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22 ottobre 2010 - 14 Cheshvan 5771
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Roberto Colombo
Roberto
Colombo,
rabbino 

Rav Carucci e Rav Della Rocca hanno lodato Avrahàm per “aver messo in gioco se stesso e la sua scuola”, con lo scopo di liberare Lot che si era allontanato dalla Torah. Qualcuno potrebbe leggere l’insegnamento come: “Abbassiamo il livello di Torah, ad esempio a scuola, per permettere anche ai lontani di avvicinarsi”. La teoria, a volte, si scontra con la pratica. Gli alunni di Avrahàm sono scomparsi dalla Torah e poi è scomparso pure Lot.
Sonia
Brunetti
Luzzati,
   pedagogista


Sonia Brunetti

“I tedeschi sentivano il bisogno di educarci, magari uccidendoci, ma di educarci”. (Giuliana Fiorentino Tedeschi reduce da Auschwitz alla cui memoria è  stata dedicata recentemente una giornata di studio a Yad Va Shem). 

davar
I falsi dell'odio - Il libro avvelenato, fra avventura e realtà
pubblicoCi sono buoni motivi per credere che l’ultimo mercoledì di questo mese d’ottobre sia da considerarsi una giornata particolare. Anche se mancano conferme ufficiali, in quella data è previsto appaia nelle librerie una novità di tutto rispetto, forse il fatto principale di tutta la stagione culturale. L’editore è fra i più apprezzati: Bompiani. Il titolo un tocco di mistero e fascinazione: Il cimitero di Praga. La firma quella del più noto intellettuale italiano vivente: Umberto Eco. E fra gli slogan presi in considerazione prima del lancio spunta un inevitabile richiamo al principale caso letterario della nostra storia recente. A trent’anni da Il nome della Rosa (di cui si calcola siano in circolazione circa nove milioni di copie in tutto il mondo), questo nuovo libro, che sia destinato a ripeterne il successo numerico o meno, segna una scadenza importante.
Ovviamente sul contenuto dell’ultima opera dello scrittore e semiologo vige la massima riservatezza. Alla vigilia dell’uscita di un grande romanzo, il fattore sorpresa è d’obbligo e ogni tentativo di violarlo sarebbe sciocco, e anche molto arrischiato. Eppure in questo caso l’autore ha disseminato, forse con qualche malizia, il cammino di segnali che a ben vedere in qualche direzione portano. E c’è pensare che si tratterà di un libro dedicato a temi cui la minoranza ebraica è comprensibilmente molto sensibile. Se l’attesa è alta, l’attenzione in campo ebraico, da noi o altrove, potrebbe esserlo ancora di più. Cerchiamo di mettere assieme i pochi indizi lasciati alla luce del sole. A cominciare dal titolo. Nella città boema esistono diversi cimiteri. Ma quando si dice “il cimitero di Praga” ci sono pochi dubbi: si fa riferimento al cimitero ebraico più famoso del mondo. Un luogo del vecchio ghetto celebrato da leggende che narrano di alchimisti capaci di tramutare ogni metallo in oro, rabbini dai poteri magici, automi potenti e colossali, misteri, fantasmi e storie di ebrei sempre in bilico fra speranza e persecuzioni, successo e disastro. Nessuno può escludere che Eco, sulle orme dei romanzi di Meyrink e del cinema di Wegener, abbia