David
Sciunnach,
rabbino
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Siamo
giunti alla festa di Sukkòt, ricorrenza che apparentemente sembra non
aver nulla a che fare con le intense e solenni giornate che ci hanno
preceduto (Rosh ha-Shanà e Kippur). In realtà i Maestri ci insegnano
che queste feste sono legate l’una all’altra. Così anche le tre mitzvòt
previste nella festa di Sukkòt sembrerebbero non aver nessun legame né
tra loro né con i giorni trascorsi. In realtà però il contenuto di
questa festa e dei suoi precetti è profondo di significati e legami. In
questi giorni di festa la Torà ci prescrive di uscire dalle nostre
abitazioni stabili e di entrare e risiedere nella Sukkà - la capanna,
di prendere il Lulav e di “gioire durante la Festa”.
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David
Assael,
ricercatore
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In
Francia, gli ultimi sondaggi danno il Front National in competizione
per divenire il primo partito del Paese; in Grecia, le ultime indagini
sugli orientamenti elettorali registrano la pressoché scomparsa del
Pasok accompagnata, come da migliori tradizioni ad un’inarrestabile
ascesa di Alba Dorata. Resiste, per ora e meno male visti i precedenti,
la Germania, dove le pulsioni distruttive sembrano coagularsi intorno
al neonato partito che vuole un Euro del Nord e uno del Sud, ma nel
resto dei Paesi nordici la xenofobia e le tendenze isolazioniste
dilagano. Insomma, ci aspettano, nel 2014, delle elezioni europee da
scontro finale. Noi, in Italia, ci aggiungiamo naturalmente del nostro
combattendo due guerre: questa e la grande “Guerra dei vent’anni”,
giusto per dire che chi è causa del suo mal pianga se stesso, invece di
dare la colpa agli altri.
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Un anno per la libertà
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Gli auguri del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Renzo Gattegna in occasione dell'inizio del nuovo anno ebraico.
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Voci a confronto
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"Da
Piazza Unità c’è un orizzonte stupendo, non riesci a distogliere lo
sguardo. E invece quel giorno di 75 anni fa, io al mare detti le
spalle: per ascoltare quelle terribili parole di Mussolini”. Massimo
Lopes Pegna, sulla Gazzetta dello Sport, anticipa l’intervista di
Pagine Ebraiche a Maurizio Nacmias, ebreo triestino, adolescente al
momento dell’annuncio dell’emanazione delle leggi antiebraiche da parte
di Mussolini, oggi novantenne e con un glorioso passato da lottatore
alle spalle.
Sulle commemorazioni del 18 settembre, spazio anche sull’Osservatore
Romano che richiama il discorso tenuto dal presidente UCEI Renzo
Gattegna lo scorso 16 settembre nella sala consiliare di Trieste. “Le
leggi del 1938, chiamate con un inaccettabile eufemismo “razziali”, ma
che in realtà furono “razziste” – ha ricordato Gattegna – colsero gli
ebrei, salvo poche eccezioni, sorpresi, increduli e impreparati tanto è
vero che molti pagarono con la vita il ritardo con il quale compresero
la gravità del pericolo”.
Bartali esempio di uomo, di sportivo e “prototipo del fiorentino
brontolone”. Così Matteo Renzi, sindaco di Firenze, ha ricordato,
nell’arco di una convention a Roma, Ginetaccio “che contestava, ma poi
si rimboccava le maniche e vinceva; che con la scusa di allenarsi, e
poggiando sulla sua notorietà di campione, durante gli anni terribili
della guerra aiutò tanti ebrei a salvarsi” (Corriere dello Sport).
“Proprio in questi giorni – ha affermato il sindaco – sta per
concludersi l’iter per il riconoscimento di Bartali come “Giusto tra le
Nazioni”, assegnato dal Museo della Shoah di Gerusalemme ai non ebrei
che, mettendo a repentaglio la propria vita, hanno salvato gli ebrei”.
“Lì, al Binario 21, siamo tutti ebrei, ma anche tutti, in quanto
uomini, capaci di male”. Parole di Paolo Biscottini, docente di
Museologia, che sul Corriere della Sera, nelle pagine milanesi,
sottolinea l’importanza di trasmettere agli studenti, alle nuove
generazione la memoria delle pagine buie del Novecento, la
responsabilità italiana, attraverso la visita di luoghi come il
Memoriale della Shoah di Milano.
La Commissione Giustizia della Camera ha approvato l’estensione
dell’aggravante dei reati di razzismo, nazismo, di tipo religioso ed
etnico (quelli appunto previsti dalla legge Mancino) anche per il reato
di omofobia. Gli emendamenti erano stati dichiarati incostituzionali
nel 2009 e nel 2011 attraverso il voto proprio della Camera sulle
pregiudiziali di costituzionalità. Questa volta, come ricorda
Alessandra Arachi sul Corriere, la maggioranza dei parlamentari di
Montecitorio ha votato no all’incostituzionalità (405 contro 100). Oggi
si dovrebbe arrivare al voto definitivo.
“Negli occhi dei bimbi di Damasco ho visto tutto l’orrore dei gas” è la
drammatica e strazante testimonianza raccolta da La Stampa di Maurizio
Barbeschi, ispettore dell’Onu italiano, membro della spedizione che si
è occupata di raccogliere prove sull’uso di armi chimiche in Siria.
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Risorse e bilanci
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Un approfondimento sull’ultimo Bilancio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
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QUI TRIESTE
"La mia lotta per la libertà"
Adolescente
perseguitato, sportivo, partigiano. La straordinaria storia di Maurizio
Nacmias, raccontata nella grande intervista
che appare sull'ultimo numero di Pagine Ebraiche in distribuzione in
questi giorni, è ripresa oggi con grande evidenza dalla Gazzetta dello
Sport , lo stesso giornale che - nel 1941, durante le persecuzioni antiebraiche - inconsapevolmente tributò l'onore della prima pagina a un atleta ebreo. Clicca sulle immagini per scaricare i pdf dei giornali.
(Il disegno è di Giorgio Albertini)
Lì, fra la gente, in quel
mattino assolato di settembre, la grande piazza aperta sul mare
traboccava di camicie nere. I ragazzi dovevano starsene schierati per
rendere omaggio a un Mussolini impettito, tronfio più che mai nella sua
visita a Trieste. La città ponte fra le genti d'Europa, la sfavillante
capitale cosmopolita di tutte le minoranze era ormai ridotta a uno
scenario di cartapesta e il dittatore si innalzava per arringare un
oceano di folla. In quella piazza, assieme a molti altri ebrei
triestini, c'era anche lui, Maurizio Nacmias, 15 anni. Convinti di
essere italiani in mezzo ad altri italiani. Molti illusi di un futuro
radioso che proprio in quel mattino cominciò, con l'avvio della
politica apertamente razzista del fascismo, a mostrare le sue crepe.
Gli ebrei di Trieste poterono ascoltare con le loro orecchie l'annuncio
dell'avvio di una legislazione per discriminarli, perseguitarli. Leggi
infami e indegne di qualunque società civile che infangarono l'onore
dell'Italia e condussero la nazione alla vergogna e alla rovina, ai
campi di sterminio e alla catastrofe. Ognuno, su quella piazza,
consapevolmente o meno, fu avvertito che era il momento di compiere una
scelta, che in ogni caso la vita non sarebbe stata più quella che era
prima.
“Certo che stavo in piazza. Ho sentito benissimo le sue minacce, ma
allora Mussolini non mi aveva fatto paura. Ero giovane, forte,
spavaldo. Temerario come tutti i ragazzi della mia età. E avevo
un'innata fiducia nel futuro”. Maurizio Nacmias torna oggi su quella
piazza piena di sole, una delle più belle d'Europa, ormai ripulita
dagli orrori dell'odio e delle persecuzioni. Stringe in pugno un suo
trofeo che testimonia di quelle vicende drammatiche e indimenticabili.
E racconta.
Nonostante la spavalderia, le cose cominciarono a prendere una brutta piega, o no?
Ma certo. Lo abbiamo potuto vedere subito. I miei compagni di classe
all'Istituto tecnico che frequentavo non sapevano dove voltare lo
sguardo per evitare di salutarmi. Solo poche settimane dopo è venuto il
bidello a dirmi di prendere la mia roba e di tornare a casa. Sono
rimasto da un momento all'altro senza far niente. E' la storia di tutti
i ragazzi ebrei di quell'età. Il momento delle scelte. Certo. Mio padre
ebbe la buona idea di mandarmi a imparare un mestiere in privato. Ho
cominciato a impratichirmi per diventare odontotecnico e questo è
rimasto il mestiere della mia vita.
Che aria si respirava in città nell'autunno del 1938 e nei mesi che seguirono?
Il clima di intimidazioni e di odio era cominciato anche prima della
visita di Mussolini. Cercavano di educare la gente a odiare gli ebrei e
a Trieste ci riuscirono molto bene. Ma non avevo paura. Cercavo di
andare avanti, di amare le qualità della vita.
Chi la conosce assicura che nella sua storia ha sempre dimostrato
quella passione di vivere la vita e la natura che è il segno di molti
triestini. Si riconosce in questo ritratto?
Certo che ho amato e amo questa città meravigliosa. E il suo scenario
di strade e di natura. La spavalderia di noi giovani, il gusto della
competizione leale. Il gusto della lotta. Sì, la mia vita è stata
segnata dal gusto della lotta. La lotta non come prova di prepotenza,
come esercizio della forza, ma come capacità di vincere con la lealtà,
l'energia e l'intelligenza.
Parliamoci chiaro. Lei è stato per tre volte campione italiano di lotta
libera e di lotta greco romana. Ha atterrato con poche mosse sportivi
che sembravano imbattibili, ha tenuto alto l'orgoglio dello sport
italiano a livello internazionale, ha sventolato il tricolore in due
Maccabiadi, infine ha allenato generazioni di lottatori insegnando
tecniche nuove che li hanno portati al successo.
