Ginevra – Dibattito Onu sui diritti umani Tobia Zevi (WJC): “Territori, no al Rapporto contro Israele”
Ventidue pagine di velenose accuse contro Israele, dall’apartheid alla pulizia etnica, redatte dal giurista statunitense Richard Falk, in cui si parla degli insediamenti israeliani nella West Bank, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza. Ventidue pagine a senso unico, che vorrebbero incentivare l’emarginazione internazionale dello Stato ebraico, ma in cui non compare nemmeno una volta la parola Hamas. I rappresentanti delle 47 nazioni rappresentate a Ginevra nel Consiglio dei Diritti umani (tra cui l’Italia), organo sussidiario dell’Assemblea generale dell’Onu, stanno ascoltando una requisitoria in cui l’unico imputato è, come a Ginevra accade di frequente, Israele.
Fra gli interventi degli stati membri e delle organizzazioni internazionali invitate a partecipare anche quello di un esponente ebraico italiano, Tobia Zevi, che è stato delegato a portare la voce del World Jewish Congress.
“Intervengo oggi in rappresentanza del Congresso mondiale ebraico – ha detto Zevi nell’aula dellONU – un’organizzazione internazionale che rappresenta oltre cento comunità ebraiche in tutto il mondo. Il legame degli ebrei con Israele fa parte della nostra anima. È un prodotto della nostra storia e viva tradizione, rimasto ininterrotto per migliaia di anni. E in nome della forza di questo legame, noi abbracciamo le prospettive di vedere israeliani e palestinesi che vivono fianco a fianco in due stati fondati sulla pace e sulla libertà. Quando si prende in considerazione il conflitto tra Israele e i suoi vicini, questo Consiglio dovrebbe avere come suo unico scopo l’impegno a promuovere una pace giusta e duratura per tutte le parti. Questo Consiglio dovrebbe agire per promuovere il dialogo, la cooperazione e la comprensione reciproca. Dovrebbe promuovere la causa dei diritti umani. Invece, sappiamo tutti che l’agenda, le attività e l’atmosfera che circonda il Consiglio in merito al conflitto israelo-palestinese fanno poco per promuovere obbiettivi di pace”.
“Sin dalla sua creazione – ha aggiunto Tobia Zevi – questo Consiglio ha approvato un numero record di risoluzioni per condannare Israele – oltre 45 risoluzioni, più di un terzo di tutte le risoluzioni prese contro uno specifico paese. Sappiamo tutti quale situazione viene ignorata come costo di questa ossessione. E quando un Inviato speciale incoraggia le Nazioni Unite a giocare un ‘ruolo cruciale’ in una ‘Guerra di delegittimazione’ contro uno stato membro (A/HRC/25/67, paragrafo 6); quando promuove il boicottaggio; e quando brandisce infide parole come ‘apartheid’ e ‘pulizia etnica’, il rischio per la legittimità di questo Consiglio diventa troppo alto. I nostri Maestri hanno insegnato al mondo il valore e la santità della parola scritta e parlata. Per amore della pace in Medio Oriente, richiamiamo con rispetto il Consiglio a prestare attenzione all’importanza delle parole; ad assicurare che il Consiglio giochi un ruolo produttivo nella promozione della pace. E che lavori per rescindere questo punto 7 nell’agenda dei suoi lavori”.
Il Consiglio cui Tobia Zevi si è rivolto in difesa dello Stato di Israele è riunito per ascoltare il rapporto del Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967. Il rapporto appare viziato da un evidente sbilanciamento quando non una deformazione della realtà, ma il suo redattore, Falk – il cui incarico si concluderà in estate, al termine di un mandato di sei anni – rappresenta anche una figura controversa a livello internazionale: ha espresso in più di un occasione tesi cospirazioniste sull’11 settembre e incolpato “la dominazione globale americana” e “Tel Aviv” dell’attacco terroristico alla maratona di Boston dello scorso anno. Affermazioni deliranti, di tale gravità, da indurre, oltre a una dura condanna da parte del segretario generale dell’Onu Bank Ki Moon, anche alcuni paesi e organizzazioni internazionali a chiedere la rimozione di Falk dal suo incarico. Richiesta dettata non solo dalla evidente mancanza di obiettività del personaggio, ma anche in contrasto con i capisaldi della Consiglio di promuovere “il rispetto universale e la protezione dei diritti umani”(Risoluzione A/HRC/RES/5/1 “Institution-building of the United Nations Human Rights Council” del 2006).
L’organizzazione è per ora rimasta sorda a queste istanze. A difendere le posizioni di Israele, dopo gli interventi previsti di molte nazioni, anche il Worl Jewish Congress che ha affidato a Zevi, membro dello Young Professional Diplomatic Corps (corpo diplomatico legato al Wjc), di esprimere il proprio sconcerto di fronte alla faziosità delle affermazioni di Falk.