voluto dedicare la sua fatica più recente al mito del Golem e alla Praga del ghetto più misterioso e affascinante. Ma esiste quantomeno un’altra possibile pista. Il cimitero di Praga non è solo un campo sovraffollato di pietre corrose dal tempo. E’ anche un territorio della fantasia collettiva, il luogo dove alcuni grandi falsari dell’odio antiebraico hanno voluto immaginare si svolgessero le cospirazioni di ebrei intenzionati ad assumere il controllo del mondo. Il laboratorio dove si sono costruiti tutti i miti dell’odio, il repellente armamentario culturale e ideologico che ha sostenuto i fautori del razzismo e del genocidio. Lì si incontravano, secondo i demenziali autori dei primi romanzetti antisemiti che facevano apparizione fra la fine dell’Ottocento e il debutto del secolo scorso, i maggiorenti di fantomatiche consorterie di potere per tradire la loro sete di denaro e di dominio. E da lì avrebbero preso le mosse anche i famigerati Protocolli dei savi anziani di Sion, il più clamoroso e tristemente celebre falso dell’odio. Sarebbe solo letteratura di infimo livello, se non fosse stata usata, con un successo molto maggiore delle aspettative nutrite dagli stessi autori, per praticare il genocidio e massacrare milioni di innocenti. La lettura dei libri di Eco mostra come il suo lavoro letterario si inoltri sempre lungo lo stretto passaggio fra la storia, la grande conoscenza e il romanzo, il richiamo dell’avventura. E siano costanti elementi che riportano il lettore a quei territori fra Piemonte e Lombardia legati al vissuto dell’autore e tanto importanti nell’interpretazione della nostra identità. 
Un’analisi di molti scritti di Eco dimostra anche come il semiologo sia un profondo conoscitore e un’analista raffinato dalla biblioteca dei grandi falsi dell’odio. Sua è la luminosa introduzione a The Plot il capolavoro disegnato da Will Eisner che smaschera attori e agenti della sudicia storia dei Protocolli (edizione italiana Il complotto, Einaudi editore). Sue le coraggiose affermazioni che hanno opposto al mito di un’Italia al riparo dall’antisemitismo il dato di fatto che in presenza di un moderata componente di odio da parte del popolo, proprio gli ambienti intellettuali e religiosi italiani abbiano offerto ai teorici dell’antisemitismo strumenti decisivi. In ogni caso, e senza ovviamente mettere minimamente in dubbio le migliori intenzioni di un intellettuale rigoroso e trasparente, sembra che nelle prossime settimane i protocolli dell’odio torneranno sotto gli occhi di molti lettori. E per quanto la logica, la cultura e un’onesta evidenza dei fatti smontino in modo incontrovertibile qualunque flusso malsano, è sempre meglio restare con gli occhi aperti. Ecco, in attesa di leggere il nuovo romanzo, il motivo di questo dossier. Anche perché, per dirla con lo stesso autore del Cimitero di Praga, “quello che appare incredibile è che questo falso sia rinato dalle proprie ceneri ogni volta che qualcuno ha dimostrato che si trattava di un falso. Al di là di ogni dubbio”.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche, ottobre 2010


