moked/מוקד il portale dell'ebraismo italiano 21/3/2011 - 15 Adar Shenì 5771

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Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Un movimento insolito alle spalle di un albergo in via della Conciliazione, a Roma, seguito da imbarazzanti no-comment e smentite; finalmente in serata la verità è venuta a galla: un incontro riservato tra esponenti della curia e del rabbinato, su un tema scottante di attualità, in un clima di dialogo franco e costruttivo. Ed è stato subito chiarito che l'argomento non era quello mondano della guerra nel Mediterraneo, ma una questione rituale e teologica che sta molto più a cuore alle due religioni, di cui non si riesce a venire a capo; il mistero della resistenza della kippà, il copricapo degli ebrei osservanti, che sembra non cadere mai dalle loro teste, a differenza delle varie papaline indossate dagli ecclesiastici che non resistono al primo soffio di vento. Si è appreso che gli esperti rabbini convocati, dapprima reticenti, hanno presto capito che nello spirito dei nuovi tempi bisognava collaborare e rivelare la verità. Per cui dopo aver negato le ipotesi razionalistiche e semplicistiche più comuni, come l'uso di colle speciali o di forcine nascoste, hanno fatto capire che l'insolita resistenza dipende dal tipo speciale di capello che cresce sulla testa dell'ebreo, dovuto alla combinazione di una dura cervice, un cuore non illuminato, una dieta particolare e, pare, ma su questo le fonti sono poco chiare, le delizie e i grattacapi della vita coniugale. Se queste sono le condizioni, hanno commentato dall'altra parte, sarà meglio rischiare qualche soffio di vento. La notizia sembra inverosimile, e infatti lo è. Ieri e oggi è Purim. 

Anna
Foa,
storica

   
Anna Foa
La notizia ripresa da David Bidussa sull'alef/tav di ieri mi era sfuggita, trascurata com'era stata dalla stampa: una manifestazione a Gaza contro Hamas, e da Hamas repressa con violenza, in cui i manifestanti chiedono libertà invece di scagliarsi contro il nemico di sempre, Israele.  Ci saremmo aspettati un gran rilievo almeno da parte di quanti guardano con costante partecipazione ad Eretz Israel. E' solo un seme, certo, ma con altri simili segnali che arrivano dal mondo arabo in questi ultimi tempi può essere un seme di speranza, di cambiamento. E allora, perché non raccoglierlo, se non altro per aiutarlo a metter radici e a rafforzarsi?

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davar
Qui Roma - Chagall sottosopra
Locandina mostraLa mattina di Purim, dopo la lettura della Meghillat Ester, sono andato a visitare la mostra dedicata a Marc Chagall all’Ara Pacis di Roma. Il titolo della mostra è “Chagall - Il mondo sotto sopra” (con le T e la A scritte alla rovescia). Il quadro più prezioso o più delicato, a giudicare dai sistemi di protezione, è “L’uomo con la testa rovesciata”, del 1919, dove non solo la testa è rovesciata (questo in Chagall non farebbe notizia), ma anche la firma lo è (non lo sfondo di case, però). Mi è sembrato che la mostra fosse in tono con il giorno di Purim (oltre al fatto che sta per chiudere). Infatti, anche la Meghillà è tutta all’insegna del “ribaltamento” delle situazioni e delle sorti dei Chagall - L'uomo con la testa rovescita 1919popoli (venahafokh hu; nehppakh lahem, Ester cap. 9, 1 e 22), nonché della confusione (veha’ir Shushan navokha, cap. 3, 15).
Mentre cercavo di farmi strada in mezzo alla calca dei visitatori della domenica, mi si avvicina un signore di mezza età. Forse grazie alla kippà, ha pensato che io fossi la persona adatta cui rivolgersi (ma non necessariamente identificandomi come correligionario di Chagall, magari mi ha scambiato per un addetto). In un romanesco verace di area trasteverina, mi dice: “Ah capoo, ma come dipingeva questo! Me pàreno disegni de’ regazzini”. Mi sono limitato a rispondergli, sorridendo: “Eh, ma a dipingere così è diventato famoso!”.
Una volta Chagall disse: “Se sei pittore, puoi avere la testa al posto dei piedi, e resterai pittore”.

rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio rabbinico italiano 

Purim e la perdita del senso critico
vignetta PurimTra le norme di Purim c'è l'obbligo di ubriacarsi fino a non distinguere più tra arur Haman e barukh Mordekhai, "maledetto Haman e benedetto Mordekhai". Va subito detto che quest'obbligo di bere è interpretato in vario modo, da qualcuno in senso strettamente letterale e da altri come una minima variazione rispetto ad abitudini molto sobrie. Ma la regola non cessa di stupire, perché distinguere (o non più distinguere sotto gli effetti dell'alcool) tra Haman il cattivo e Mordekhai il buono è facile, ma dire che il cattivo deve essere maledetto e il buono benedetto è dire comunque la stessa cosa e quindi che confusione c'è. Si aggiunga il fatto, facilmente controllabile, che persino la gematrià, il valore numerico, delle due espressioni è uguale. Forse è proprio qui il sottile inganno didattico proposto dai Maestri: anche quando si pensa di aver perso il controllo della realtà le cose rimangono tali e quali. E' solo il senso critico che è venuto meno. E solo una volta all'anno, con il vino di Purim, abbiamo il diritto-dovere di perdere il senso critico.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Purim con Pagine Ebbraiche
Pagine Ebbraiche
Il giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche pubblica sul numero di marzo, attualmente in distribuzione, un dossier per ridere e per riflettere, dedicato a Purim. Lo speciale su Witz & humor è stato curato da Gabriele Di Segni e Adam Smulevich. Fra gli  articoli e gfli scherzi contenuti nel dossier dossier le parodie del «Corriere della Sara», «Ragazzetta Ufficiale», «L’Osservatore Nostrano» che commenta il festival di Sanremo in un latino maccheronico esilarante, e «la Ripubblica » in versione enogastronomica in cui si citano le più importanti regole alimentari dell’ebraismo per ricordare che «non tutto il maiale viene per cuocere».

Clicca qui per leggere Pagine Ebbraiche


Viva la parodia

CavaglionNon si può vivere di solo umorismo yiddish, di barzellette sugli ebrei s’è scritto (forse) troppo. Ci siamo dimenticati di un genere di scrittura, la parodia, dove la cultura ebraica ha lasciato maestri insigni. La parodia impone un discorso sul concetto di imitazione. Un asino che raglia non suscita l’attenzione di nessuno, nemmeno degli altri asini. Un leone che imita un asino che raglia fa problema, perché gli altri leoni non sono disposti a perdonarlo. Gli ebrei posseggono il genio dell’imitazione, scriveva Ahad Ha-Am: è nota la definizione di uomo come “animale mimetico” data da Disraeli. In Italia basti fare il nome di Franca Valeri. La verità non si può imitare, dice Mendel di Kotzk nei Racconti dei Chassidim di Martin Buber, tutto il resto sì. I romanzi di Philip Roth e tanto cinema americano sono pieni di ragazzi costretti da genitori assillanti a imitare la voce della zia Rachele o di nonno Moshe. È però sulla letteratura che dobbiamo riflettere. Non inganni il fatto che oggi in Italia si imitino, purtroppo, soltanto i politici e non gli scrittori. Non è un segnale incoraggiante. La parodia è invece un riconoscimento della poesia. Uno scrittore non è uno scrittore se non possiede un proprio abbecedario d’immagini. Il parodista si appropria di questo cifrario e lo imita. Lo stile è come il carattere. Talvolta l’imitazione serve all’imitato e lo fa crescere, come scrisse Max Libermann a proposito di Robert Neumann: una parodia deve essere più spontanea dell’originale. I Promessi sposi di Guido Da Verona, l’Antologia apocrifa di Paolo Vita Finzi hanno avuto vita lunghissima e migliaia di lettori. Guido Almansi e Guido Fink raccolsero il testimone e sempre da Bompiani pubblicarono Quasi come, esempio di parodistica comparata. La profondità della parodia è data dalla contiguità con due problemi interpretativi centrali nell’ebraismo: da un lato la questione dell’imitazione di Dio (Lev. 11,44), dall’altro il problema del divieto di farsi immagine. Non ci si fa immagine di nessuno, ma con la parola si può fare quello che con il pennello è proibito fare. 

Alberto Cavaglion, Pagine Ebraiche, marzo 2011

Qui Roma - A confronto sulle rivolte del mondo islamico
pubblicoE' in corso di svolgimento il Convegno internazionale 'Israele di fronte alla rivoluzione dei paesi musulmani, speranza o pericolo?' Organizzato alla Camera dei deputati dall'onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Esteri. Il summit che coinvolge molti esperti fra cui il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto, Robin Shepherd, direttore degli Affari internazionali del 'think tank' londinese 'Henry Jackson Society', Ferdinando Adornato, Margherita Boniver, Gianni Vernetti,  Yossy Kuperwasser, direttore generale del ministero israeliano Affari strategici, ma anche Stefano Folli, Pierluigi Battista, Mario Sechi, per fare solo alcuni nomi, al terzo giorno dell'Operazione 'Alba dell'Odissea' pone fra i suoi obiettivi la richiesta al mondo arabo di mettere fine alla cultura di morte nei confronti di Israele. Il convegno si divide in tre panel di approfondimento: il primo 'Un futuro di pace o una prospettiva di guerra? " Il secondo che analizza i riflessi sul conflitto israelo palestinese e un terzo grande panel dal titolo 'Europa e Usa: alla ricerca di nuovi equilibri'.

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Imbarazzo e tornaconto
Donatella Di CesareDovrebbe oggi sentirsi in imbarazzo chi ha preteso di interpretare i rapporti tra l’Occidente e il mondo arabo attraverso lo schema dello scontro di civiltà. Tanto più che, proprio in Italia, i leader politici che hanno agitato questo spettro sono stati fino a qualche ora fa gli amici fidati di logori e spietati dittatori. Non aver visto il bisogno di democrazia, l’urgenza dei diritti umani, la richiesta di cambiamento mostra quanto sia miope e deleterio ragionare attraverso vecchi schemi per riflettere su nuove realtà. Il rischio è di guerreggiare con fantasmi, se non addirittura di finire grossolanamente da una parte sbagliata: quella del tiranno piuttosto che del suo popolo.
L’altra faccia della medaglia è un terzomondismo che, pur di innalzare il proprio vessillo consunto, spiega tutto con il determinismo dell’interesse e non esita a sostenere o a farsi sostenere da regimi tutt’altro che democratici (un buon esempio è quello di Chavez).
Che dire poi della irresponsabile indifferenza che pensa al tornaconto meschino di casa propria, una casa da difendere dallo straniero?
Nell’accelerazione degli eventi sarebbe più che mai necessario lo sforzo di riflettere in modo nuovo e soprattutto di imparare a distinguere. Perché l’esercizio prudente e accorto della distinzione è certo uno dei fondamenti della democrazia e della lotta comune contro la violenza. Ne hanno bisogno le rive del Mediterraneo; ne ha bisogno Israele.

Donatella Di Cesare, filosofa

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notizieflash   rassegna stampa
Netanyahu: "Romperemo
l'asse del terrorismo"
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La nave diretta a Gaza e fermata da Israele nei giorni scorsi conteneva armi di provenienza iraniana. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu appresa la notizia e ispezionato il carico di armi ha affermato: "Abbiamo a che fare con un asse del terrorismo che alla fine romperemo". Come sostenuto da alcuni fonti militari dello Stato ebraico, infatti, il carico dell’imbarcazione, dirottata nel porto israeliano di Ashdod, avrebbe dovuto raggiungere la Striscia con un rifornimento per i terroristi.
 
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