Dan Segre che sottolinea si tratti di “una cultura che, nel mondo della povertà, è diventata la nuova strategia papale. Una strategia che, ovviamente, fa appello anche ai poveri spiritualmente. Costoro, nelle società materialiste e violente della nostra epoca, rappresentano masse in continua crescita. Papa Francesco rifiuta di impegnarsi in quello che prima veniva considerato un conflitto di classe pericoloso per la chiesa cattolica sostituendolo con il richiamo al dovere e alla difesa della giustizia”. La giustizia sociale, la difesa dei deboli, la semplicità sono i messaggi sempre al centro delle parole del papa argentino, i cui gesti, anche simbolici – come telefonare a casa di un diciannovenne per rispondere personalmente a una lettera – sembrano infondere fiducia e speranza in un mondo sconvolto dalla crisi economica. “Difendendo il dovere e il bisogno di giustizia – scrive ancora Dan Segre – l’appello di papa Francesco risuona con forza e senza bisogno di interpretazioni né dell’intermediazione dei media”. Raggiunto al telefono lo stesso Segre spiega perché in Israele, e dalle elezioni del Gran Rabbinato, non sia ancora emerso un cambiamento su questo fronte. “Due sono i motivi: la mancanza di coraggio e la carenza di fede in Kadosh Baruchu, in Dio. E le due cose sono strettamente legate perché quando non c’è fiducia in Kadosh Baruchu manca anche il coraggio per migliorare, per fare dei cambiamenti”. Questo, sottolinea il giornalista, nonostante la società israeliana sia molto vivace e in continuo fermento ma è troppo schiacciata sulla fede nella “forza materiale; deve recuperare la spiritualità”.
Daniel Reichel