I savi anziani di Sion e l’epopea di una menzogna planetaria

“Una bugia – scriveva Mark Twain – fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe”. Così accadde per la più violenta e dannosa bugia della storia della letteratura, I protocolli dei savi anziani di Sion, il testo che diventerà il manifesto dell’antisemitismo moderno. La clamorosa quanto falsa ricostruzione di un fantomatico complotto ebraico, ordito dai cattivi anziani o savi di Sion, si è diffusa nel tempo e nello spazio a una velocità impressionante.
Dalla Germania nazista all’Egitto di Sadat e Nasser, dagli zar di Russia ai terroristi di Hamas, i Protocolli hanno attraversato un secolo di storia, divenendo la scusa principe per le più efferate violenze contro gli ebrei. Un’arma politica per giustificare l’odio antisemita e la volontà di delegittimare Israele. Una calunnia partorita agli inizi del Novecento che, nonostante la comprovata falsità, continua a risultare credibile agli occhi di chi non vuol vedere. E così, oggi come allora, si favoleggia della potente lobby ebraica che domina il mondo grazie al denaro e all’informazione. “Per mezzo della stampa – si legge infatti nel Protocollo II del testo pubblicato nel 1905 – acquistammo influenza pur rimanendo dietro alle quinte. In virtù della stampa accumulammo l’oro: ci costò fiumi di sangue e il sacrificio di molta gente nostra, ma ogni sacrificio dal lato nostro, vale migliaia di Gentili nel cospetto di Dio”. Dominare i gentili, governare il mondo, sovvertire l’ordine sociale, controllare la massa. Questo in sintesi il progetto dei savi di Sion, segretamente elaborato a Basilea nel 1897 durante il primo Congresso sionista, secondo quanto riporta Sergei Nilus, scrittore mistico russo vicino agli ambienti reazionari e antisemiti dell’epoca. Lo stesso Nilus, fervente sostenitore dello zar, pubblica nel 1905 la versione integrale dei Protocolli nel suo libro Il grande nel piccolo: la venuta dell’Anticristo e il regno di Satana sulla terra. Qui lo scrittore cambia la sua versione sull’origine dei documenti. I Protocolli sarebbero il resoconto di un incontro segreto dei leader giudaico massonici in Francia. Nilus dice di aver ottenuto da un amico la copia tradotta mentre gli originali erano stati rubati da una donna a uno dei capi della cospirazione. Tutto falso. In Russia, ai piani alti, scoprono la verità già nel 1905. In Europa, quindici anni dopo. Ma andiamo con ordine perché il percorso della menzogna è tortuoso ed è necessario fare un passo indietro. In nome della rivoluzione sociale, nel 1881 il gruppo anarchico populista Volontà del popolo uccide a San Pietroburgo lo zar Alessandro II. Seguono anni difficili, di tumulti popolari e sanguinose repressioni mentre i rivoluzionari invocano diritti e libertà.
Le autorità sono preoccupate, l’ordine sociale è in bilico. La soluzione per quietare il furore delle masse? I pogrom. Per oltre vent’anni la violenza e le efferatezze contro gli ebrei sono innumerevoli in tutta la Russia, fomentate dall’odio teologico della Chiesa ortodossa, dalla paura panslava della modernità e dal regime zarista, come sottolinea la storica Anna Foa in Ebrei in Europa. Le autorità identificano gli ebrei con i pericolosi rivoluzionari progressisti e vogliono eliminarli. Ogni accusa è valida per perpetrare il gioco al massacro. Così l’Okhrana, la polizia segreta russa, sfrutta anche la letteratura contemporanea, in particolare le parole di un libello antisemita di un certo sir John Retcliffe, al secolo Herman Goedsche. Biarritz (1868) è il titolo del pamphlet ma il capitolo chiave per gli agenti dell’Okhrana è quello intitolato “Il cimitero ebraico di Praga e il Consiglio dei rappresentanti delle dodici tribù di Israele”. Qui il sedicente scrittore racconta di un’assemblea segreta di rabbini, che si riunirebbero ogni cent’anni per pianificare il complotto giudaico. L’opera di Goedsche è un éclatante caso di plagio, una rivisitazione in chiave antisemita dello scritto satirico del francese Maurice Joly Dialoghi agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu.
