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il portale dell'ebraismo italiano
22/3/2011 - 16 Adar Shenì 5771
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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".....poiché l’ebreo Mordechai
era secondo solo al re Achashverosh, grande per gli ebrei e gradito
alla maggioranza dei suoi fratelli...." (Ester, 10; 3)
- ma non a tutti i suoi fratelli -, spiega il Talmùd, per
dirci che una parte del Sinedrio prese le distanze da lui
perché una volta compiuto da Mordechai il salvataggio del suo
popolo egli avrebbe dovuto dedicarsi allo studio della Torah
anziché proseguire l’attività politica, sia pure allo scopo di
scongiurare eventuali pericoli futuri....." ( T.B. Meghillah 16 b). Il
Libro di Ester si conclude con un capitolo di soli tre versi che ci
fanno capire come, dopo una Shoah sventata, la condizione degli ebrei
torna alla normalità tanto che Mordechai entra nei palazzi del
potere. E' la conclusione di una storia drammatica e
paradigmatica, che se da un lato ribadisce come l'ebreo ha l’obbligo di
agire per il bene del paese in cui si trova, da un altro lato ci
dimostra come il potere politico, quando da strumento si trasforma in
modello di vita, può allontanare dalla Torah perfino un grande saggio
come Mordechai.
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Alfredo
Mordechai
Rabello,
giurista
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L'uomo abita con se stesso per settant'anni e non conosce se stesso.
(Rabbi Israel Salanter)
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Qui Roma - Israele e le
rivolte islamiche |
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Quali prospettive si aprono
per lo Stato israeliano di fronte alla rivoluzione in corso nei Paesi
musulmani? A questa e a molte altre domande sul futuro della politica
mediorientale nello scacchiere mondiale si è cercato di rispondere nel
Convegno 'Israele di fronte alla rivoluzione dei paesi musulmani,
speranza o pericolo?', organizzato alla Camera dei deputati
dall'onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione
Esteri.
Il summit ha coinvolto molti esperti fra cui il sottosegretario alla
Difesa Guido Crosetto, Robin Shepherd, direttore degli Affari
internazionali del 'think tank' londinese 'Henry Jackson Society',
Khaled Fouad Allam, Margherita Boniver, Gianni Vernetti, Yossy
Kuperwasser, direttore generale del ministero israeliano Affari
strategici, Pinhas Inbari del Jerusalem Center for Public Affairs,
Marta Dassù dell'Aspen Institute Italia, ma anche Carlo Panella,
Stefano Folli, Pierluigi Battista, Mario Sechi, al terzo giorno
dell'Operazione 'Alba dell'Odissea' pone fra i suoi obiettivi la
richiesta al mondo arabo di mettere fine alla cultura di morte nei
confronti di Israele. Il convegno si è diviso in tre panel di
approfondimento: il primo 'Un futuro di pace o una prospettiva di
guerra? " Il secondo che analizza i riflessi sul conflitto israelo
palestinese e un terzo grande panel dal titolo 'Europa e Usa: alla
ricerca di nuovi equilibri'.
"La prospettiva di una Libia post Gheddafi non è prevedibile ed è
questo uno dei problemi di fronte a cui ci troveremo". E' quanto ha
affermato il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, sottolineando
che una delle finalità del convegno è quella di capire cosa avverrà in
Israele in seguito a questo, visto che per una volta lo stato ebraico
non è l'epicentro di quanto sta avvenendo in Medioriente ed esprimendo
la propria preoccupazione “della mancanza dell'idea di un percorso da
fare per la Libia". Secondo Crosetto, quindi, nel caso del Paese nord
africano "c'è una crisi, la si affronta ma non si sa dove questa possa
portarci". In ogni caso, ha precisato il sottosegretario, quella
portata avanti dall'Occidente "non è una guerra contro la Libia ma
l'attuazione di una risoluzione dell'Onu con un mandato circoscritto".
Tuttavia "molti Paesi", all'interno della coalizione di Stati che sono
intervenuti militarmente, "si stanno muovendo anche guardando alla
politica interna e alle elezioni. Le posizioni di Francia e Germania al
riguardo lo dimostrano", ha ancora evidenziato Crosetto, ricordando che
l'Italia dal punto di vista economico è "il Paese che sta perdendo di
più da ciò che accade" vista "la forte dipendenza economica" che aveva
l'Italia dal Paese magrebino.
Preoccupazione per il nuovo assetto dei paesi nei quali sono scoppiate
le rivolte degli ultimi mesi, Tunisia, Egitto e per ultima la Libia e
per le conseguenze che queste avranno sulla scena internazionale sono
espresse da tutti i relatori, fra cui Kahled Fouad Allam, che spiega
come nello scenario pre-rivolta abbiano avuto una parte molto
importante gli “effetti disastrosi” della crisi economica globale sulla
società araba, mentre Carlo Panella parla di fallimento della dottrina
Obama annunciata nel giugno 2009. Allargando lo sguardo il giornalista
dice “Se volete capire cosa non sta succedendo in Iran ora, la causa è
da ricercasi nel taglio dei fondi americani all'Onda verde”
E sullo stesso tono Yossi Kuperwasser sostiene che il destino del
Medioriente verrà deciso soprattutto da come verrà gestita la minaccia
iraniana. “L'Iran vuole cambiare l'ordine mondiale, spiega Kuperwasser,
“l'unico modo per eliminare questo pericolo è alzare la testa ed
evitare che possa davvero farlo”
Un intervento militare "condotto da quattro cinque nazioni con il
beneplacito 'peloso' della Lega araba non è stata una grande idea".
Così Margherita Boniver, presidente della commissione bicamerale
Schengen e inviato speciale del ministro degli Esteri per le emergenze
umanitarie che ha espresso "scetticismo e preoccupazione" di fronte
alle operazioni militari avviate in Libia lo scorso 19 marzo. Secondo
la Boniver, quindi, "non è stata una grande idea quella di non
percorrere la via diplomatica fino in fondo. La via militare deve
essere l'ultima scelta e non la prima, come sembra". Da qui, "avere dei
dubbi e dello scetticismo" sull'intervento "mi sembra indispensabile e
doveroso e dovrebbe farci riflettere su come l'Ue forse sia andata in
ordine sparso", anche perché "la posizione dell'Italia è quella più
rischiosa", ha aggiunto la parlamentare del Pdl, precisando che la
risoluzione dell'Onu "mi sembra piuttosto confusa su cosa fare con
Gheddafi".
La posizione della Boniver desta perplessità in molti dei relatori fra
cui Gianni Vernetti, Marta Dassù, che sostengono l'inutilità del porsi
la domanda ora che la decisione di intervenire è stata presa, la guerra
in Libia è una guerra giusta e bisogna scommettere sul desiderio di
libertà di queste popolazioni, anzi l'occidente dovrebbe attuare
politiche di diffusione della democrazia.
Fiamma Nirenstein, si è invece soffermata sul pericolo di un'influenza
fondamentalista e anti-israeliana sulle rivolte in Nordafrica e Medio
Oriente. "Le teorie di cospirazione sono uno strumento di coesione nei
Paesi arabi e impediscono il raggiungimento delle democrazie", ha
sottolineato la Nirenstein, annunciando "una lettera aperta in cui
chiederemo ai nuovi governi" formatisi dopo le rivolte "di pronunciarsi
contro queste teorie e contro l'incitamento all'odio anti-israeliano".
Lucilla Efrati
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Il miracolo
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Sono
orgogliosa di essere ebrea, dichiara Natalie Portman dall’alto
dell’Oscar 2011 per la migliore attrice protagonista. Sono orgoglioso
di essere ebreo, dice Charlie Sheen difendendosi dall’accusa di
essere
antisemita. Sono orgoglioso di essere ebreo, tuona Dimitri Salita prima
di salire sul ring. Sono orgoglioso di essere ebreo scrive su Facebook
Joe Kashnow, soldato americano in Iraq. Sono orgoglioso di essere
ebreo, sillaba Daniel Pearl mentre i suoi carnefici lo sgozzano senza
pietà. E’ un onore essere ebreo, dice Yossl Rakover rivolgendosi a D-o
dal ghetto di Varsavia. Riscoprite l’orgoglio di essere ebrei, implora
Mordechai Hayehudì, Mordechai l’ebreo, nelle strade di Shushan.
Rimanete attaccati alle vostre tradizioni, non dimenticate la Torah.
Non fatevi lusingare dall’invito al banchetto non kasher del re, non
fatevi ingannare dall’amicizia momentanea del suo consigliere Haman.
Non fate dipendere il vostro successo dagli onori che vi conferiscono.
Non mettete il vostro destino nelle loro mani. Prima che sia troppo
tardi. Ma essere ebrei è fuori moda nella Persia del 358
a.e.v.
L’inchino a Haman è il trend ebraico del momento. E quello stesso Haman
tanto amico degli ebrei, opta per lo sterminio dei suoi
amici. Lo
stesso Achaverosh che li aveva invitati al banchetto reale, appone il
proprio sigillo perché gli ebrei si possano annientare. Mordechai ci
riprova. Rimettete il vostro destino nelle mani di D-o, urla al popolo
davanti agli editti reali. E il miracolo avviene. Il miracolo di vedere
ebrei di sinistra, di destra e di centro uniti contro il nemico comune.
Il miracolo di un’unica strategia del popolo ebraico per affrontare la
tragicità del momento. Il miracolo di individui che si erano
volutamente spogliati di ogni identità ebraica, che pregano D-o e
accettano su di sé la Torah. Il miracolo di un popolo che vedeva
nell’assimilazione l’unica via di vita e successo. E che di fronte a
un’immensa prova riscopre la fede e l’orgoglio della propria
identità.
Il miracolo di Purim. Un evento che ha posto le basi perché 2000 anni
dopo si pensi ancora che ‘essere ebreo sia una virtù innata. Si nasce
ebrei così come si nasce artisti. Non ci si può liberare dall'essere
ebrei. E’ una qualità divina insita in ognuno di noi. Ed è quello che
ci rende un vero e unico popolo. (Zvi Kolitz, Yossl Rakover si rivolge
a D-o)
Gheula
Canarutto Nemni
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Gli animali e la sofferenza
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Sono un vegetariano convinto
quasi sempre praticante. Anche per questo seguo la discussione che si
apre oggi in seno al Parlamento olandese sull’opportunità di rendere
obbligatoria la sedazione dell’animale prima della macellazione. Questa
pratica contravviene alla norma religiosa ebraica e musulmana, e ogni
volta che se ne è parlato in passato le istituzioni ebraiche hanno
reagito con veemenza ed estrema preoccupazione. Secondo molti,
addirittura, un paese che legifera in tal senso sta già mostrando segni
inquietanti di antisemitismo. Per questioni di spazio provo a
sintetizzare gli argomenti sul tappeto, a mio giudizio di straordinario
interesse:
1) Sul piano politico il discorso è scottante per la similitudine tra
schechità (macellazione ebraica) e macellazione islamica: molti in
Europa hanno interesse a bloccare la carne halal nel quadro di un
restringimento delle politiche sull’immigrazione.
2) La questione pone un quesito complicato sul piano
giuridico-culturale. Dove è il confine tra l’esercizio di un diritto,
quello alla libertà religiosa, e l’attuazione di un altro diritto,
quello dell’animale a non essere maltrattato? E inoltre, può la libertà
religiosa essere brandita per giustificare comportamenti che la legge,
o il senso comune, condannano?
3) Non esiste un’uniformità di vedute sul piano veterinario. La
comunità scientifica discute se la macellazione ebraica sia da
considerare più dolorosa per l’animale, e non esiste un parere
definitivo. La sola discussione innesca però reazioni viscerali e
allarmate che impediscono una riflessione serena.
4) Si tratta anche di un problema interno all’ebraismo? Se la schechità
fu studiata dai Maestri per attenuare le sofferenze degli animali,
perché gli sviluppi della scienza vanno ritenuti una minaccia e non uno
sviluppo di quell’intuizione?
E infine, è un problema rilevante oppure possiamo disinteressarci ai
diritti degli animali? Il pensiero ebraico non li ha mai trascurati. A
partire dai sette precetti noahidi, attraverso le regole della
macellazione e dello Shabbath, fino all’opera di un grande scrittore
ebreo come Jonathan Safran Foer, gli ebrei si sono interrogati sui
diritti degli animali. Personalmente ritengo che si debba continuare su
questa strada, mostrandosi disponibili a una riflessione che al momento
non ha risposte definitive. Forse la schechità è tuttora il metodo meno
cruento per macellare l’animale, e forse non è antisemita chiunque la
metta in discussione.
Tobia
Zevi, associazione Hans Jonas
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rassegna
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Franco
Frattini: "Escludo che la Libia
possa diventare un nuovo califfato"
Roma, 22 marzo 2011
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la rassegna |
Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha parlato personalmente con
il capo della resistenza libica a Bengasi, l'ex ministro della
Giustizia Mustafa Abdel Jalil, lo ha riferito in un'intervista a Radio
Anch'io, nel corso della quale, fra le altre cose, ha affermato: "Non
credo che l'opposizione libica sia dominata dall'estremismo radicale".
L'ex ministro Jalil - ha detto ancora Frattini - ha ammesso di aver
avuto, nella prima fase dell'opposizione, la percezione di cellule
radicali islamiste che volevano infiltrarsi nel movimento
anti-Gheddafi. Cellule che però poi sono state "individuate e
allontanate". Frattini ha per questo dichiarato di "non credere che la
nuova Libia sarà un nuovo califfato, un paese estremista, radicale" e
si è detto invece convinto che "la nuova Libia sarà amica dell'Italia
come la Libia del passato". "Noi vogliamo essere amici del popolo
libico, non del regime".
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Le operazioni in Libia
proseguono in maniera molto confusa e anche in altri luoghi del mondo
arabo la rivolta prende piede; per esempio nello Yemen sembra
avvicinarsi un intervento dell’esercito di stile egiziano (Frattini sul
Corriere, Gallo sulla Stampa). Ma bisogna ricordare che
il regime yemenita conduceva con l’aiuto degli Usa una dura guerra
contro frange di Al Queida e ribelli col sostegno iraniano, che i
ribelli avevano fra l’altro anche colpita l’antichissima comunità
ebraica locale, almeno in parte protetta dal governo, costringendola al
ritiro.»
Ugo Volli
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