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moked/מוקד il portale dell'ebraismo italiano 3/7//2011 -  1 Tamuz 5771

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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

"Il Signore parlò a Mosè dicendo: - Prendi il bastone...e tu e tuo fratello Aron parlate alla roccia". Chi ha il bastone - e non tutti sono Mosè - deve essere in grado di non usarlo e di parlare. Anche a chi è duro come la roccia.



David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Spero che la vicenda della flottiglia per Gaza bloccata in Grecia, non sia presentata dai promotori come la prova del “complotto ebraico”, della capacità della lobby di ricattare e di “dettare le sue condizioni”. La politica per vincere ha bisogno di far passare il messaggio che sono gli sforzi dei militanti, la tenacia e la capacità di articolare un’azione pubblica a permettere il conseguimento di un fine. Se il fine non è raggiunto, in breve se si perde, vuol dire che quella strada politica non funzionava, che si è sottovalutata la forza delle ragioni proposte dall’avversario, che va migliorata la propria comunicazione. In breve che bisogna essere più acuti. Tutte cose in cui è in gioco la capacità di articolare la ragione. Se, sull’onda del disappunto, invece prevalesse la spiegazione della prevalenza delle forze occulte, allora vuol dire che si aveva, anche prima, un rapporto misterico, oscuro, e inquietante con la politica. E che per riprendere e ricominciare daccapo occorre prima risolvere il proprio rapporto “infantile” con la politica.
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davar
Qui Venezia - Melograni in fiore e vista sul Ghetto,
emozioni uniche da Kosher House
Nel corso degli ultimi mandati, il Consiglio della Comunità ebraica di Venezia ha avviato un processo di rivalutazione del patrimonio immobiliare, culminato nei lavori di ristrutturazione e adattamento dei locali del complesso Casa di Accoglienza Ebraica. Il progetto ha previsto una ridistribuzione degli spazi in tre aree indipendenti: un’area riservata all’accoglienza degli anziani, un’area dove è previsto un ristorante kosher da 100 coperti suddiviso in tre sale e nel giardino dove si potranno gustare piatti tipici della tradizione giudaico-veneziana e infine una terza area dove è stata da poco inaugurata la Kosher House Giardino dei Melograni, unica residenza kosher situata nel più antico e meglio conservato ghetto d’Europa, nei pressi del Museo Ebraico e delle sinagoghe. La struttura ricettiva dispone di 14 camere confortevoli con vista sul Ghetto e sui tetti di Venezia. Il giardino di melograni che introduce alla struttura è una particolarità difficilmente riscontrabile in altri luoghi cittadini. La scelta del nome porta con sé un significato più profondo: il melograno, nella tradizione ebraica, è infatti simbolo di prosperità e benessere e il suo frutto, che contiene più di 600 semi, è un richiamo alle 613 Mitzvot descritte nella Torah. Questo insieme di servizi darà la possibilità agli avventori di avere a disposizione un’accoglienza di livello sia per quanto riguarda il pernottamento sia per quanto concerne la ristorazione kosher: dal panino con l’affettato acquistabile presso il panificio Volpe alla caffetteria del museo fino al ristorante di prossima apertura che proporrà inoltre un servizio di catering di alto livello per cerimonie ed eventi. Tutto questo sotto la stretta sorveglianza del rabbinato di Venezia nella persona di rav Gili Benyamin. L’impiego nella Kosher House di persone iscritte alla Comunità al di sotto dei trent’anni è una decisione recentemente assunta dal Consiglio. “È importante che i giovani siano maggiormente coinvolti nella diretta gestione di alcuni aspetti comunitari, nella prospettiva un giorno di passare a loro il testimone” spiega il presidente della Comunità ebraica Amos Luzzatto. Oltre ad incrementare la partecipazione giovanile si è anche cercato di creare intorno alla Comunità un’area di riferimento che polarizzi l’enorme flusso turistico, ebraico e non solo, interessato a vivere in prima persona l’atmosfera particolare del Ghetto: dalla cucina tradizionale giudaico-veneziana, alle manifatture tipiche, al background storico e culturale.

Italia ebraica, luglio 2011

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pilpul
Davar acher - Buoni e cattivi
Ugo VolliHo letto di recente su queste pagine qualche difesa del buonismo e anche qualche tentativo di praticarlo, su cui mi sembra valga la pena di riflettere. Buonismo è una parola recente, che va tenuta accuratamente distinta dalla bontà. Essere buoni è naturalmente un obiettivo importante, che sta al centro di quell'aspetto della vita che oggi si chiama in maniera non sempre precisa etica. La bontà è una condizione esigente, che forse si può riassumere in quella massima che si usa attribuire a Hillel come massima della Torah, rispetto a cui "tutto il resto è commento" (il che non vuol dire certo che non importi, anzi): non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te stesso. O forse la bontà è descritta dalla seconda celebre formulazione dell'imperativo categorico, che impone di trattare gli altri sempre come fine e mai come mezzo. O forse ancora si tratta di quell'"amichevolezza per il mondo" che viene talvolta accostata all'insegnamento di Goethe. Come ebrei noi dobbiamo pensare che la bontà umana (non quella divina che è "rachmanut", misericordia) nella nostra tradizione viene spesso tradotta come giustizia e tzaddikim, giusti sono definiti i maestri hassidici, come pure i profeti. Il che ci induce a pensare che non vi sia nulla di sentimentale nel pensiero ebraico sulla giustizia, nessun "volemose bene", ma una concezione scrupolosa e precisa dei doveri verso gli altri, sempre plurali e spesso contrastanti.
Il buonismo è altra cosa, è l'idea che basti, avere buona volontà, essere gentili e simpatici, non far valere le proprie ragioni con troppa energia per risolvere le contraddizioni. E' la psicologizzazione della storia, la sostituzione del conflitto politico con la dimensione morale del non prendersela con gli altri, o magari dell'esercitare l'arte della buona educazione. Naturalmente non vi è nulla di male nella cortesia, anzi; ma credere che i conflitti siano questioni di cattivo carattere e che basti "dialogare" per risolverli è un'illusione alquanto infantile e certamente pericolosa. Se solo Mordechai non avesse provocato Amman con il suo altezzoso rifiuto di fargli onore, se gli ebrei fossero stati più gentili col Faraone o con Hitler, se fossero stati più possibilisti con l'Inquisizione, se oggi riconoscessero lo stato palestinese "a prescindere", accettando le frontiere che ci vengono proposte "senza fare tante storie" le cose sarebbero diverse – o no?
Lasciamo stare il passato, dov'è facile trovare nella nostra storia numerosi segni di cautela e tentativi di ottenere benevolenza, probabilmente utili ma certamente non decisivi. Parliamo dell'oggi, del conflitto con il mondo islamico. Possiamo davvero pensare che esso nasca da insufficiente volontà diplomatica o "buonismo". Che da un secolo gli arabi  cerchino di "espellere" il "corpo estraneo" dell'ebraismo (per usare il linguaggio di un portavoce del recente sinodo dei vescovi cattolici" solo perché non siamo stati abbastanza buonisti o cortesi o diplomatici? C'è qualcuno che pensa davvero che la pace coi palestinesi non si sia fatta solo perché Netanyahu non è abbastanza "buonista" e così Barak, Olmert,  e perfino Rabin che alla vigilia del suo assassinio esprimeva dubbi laceranti sul processo di pace? Qualcuno crede davvero che il problema con la passione antisemita dei giovani musulmani italiani dipenda dal fatto che non siamo stati abbastanza compiacenti con loro, e che basterebbe giocarci una partita a calcetto o fare una band rock mista per risolvere il conflitto? Che la Tunisia, prima nazione della rivoluzione araba, abbia stabilito di proibire i rapporti con Israele solo perché non abbiamo lodato a sufficienza la sua antica civiltà? C'è qualcuno oggi davvero tanto buonista da ripetere quel che si diceva un tempo e cioè che "con un po' di buona volontà", basterebbe una settimana per far la pace coi palestinesi, perché tanto sanno già tutti quali sono i parametri della pace? Qualcuno in particolare che creda che una volta trasformate ufficialmente in confini le linee armistiziali del '49 e stabilito un governo palestinese, non ci saranno più attentati né rivendicazioni? Che la pace con un nemico che dice apertamente di volerti annullare, non solo sconfiggere, si faccia rabbonendolo con qualche confessione? Sono domande difficili. Ma chiunque predica il buonismo ha l'obbligo morale di porsele.

Ugo Volli

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Sorgente di vita - Speciale circoncisione   Leggi la rassegna

La puntata di questa sera apre con un servizio sul discutibile referendum promosso a San Francisco in California per vietare la circoncisione rituale ai bambini. L’iniziativa, dai toni razzisti e antisemiti, lede i diritti delle minoranze religiose, in particolare degli ebrei e dei mussulmani, e ha suscitato molte proteste nella società civile. Ne parlano Maurizio Molinari, corrispondente da New York de “La Stampa” e il medico circoncisiore Leone Nauri. Paolo Ferrari legge i dieci comandamenti: ottavo, non rubare. Continua la serie dedicata al decalogo con la lettura del testo biblico e un commento affidato di volta in volta a voci diverse. Sull’ottavo comandamento intervengono il rabbino Benedetto Carucci Viterbi e il magistrato Gherardo Colombo. Infine la storia di Marco Moscati, giovane ebreo romano che dopo l’8 settembre del 1943 si unì ai gruppi partigiani che agivano nei Castelli Romani. Dalla lotta  contro i tedeschi alla tragica fine alle Fosse Ardeatine, il coraggio, l’amicizia e le azioni di un ragazzo come tanti nel ricordo dei suoi compagni e dei suoi familiari. Sorgente di vita va in onda domenica 3 luglio alle ore 1,20 circa su RAIDUE. La puntata sarà replicata lunedì 4 luglio alla stessa ora circa e lunedì 11 luglio alle 7 del mattino. I servizi di Sorgente di vita sono anche on line.



 
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