Falso o no, l’Okhrana affila le unghie sfruttando la teoria della cospirazione per rafforzare la posizione del debole zar Nicola II e screditare i sostenitori delle riforme liberali che simpatizzano con il proletariato ebraico. In Francia intanto scoppia l’affaire Dreyfus. L’attenzione dell’Europa intera si focalizza sulla questione ebraica. Nelle piazze francesi folle di persone invocano “morte agli ebrei”. Nel regno d’oltralpe il terreno antisemita è stato preparato a dovere dal movimento antidemocratico e reazionario. Le tesi di Drumont e il suo France Juive (1880) contro il complotto ebraico e per cancellare l’uguaglianza concessa con la Rivoluzione fanno breccia nella massa. Su questi presupposti, quasi a completare l’opera, nasce il manifesto dell’antisemitismo moderno: i Protocolli dei savi anziani di Sion. I documenti vengono scritti e redatti a Parigi nel 1897, gli autori sono un pugno di giornalisti e scrittori francesi e forse russi, tutti comunque a libro paga dell’onnipresente Okhrana. Inizia così l’epopea della grande menzogna.
I Protocolli appaiono per la prima volta in via ufficiale nel 1903, quando il quotidiano Znamia (La bandiera) di San Pietroburgo li pubblica in una versione a puntate. A farne largamente uso, negli anni successivi, sono i reazionari dell’Unione del popolo russo, noti come Centurie nere, che incolpano il complotto ebraico per il processo di liberalizzazione che si sta avviando in Russia. La costituzione concessa a malincuore da Nicola II e la creazione della Duma, il parlamento russo, sostengono le Centurie nere, sono la dimostrazione che gli ebrei stanno cercando di sovvertire l’ordine sociale. Anche lo zar pare condividere questa tesi e conserva nella sua libreria una copia dei Protocolli. Purtroppo per lui e per le Centurie un’indagine segreta, condotta nel 1905 e voluta dal presidente Pyotr Stolypin, svela come i documenti siano contemporaneamente un falso e un plagio. Nulla di quanto scoperto, però, è reso noto. I Protocolli continuano a essere pubblicati (nel 1906 e 1907 in un’edizione di George Butmi) e i pogrom continuano, feroci come sempre. L’ebreo è visto come cospiratore progressista, liberale, democratico. Ma nel 1917 si evolve e diventa bolscevico. Sì, sono i giudei a guidare la rivoluzione di Ottobre, sono loro che comandano l’Armata Rossa.
C’è scritto anche nei Protocolli, affermano le fazioni legate all’Armata Bianca, il movimento controrivoluzionario. Mentre il futuro regime comunista allarma l’Europa e il mondo, le bugie dei Protocolli, portati oltre il confine russo dagli oppositori fuggiti, fanno breccia nella paura dei governanti e delle masse. “Questo movimento tra gli ebrei non è nuovo - scrive Winston Churchill sull’Illustrated Sunday Herald dell’8 febbraio 1920 - Dai giorni di Spartacus-Weishaupt a quelli di Karl Marx, e fino a Trotsky, Bela Kun, Rosa Luxembourg ed Emma Goldman, questa cospirazione mondiale per il rovesciamento della civiltà e per la ricostruzione della società sulla base di uno sviluppo bloccato, di un’invidiosa cattiveria e dell’uguaglianza impossibile, è in costante crescita”. Già negli anni Venti le copie dei Protocolli fanno il giro del mondo, sbarcando in America del sud, nei paesi arabi, in estremo Oriente. Negli Stati Uniti il magnate Henry Ford pubblica L’ebreo internazionale, un libro commento dei ventiquattro documenti che troverà in seguito l’approvazione di Hitler e Goebbels. Quando il 16 agosto del 1921 il Times prova l’innegabile falsità dei Protocolli è troppo tardi. Migliaia di copie sono già state vendute in tutto il mondo e nuove edizioni si preparano a uscire. Rimane però prezioso il lavoro di Philip Graves, corrispondente del Times a Costantinopoli, che ricostruisce la storia dei documenti. Il giornalista dimostra come i Protocolli non siano altro che un plagio delle opere di Joly e di Goedsche, ipotizzando il coinvolgimento dell’Okhrana. Un quadro ancor più chiaro lo dà l’americano Herman Bernstein che nel 1921 scrive La storia di una bugia, in cui l’autore ripercorre i riferimenti letterari e le motivazioni politiche che hanno portato alla creazione del testo antisemita. Sulla stessa linea l’opera del diplomatico Lucien Wolf dal significativo titolo Lo spauracchio ebraico e i finti Protocolli dei savi di Sion (1920, Londra). Persino Goebbels, futuro ministro della propaganda nazista, non crede nei Protocolli ma il suo pensiero è la base dell’antisemitismo moderno. “Credo che i Protocolli dei savi anziani di Sion siano un falso – scrive sul suo diario, nel 1924, Goebbels – Ma credo anche nella verità intrinseca e non fattuale dei Protocolli”. Per Hitler, nel Mein Kampf, la prova che i Protocolli contengano la verità è semplice: gli ebrei cercano di dimostrarne la falsità quindi sono autentici. E, poi, scrive “la cosa importante è che con terrificante certezza essi rivelano la natura e l’attività del popolo ebraico ed espongono i loro contesti interni come anche i loro scopi finali”.
La stessa teoria che esporrà in Italia nel 1937 Julius Evola, in particolare nel suo saggio introduttivo ai Protocolli, edizione curata da Giovanni Preziosi. Secondo Evola i documenti sono un falso ma è la storia contemporanea con la crisi economica, la guerra mondiale, il comunismo a dimostrare la veridicità dei pensieri in essi contenuti. Chiusa la drammatica pagina del nazismo e della seconda guerra mondiale, per alcuni anni nessuno o quasi pronuncia più le parole complotto ebraico. Non dopo la Shoah. Ma ben presto la delirante giostra riparte. A guidare la nuova campagna antisemita sono, oltre ai negazionisti, molti esponenti del mondo arabo, oltraggiati dalla nascita di Israele. In Egitto il presidente Nasser, sconfitto dagli israeliani nella guerra dei Sei giorni nel 1967, fomenta l’odio antiebraico pubblicando centinaia di copie dei Protocolli. Negli anni Settanta in Libano i Protocolli sono un bestseller. Ancora nel 1988 all’articolo 32 del Patto del movimento della resistenza islamica (Hamas) si legge: “Il piano sionista è senza limiti.
Dopo la Palestina, i sionisti aspirano a espandersi dal Nilo all’Eufrate. Il loro piano è sancito nei Protocolli dei savi di Sion, e il loro comportamento attuale è la migliore prova di quanto stiamo dicendo”. In Siria appare una versione del testo, autorizzato dal ministero dell’Informazione, i cui si sostiene che l’11 settembre è il risultato della cospirazione dei savi di Sion. E non solo il mondo arabo cerca di riportare in voga le tesi del complotto ebraico. Nel 1993 il tribunale di Mosca condanna l’organizzazione ultranazionalista Pamyat per aver pubblicato il libro, di cui i giudici dichiarano la palese falsità. A maggio di quest’anno, a Torino, l’editore Roberto Chiaromonte è riconosciuto colpevole di diffamazione a mezzo stampa per la pubblicazione in italiano, con commento dello stesso editore, della versione di Sergei Nilus. Senza contare poi le scemenze che compaiono oggi su diversi siti antisemiti o negazionisti. Basta googleare Protocolli dei savi anziani di Sion per scoprire le più disparate e disperate teorie di cospirazioni demo-pluto-giudaico-massoniche. Le tesi contenute nel manifesto dell’antisemitismo moderno continuano così a diffondersi, malgrado la chiara dimostrazione della sua falsità. Rimangono pertanto attuali le affermazioni e gli auspici che il giudice Walter Meyer sostenne nel 1935 nel famoso processo di Berna in cui la corte dichiarò i Protocolli falsi, plagi e letteratura oscena, condannando un gruppo di filonazisti per aver pubblicato alcuni articoli a sostegno della veridicità del testo. “ Spero – disse Meyer durante l’ultima udienza – che verrà il momento in cui nessuno sarà in grado di capire come una dozzina di persone sane e responsabili furono capaci per due settimane di prendersi gioco dell’intelligenza della Corte discutendo dell’autenticità dei cosiddetti Protocolli, proprio quei Protocolli che, nocivi come sono stati e come saranno, non sono nient’altro che ridicole assurdità”.

Daniel Reichel


Qui Milano - Libri contro l’antisemitismo
Immagine incontroUn pacco di libri (involucro blu, fiocco bianco), una lunga chiacchierata e una stretta di mano. Così se l’è cavata Luca I., 19 anni, autore di una “bravata” che poteva avere delle conseguenze molto più serie di quelle che il giovane avrebbe mai potuto immaginare, quando nella primavera scorsa aveva urlato “ebrei di m…” all’indirizzo di alcuni passanti che, kippot in testa, si dirigevano verso la propria sinagoga. Scattata la denuncia grazie al numero di targa, Luca si è trovato coinvolto in un procedimento penale. Così ha presentato in procura una lettera di scuse indirizzata alla Comunità ebraica, in cui ha raccontato il suo pentimento e la sua vergogna per un gesto stupido e superficiale. Scuse accettate dal presidente della Comunità Roberto Jarach, ma a una condizione. Non il risarcimento il denaro previsto in casi analoghi, ma la ricerca della conoscenza, principio cardine dell’ebraismo. Dunque chiuso il procedimento penale senza conseguenze, Luca si è recato in Comunità insieme al suo avvocato Giambattista Colombo, e ha ascoltato con attenzione le parole di Jarach, per cominciare ad apprendere quello che prima ignorava sul popolo ebraico e sull’antisemitismo. “Devi capire che noi siamo costretti a fronteggiare molti episodi di antisemitismo, non solo casi isolati purtroppo, ma anche iniziative organizzate - ha spiegato il presidente - Non è una questione di ipersensibilità, il popolo ebraico nella storia ha trovato troppe volte porte chiuse e stereotipi insormontabili sulla strada della propria aspirazione all’uguaglianza. Siamo persone assolutamente normali, e ognuno di noi ha pregi e difetti propri. Perché nel momento stesso in cui identifichi un gruppo attribuendogli delle caratteristiche unitarie, allora formuli un pensiero razzista”. “Sono davvero dispiaciuto di quello che ho fatto, e più di tutto mi vergogno per la mia ignoranza” ha ribadito il diciannovenne. Proprio all’ignoranza, sulla scia della grande importanza data alla cultura nella tradizione ebraica, il presidente Jarach tiene a dare rimedio. “Una cosa ti auguro ora che questa vicenda si conclude: che tu possa diventare uno studioso, non solo di ebraismo e antisemitismo, ma dei problemi delle minoranze e del razzismo in generale, perché è ciò di cui il nostro paese più ha bisogno”. E sicuramente un buon punto di partenza sarà quel pacco blu che dalla scrivania è passato nelle mani di Luca. Quattro volumi appositamente selezionati per lui: L’ebraismo spiegato ai miei amici di Philippe Haddad, Ebrei in Italia 1870 -1938 di Maurizio Molinari, Ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione post bellica di Ilaria Pavan e Guri Schwarz, tutti pubblicati dalla Giuntina, e Breve storia degli ebrei e dell’antisemitismo di Eugenio Saracini, edito da Mondadori.
La scelta di rispondere con quattro libri al più ripetuto ritornello antisemita si inquadra nel dibattito che si è sviluppato sulla stampa ebraica e nazionale a proposito dell’opportunità di introdurre una legge che punisca penalmente il negazionismo. Ipotesi commentata dal presidente della Comunità di Milano a margine dell’incontro con Luca. “Non penso che lo strumento migliore per combattere il negazionismo possa essere l’intervento legislativo. Secondo la mia visione delle cose, una legge del genere non farebbe che fornire pretesti per contro-attacchi in nome di una pretesa libertà di espressione - ha spiegato Jarach - Il mio auspicio è invece che le istituzioni si impegnino per arginare le situazioni patologiche prima ancora che si verifichino in concreto. Su questo non dobbiamo transigere. Le università, gli enti pubblici non possono accettare di patrocinare gente come Moffa. Penso che il nostro paese e la nostra società siano assolutamente in grado di sviluppare questi anticorpi senza ricorrere a una legge”.
 