Hillel Neuer, direttore esecutivo della Un Watch (ong con base a Ginevra cui compito è il monitoraggio del comportamento delle Nazioni Unite), scrive “il report di Falk si guarda bene dal menzionare crimini di guerra o violazione dei diritti umani da parte di Hamas, Jihad islamica o Autorità palestinese. Invece punta il dito contro Israele e le stesse Nazioni Unite”. Secondo il giurista, professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University, “bisogna ricordare che la sofferenza del popolo palestinese è legata indissolubilmente agli accordi di ripartizione proposti inizialmente dalle Nazioni Unite nel 1947”. Falk – cui origine ebraica non ha impedito di postare sul suo blog una vignetta antisemita, poi rimossa con scuse annesse – sposa così la tesi del peccato originale di Israele, con la divisione buoni-cattivi in cui lo Stato ebraico ricopre sempre il secondo ruolo.
E Israele è tanto “cattiva” da concentrare dal 2006, data di nascita del Consiglio dei Diritti Umani (andato a sostituire la criticata Commissione dei Diritti Umani), i maggiori sforzi dell’organizzazione, essendo sempre presente nell’agenda dei lavori. Tanto che il 35% dei rapporti presentati fino ad oggi al Consigli riguardano Israele. Un’attenzione ossessiva – così definita dal rappresentante degli Stati Uniti e che ha portato lo Stato ebraico a sospendere per due anni la sua adesione, tornando nel 2013 – è stata condannata sia dal Segretario generale dell’Onu Kofi Annan sia dal suo successore Ban Ki-moon. “C’è uno sproporzionato focus sulle violazioni di Israele. Non che a Israele si possa dare carte bianca, ma il Consiglio dovrebbe prestare la stessa attenzione alle gravi violazioni commesse da altri Stati”, sottolineò allora Annan.
Dei 47 membri che a rotazione vengono nominati (il mandato dura tre anni) con voto segreto dalla maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea Generale dell’Onu, 13 sono paesi africani, 13 paesi asiatici, 6 dell’Europa orientale, 8 dell’America Latina e Caraibi e 7 dell’Europa occidentale e altri stati. Dopo le elezioni dello scorso 12 novembre, Human rights watch ha ricordato che cinque dei paesi che hanno ottenuto un seggio (Cina, Russia, Arabia Saudita, Vietnam e Algeria) non hanno consentito l’accesso nei loro territori agli osservatori per i diritti umani dell’Onu che dovevano verificare presunte violazioni.
Secondo Gerald M. Steinberg, presidente del dipartimento dell’Università Bar-Ilan, “l’Organizzazione della Cooperazione islamica (Oic, ente internazionale che rappresenta 57 paesi e con una delegazione permanente all’Onu) e i suoi alleati hanno giocato un ruolo determinante nel fissare l’agenda e le attività del Consiglio dei Diritti Umani, bloccando costantemente ogni discussione sulle proprie sistematiche violazioni dei diritti umani”. Secondo Steinberg, questo tipo di condizionamenti è fra i motori della “narrativa palestinese” che ha portato al consolidamento di una visione di parte della storia del conflitto mediorientale. Su questa impronta, “le prese di posizione delle Ong – sottolinea ancora Steiberg – spesso includono accuse (a Israele) di apartheid, pulizia etnica e invocazioni di sanzioni, boicottaggi e disinvestimenti”. Quadro che rispecchia interamente il rapporto di Robert Falk che aveva dichiarato, “Israele ha intenzioni genocide contro i palestinesi”.
Seppur anche nella società israeliana il dibattito sugli insediamenti e sulla situazione dei coloni, così come la questione dei palestinesi siano terreno di confronto e scontro, affermazioni come quelle di Falk cercano di delegittimare la stessa esistenza dello Stato ebraico. Lo stesso Richard Goldstone, ex giudice della Corte costituzionale sudafricana, autore dell’omonimo e controverso rapporto del 2009 sull’operazione Piombo fuso, usato in lungo e in largo per attaccare Israele , tornò sui suoi passi. “Se avessi saputo allora quello che so adesso, il Report Goldstone sarebbe stato un documento diverso”, affermerà il giurista, riferendosi alle azioni dell’esercito di Israele, volta alla protezione dei cittadini israeliani e “non a colpire intenzionalmente i civili”. Goldstone, in un articolo pubblicato sul Washington Post, sottolinea – che, a onor di cronaca, non assolve lo Stato ebraico dalle sue responsabilità – come per parte israeliana ci sia stato un impegno nell’indagare sulle azioni militare dei suoi soldati, “Hamas – i cui razzi, spiega il giudice, erano intenzionalmente e in modo indiscriminato diretti a colpire i civili – non ha fatto nulla”. Lo stessa organizzazione terrorista palestinese che Falk nel suo rapporto evita accuratamente di nominare.
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked