David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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Spero che la vicenda della
flottiglia per Gaza bloccata in Grecia, non sia presentata dai
promotori come la prova del “complotto ebraico”, della capacità della
lobby di ricattare e di “dettare le sue condizioni”. La politica per
vincere ha bisogno di far passare il messaggio che sono gli sforzi dei
militanti, la tenacia e la capacità di articolare un’azione pubblica a
permettere il conseguimento di un fine. Se il fine non è raggiunto, in
breve se si perde, vuol dire che quella strada politica non funzionava,
che si è sottovalutata la forza delle ragioni proposte dall’avversario,
che va migliorata la propria comunicazione. In breve che bisogna essere
più acuti. Tutte cose in cui è in gioco la capacità di articolare la
ragione. Se, sull’onda del disappunto, invece prevalesse la spiegazione
della prevalenza delle forze occulte, allora vuol dire che si aveva,
anche prima, un rapporto misterico, oscuro, e inquietante con la
politica. E che per riprendere e ricominciare daccapo occorre prima
risolvere il proprio rapporto “infantile” con la politica.
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Nel corso degli ultimi
mandati, il Consiglio della Comunità ebraica di Venezia ha avviato un
processo di rivalutazione del patrimonio immobiliare, culminato nei
lavori di ristrutturazione e adattamento dei locali del complesso Casa
di Accoglienza Ebraica. Il progetto ha previsto una ridistribuzione
degli spazi in tre aree indipendenti: un’area riservata all’accoglienza
degli anziani, un’area dove è previsto un ristorante kosher da 100
coperti suddiviso in tre sale e nel giardino dove si potranno gustare
piatti tipici della tradizione giudaico-veneziana e infine una terza
area dove è stata da poco inaugurata la Kosher House Giardino dei
Melograni, unica residenza kosher situata nel più antico e meglio
conservato ghetto d’Europa, nei pressi del Museo Ebraico e delle
sinagoghe. La struttura ricettiva dispone di 14 camere confortevoli con
vista sul Ghetto e sui tetti di Venezia. Il giardino di melograni che
introduce alla struttura è una particolarità difficilmente
riscontrabile in altri luoghi cittadini. La scelta del nome porta con
sé un significato più profondo: il melograno, nella tradizione ebraica,
è infatti simbolo di prosperità e benessere e il suo frutto, che
contiene più di 600 semi, è un richiamo alle 613 Mitzvot descritte
nella Torah. Questo insieme di servizi darà la possibilità agli
avventori di avere a disposizione un’accoglienza di livello sia per
quanto riguarda il pernottamento sia per quanto concerne la
ristorazione kosher: dal panino con l’affettato acquistabile presso il
panificio Volpe alla caffetteria del museo fino al ristorante di
prossima apertura che proporrà inoltre un servizio di catering di alto
livello per cerimonie ed eventi. Tutto questo sotto la stretta
sorveglianza del rabbinato di Venezia nella persona di rav Gili
Benyamin. L’impiego nella Kosher House di persone iscritte alla
Comunità al di sotto dei trent’anni è una decisione recentemente
assunta dal Consiglio. “È importante che i giovani siano maggiormente
coinvolti nella diretta gestione di alcuni aspetti comunitari, nella
prospettiva un giorno di passare a loro il testimone” spiega il
presidente della Comunità ebraica Amos Luzzatto. Oltre ad incrementare
la partecipazione giovanile si è anche cercato di creare intorno alla
Comunità un’area di riferimento che polarizzi l’enorme flusso
turistico, ebraico e non solo, interessato a vivere in prima persona
l’atmosfera particolare del Ghetto: dalla cucina tradizionale
giudaico-veneziana, alle manifatture tipiche, al background storico e
culturale.
Italia
ebraica, luglio 2011
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Davar acher - Buoni e cattivi |
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Ho letto di recente su queste
pagine qualche difesa del buonismo e anche qualche tentativo di
praticarlo, su cui mi sembra valga la pena di riflettere. Buonismo è
una parola recente, che va tenuta accuratamente distinta dalla bontà.
Essere buoni è naturalmente un obiettivo importante, che sta al centro
di quell'aspetto della vita che oggi si chiama in maniera non sempre
precisa etica. La bontà è una condizione esigente, che forse si può
riassumere in quella massima che si usa attribuire a Hillel come
massima della Torah, rispetto a cui "tutto il resto è commento" (il che
non vuol dire certo che non importi, anzi): non fare agli altri quel
che non vorresti fosse fatto a te stesso. O forse la bontà è descritta
dalla seconda celebre formulazione dell'imperativo categorico, che
impone di trattare gli altri sempre come fine e mai come mezzo. O forse
ancora si tratta di quell'"amichevolezza per il mondo" che viene
talvolta accostata all'insegnamento di Goethe. Come ebrei noi dobbiamo
pensare che la bontà umana (non quella divina che è "rachmanut",
misericordia) nella nostra tradizione viene spesso tradotta come
giustizia e tzaddikim, giusti sono definiti i maestri hassidici, come
pure i profeti. Il che ci induce a pensare che non vi sia nulla di
sentimentale nel pensiero ebraico sulla giustizia, nessun "volemose
bene", ma una concezione scrupolosa e precisa dei doveri verso gli
altri, sempre plurali e spesso contrastanti.
Il buonismo è altra cosa, è l'idea che basti, avere buona volontà,
essere gentili e simpatici, non far valere le proprie ragioni con
troppa energia per risolvere le contraddizioni. E' la psicologizzazione
della storia, la sostituzione del conflitto politico con la dimensione
morale del non prendersela con gli altri, o magari dell'esercitare
l'arte della buona educazione. Naturalmente non vi è nulla di male
nella cortesia, anzi; ma credere che i conflitti siano questioni di
cattivo carattere e che basti "dialogare" per risolverli è un'illusione
alquanto infantile e certamente pericolosa. Se solo Mordechai non
avesse provocato Amman con il suo altezzoso rifiuto di fargli onore, se
gli ebrei fossero stati più gentili col Faraone o con Hitler, se
fossero stati più possibilisti con l'Inquisizione, se oggi
riconoscessero lo stato palestinese "a prescindere", accettando le
frontiere che ci vengono proposte "senza fare tante storie" le cose
sarebbero diverse – o no?
Lasciamo stare il passato, dov'è facile trovare nella nostra storia
numerosi segni di cautela e tentativi di ottenere benevolenza,
probabilmente utili ma certamente non decisivi. Parliamo dell'oggi, del
conflitto con il mondo islamico. Possiamo davvero pensare che esso
nasca da insufficiente volontà diplomatica o "buonismo". Che da un
secolo gli arabi cerchino di "espellere" il "corpo estraneo"
dell'ebraismo (per usare il linguaggio di un portavoce del recente
sinodo dei vescovi cattolici" solo perché non siamo stati abbastanza
buonisti o cortesi o diplomatici? C'è qualcuno che pensa davvero che la
pace coi palestinesi non si sia fatta solo perché Netanyahu non è
abbastanza "buonista" e così Barak, Olmert, e perfino Rabin
che alla vigilia del suo assassinio esprimeva dubbi laceranti sul
processo di pace? Qualcuno crede davvero che il problema con la
passione antisemita dei giovani musulmani italiani dipenda dal fatto
che non siamo stati abbastanza compiacenti con loro, e che basterebbe
giocarci una partita a calcetto o fare una band rock mista per
risolvere il conflitto? Che la Tunisia, prima nazione della rivoluzione
araba, abbia stabilito di proibire i rapporti con Israele solo perché
non abbiamo lodato a sufficienza la sua antica civiltà? C'è qualcuno
oggi davvero tanto buonista da ripetere quel che si diceva un tempo e
cioè che "con un po' di buona volontà", basterebbe una settimana per
far la pace coi palestinesi, perché tanto sanno già tutti quali sono i
parametri della pace? Qualcuno in particolare che creda che una volta
trasformate ufficialmente in confini le linee armistiziali del '49 e
stabilito un governo palestinese, non ci saranno più attentati né
rivendicazioni? Che la pace con un nemico che dice apertamente di
volerti annullare, non solo sconfiggere, si faccia rabbonendolo con
qualche confessione? Sono domande difficili. Ma chiunque predica il
buonismo ha l'obbligo morale di porsele.
Ugo
Volli
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Sorgente
di vita - Speciale circoncisione
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La puntata di questa sera apre con un servizio sul discutibile
referendum promosso a San Francisco in California per vietare
la
circoncisione rituale ai bambini. L’iniziativa, dai toni razzisti e
antisemiti, lede i diritti delle minoranze religiose, in particolare
degli ebrei e dei mussulmani, e ha suscitato molte proteste
nella
società civile. Ne parlano Maurizio Molinari, corrispondente
da
New York de “La Stampa” e il medico circoncisiore Leone
Nauri.
Paolo Ferrari legge i dieci comandamenti: ottavo, non rubare. Continua
la serie dedicata al decalogo con la lettura del testo biblico e un
commento affidato di volta in volta a voci diverse.
Sull’ottavo
comandamento intervengono il rabbino Benedetto Carucci Viterbi e il
magistrato Gherardo Colombo. Infine la storia di Marco Moscati, giovane
ebreo romano che dopo l’8 settembre del 1943 si unì ai gruppi
partigiani che agivano nei Castelli Romani. Dalla
lotta
contro i tedeschi alla tragica fine alle Fosse Ardeatine, il
coraggio, l’amicizia e le azioni di un ragazzo come tanti nel ricordo
dei suoi compagni e dei suoi familiari. Sorgente
di vita va in onda domenica 3 luglio alle ore 1,20 circa su RAIDUE. La
puntata sarà replicata lunedì 4 luglio alla stessa ora circa e lunedì
11 luglio alle 7 del mattino. I servizi di Sorgente di vita
sono
anche on line.
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