Rossella Tercatin


Qui Roma - Adeissima 2010, Noa in concerto
NoaAuditorium blindato per la cantante israeliana Noa protagonista del concerto di beneficenza organizzato dall'Adei-Wizo, Associazione Donne Ebree d'Italia, cui erano presenti fra gli altri, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, l'onorevole Fiamma Nirenstein, la professoressa Amira Meir, moglie dell'ambasciatore d'Israele Gideon Meir e Umberto Croppi assessore alle politiche culturali e alla comunicazione del Comune di Roma, che ha rivolto al pubblico presente in sala il saluto del Sindaco di Roma Gianni Alemanno. La serata, si è tenuta nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium Parco della Musica, dove le presidentesse dell'Adei Wizo di Roma Silvana Limentani e Viviana Levi hanno dato il benvenuto a Esther Mor capo dipartimento raccolta fondi della Wizo Mondiale e ospite d'onore della serata destinata alla raccolta fondi per il progetto 'Warm Home' - il calore di casa- rivolto a bambine e ragazze che non hanno una famiglia, vivono ai margini della società con grosse difficoltà, con il rischio di trovarsi a vivere in ambienti pericolosi.
La cantautrice  israeliana con radici yemenite i cui genitori furono costretti a fuggire dal  paese di origine  a causa dell'ostilità seguente alla proclamazione dello Stato di Israele poi trasferitasi  a New York, decide di tornare in Israele dove presta il servizio militare e in seguito  sposa il pediatra Asher Barak da cui ha avuto tre bambini.
Noa si è esibita con un repertorio molto vario, accompagnata da chitarrista Gil Dor che la segue durante tutte le sue turnèe e dalla pianista Rita Marcotulli, eseguendo canti in ebraico, inglese, yemenita, italiano ed anche in dialetto napoletano.
L'abbiamo incontrata qualche minuto prima della sua esibizione ed abbiamo potuto scambiare con lei alcune parole.
Noa ti senti felice di cantare in Italia?
Moltissimo. Amo molto questo paese che, dopo Israele, considero la mia seconda casa.
Perché hai deciso di legare il tuo nome al progetto 'Warm Home'?
Ci sono due valori che considero molto importanti nella vita di ciascuno di noi ed essi sono la generosità e l'umanità, il dare aiuto a persone che si trovino in difficoltà. Ritengo che questo sia un progetto che merita molta adesione. Il progetto Warm Home individua adolescenti e ragazze  in difficoltà e cerca di aiutarle ad abbandonare cattive amicizie e ambienti pericolosi, offendo ospitalità e attenzione ai bisogni e alla disperazione che queste ragazze provano, permettendo loro di ricevere l'aiuto di cui hanno bisogno. Ritengo che sia una cosa bellissima che l'Adei abbia deciso di dare il proprio appoggio a questo progetto e, anche io la mia.
Sei un'artista da sempre impegnata nell'utilizzo della musica come strumento di riavvicinamento fra popoli in conflitto, con particolare riguardo alla questione mediorientale, arriverà la pace per Israele?
Lo spero, lo spero tanto. Ora ci sono nuove trattative di pace ed io penso che non possiamo perdere questa possibilità, non dobbiamo perderla. Si parla spesso della questione palestinese , ma  anche  gli israeliani stanno soffrendo e ora più che in ogni altro momento  hanno bisogno della pace.
Hai cantato a  fianco di Sting, Carlos Santana o del gruppo italo-palestinese Radio Dervish o ancora, davanti all'aulica platea del Vaticano, quale di queste esperienze ti è rimasta di più sulla pelle e quale delle tue canzoni ami di più?
Amo tutte le mie canzoni nello stesso modo, non potrei mai cantare un brano se non lo amassi e considero ogni esperienza importante, sono stata molto felice di aver dato voce al brano  Life is beautiful that way , che ho scritto io stessa e che fa parte della colonna sonora del film La vita è bella. Stimo molto Roberto Benigni ed anche Nicola Piovani.

Lucilla Efrati

Qui Livorno - La città riscopre il bagitto
striscioniNon poteva che svolgersi all’interno del mercato Buontalenti la presentazione di un archivio sonoro dedicato al bagitto, la storica e pittoresca parlata degli ebrei livornesi. Tra i banchi di uno dei luoghi più ruspanti di Livorno e davanti a un pubblico numeroso, lo studioso Alessandro Orfano ha presentato il frutto di due anni di interviste e incontri con gli ultimi ebrei labronici ancora capaci di sbagittare, contribuendo alla significativa ricerca storica sul tema con un lavoro originale in cui alle varie testimonianze orali si affiancano un ricco glossario e un approfondimento sulle peculiarità di quel gergo vivace che racchiude nei suoi fonemi le mille anime mediterranee della città che lo ha visto nascere. Colsi il bagitto quando si spargeva, questo il titolo del dvd di Orfano (finanziato tra gli altri dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dalla Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno) che si ispira all’omonimo sonetto del commediografo Guido Bedarida, apre un nuovo fronte e simboleggia il rinnovato interesse che si respira intorno al bagitto, lingua “bassa” che nel dopoguerra gli ebrei livornesi smisero di adottare perché ritenuta indecorosa e ignorante ma in realtà condensato di patrimoni e ricchezze culturali inestimabili. Ad occuparsi del bagitto sono stati nel passato alcuni studiosi americani, israeliani e olandesi, ma anche il livornese Pardo Fornaciari, menestrello di tradizioni popolari e autore del libro Fate onore al bel Purim. Adesso il testimone della ricerca è passato a Orfano, che proprio al bagitto ha dedicato la sua tesi di laurea a breve in stampa con la casa editrice Gaia Scienza. Nel suggestivo contesto del mercato Buontalenti, eccezionalmente aperto anche di pomeriggio, Orfano e gli altri relatori tra cui il professor Fabrizio Franceschini dell’Università di Pisa e il professor Marcello Aprile dell’Università del Salento, hanno parlato di bagitto come “anima di Livorno” ripercorrendo il nesso esistente tra la parlata della minoranza ebraica labronica e il dialetto di una cittadinanza che la ospitò esule dalla Spagna e dal Portogallo senza mai rinchiuderla nei confini netti di un ghetto. Una commistione linguistica presente ancora oggi, con l’esempio più evidente di “sciagattare”, termine bagitto che fa parte del vocabolario base di ogni livornese doc, e con l’appuntamento dal fornaio di molti buongustai che per il loro snack di metà mattinata scelgono le roschette, prelibatezze di origine ebraica simili ai tarallucci pugliesi e dal nome di derivazione bagitta. 
Coordinatore della serata del Buontalenti era Gabriele Bedarida, figlio di quel Guido “che colse il bagitto quando si spargeva” e motore culturale della Comunità ebraica livornese. Il dottor Bedarida, nell’introdurre la serata nel corso della quale alcuni sonetti di suo padre hanno allietato i numerosi presenti in sala, ha malinconicamente parlato di “mondo che non v’è più”. Ma a fronte di un glossario che va scomparendo dalla memoria collettiva, continuano ad arrivare nuovi stimoli per proseguire l’approfondimento storico. L’ultimo in ordine di tempo proviene da Alessandria, dove le ricerche di Aldo Perosino hanno portato alla scoperta di un vastissimo carteggio (386 lettere in tutto) intrattenuto dall’ultimo rabbino di Alessandria, il livornese Ruggero Coen, che durante il suo mandato piemontese sviluppò una continuativa corrispondenza epistolare, attingendo in parte dall’espressiva terminologia bagitta, con familiari e molti rabbanim tra cui il Rav Elio Toaff.

Adam Smulevich


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Ma chi lo ha detto?
Tizio della SeraStiamo leggendo la lettera di Seneca sugli schiavi, che dichiara la sostanziale uguaglianza di tutti gli uomini e invita a vivere “con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore vivesse con te”; i miei allievi si stupiscono che un pagano abbia scritto frasi del genere e qualcuno azzarda addirittura che siano state aggiunte da qualche monaco nel corso del Medioevo. Discutono su chi sia stato il primo a dire queste cose e io faccio notare che “Ama il tuo prossimo come te stesso” era già scritto da secoli nella Torah; ovviamente dico “Vecchio Testamento”, perché la cosa suoni più digeribile, ma non basta. “Non è vero” risponde prontamente un’allieva, con il sorrisetto timido ma deciso di chi vuole far notare all’insegnante che sta prendendo una cantonata. Io insisto e quella chiude la discussione con un “Se lo dice Lei…” per nulla convinto. Sconcertata, ho provato a cercare il verso con Google e ho scoperto che in effetti si fa veramente fatica a risalire alla fonte originale.
Esiste dunque una sorta di “negazionismo della Torah”?

Anna Segre, insegnante

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