E' vero. Ma quello che mi sembra più incredibile è come tutto questo
possa essere avvenuto in quegli anni. Da giovani si è coraggiosi, ma
talvolta anche incoscienti.
Vuol dire che i suoi successi sono cominciati durante le persecuzioni?
Prima dell'arrivo di Mussolini a Trieste avevo conosciuto per caso uno
sportivo straordinario, Albino Vidali, che gestiva lo stabilimento
balneare di Punta Sottile, là dove oggi cade il confine fra l'Italia e
la Slovenia. Mi ha notato durante l'estate e mi ha portato nella
palestra dove allenava alla lotta. Tutto è cominciato così, quasi per
caso. Dopo i primi successi sono divenuto vigile del fuoco volontario e
sono entrato nella squadra dei lottatori dei Vigili del fuoco di
Trieste. Mentre la città si dedicava alla caccia agli ebrei e i miei
coetanei venivano cacciati dalle società sportive e dal Club Alpino, di
me sembrava che non si fosse accorto nessuno. Con Vidali, che era
maresciallo dei pompieri, c'era il suo collega Guido Apollonio. Sono
loro che mi hanno protetto e mi hanno insegnato a lottare. Ma non solo.
Mi hanno insegnato ad avere coraggio anche di fronte alle peggiori
avversità. Per me sono stati degli eroi e hanno rappresentato gli
ideali di quei vigili del fuoco.
Lei non doveva proprio corrispondere ai sudici stereotipi di ebrei
vigliacchi e malaticci che la subcultura della Difesa della razza
opponeva all'immagine di una razza superiore giovane, sana e vincente.
Già. Sta di fatto che siamo andati avanti così per anni. I giornali
parlavano dei miei successi come se niente fosse.
Nessun problema?
Beh, al momento di consegnarmi il trofeo Raicevich, che era un premio
molto ambito per un peso medio come me, i giudici si interrogarono
sospettosi sul suono del mio cognome...
E come se la cavò?
Ho detto loro con la massima faccia tosta che a Trieste è normale avere
nomi strani, che è una città cosmopolita. Ci hanno creduto e hanno
smesso di fare domande. Il giorno dopo la Gazzetta dello Sport
riportava la notizia della mia vittoria, il mio nome stava nel titolo.
Con una mossa avevo atterrato un peso massimo. Ormai era il 1941,
probabilmente ero l'unico ebreo a gareggiare in Italia.
Fino a quando è riuscito ad andare avanti?
Con l'intensificarsi delle azioni antisemite le cose sono andate sempre
peggio. Gli ebrei di Trieste sono stati perseguitati in una maniera
infame ancora prima dell'arrivo dei tedeschi. Mio padre, che era andato
ad aiutare suo fratello per cercare di proteggere il negozio di
abbigliamento della sua famiglia, è stato aggredito dagli squadristi.
Non gli hanno fatto nemmeno togliere gli occhiali. Lo hanno lasciato
sul marciapiede, in pieno centro, in fin di vita. Della cosa si è
venuto a sapere e il nuovo comandante dei pompieri, il colonnello
Giorgio Conighi appena arrivato da Fiume, mi ha subito allontanato.
Ma ha continuato a lottare?
Sì, ma ormai come partigiano, per scacciare i banditi che avevano
distrutto la nostra vita. Subito prima dell'arrivo dei tedeschi a
Trieste siamo riusciti a rifugiarci a Firenze, da lì sono entrato nella
brigata Ponte Buggianese che portava il nome dell'anarchico pistoiese
Silvano Fedi. Era un gruppo molto agguerrito, ci siamo dedicati
soprattutto a far deragliare i treni che servivano ai fascisti e ai
tedeschi. Alla fine ho incontrato la Quinta armata e il generale Mark
Wayne Clark.
Anche una volta superata la Linea Gotica, la strada per tornare a casa, a Trieste, restava molto lunga.
Dopo l'arrivo degli Alleati, ma anche dopo la Liberazione di Trieste ho
preferito restare a Firenze. Mi avevano offerto un buon lavoro e mi
trovavo bene in mezzo a gente che mi aveva aiutato con coraggio e
lealtà. Non mi sentivo di tornare là dove mi avevano cacciato con tanto
odio. Nel 1949 ha prevalso la nostalgia e sono tornato a casa, quando
la città era ancora un territorio libero amministrato dagli
angloamericani.
Che situazione ha trovato?
La situazione era ancora disastrosa. I pochi sopravvissuti erano stati
depredati di tutto. Ricominciare una vita normale non era facile e non
ce l'avremmo fatta senza l'aiuto della Comunità ebraica, che ci ha
assistiti come poteva. Ma la vita ha ripreso il suo corso.
E la lotta?
Ho ricominciato subito con le mie passioni, per gareggiare e per
allenare altri giovani. La lotta mi ha portato in giro per il mondo e
sono fiero di aver fatto parte delle prime formazioni italiane che
hanno partecipato alle Maccabiadi quando lo Stato di Israele aveva
appena conquistato la propria indipendenza. Poi con il passare degli
anni ho cominciato a volgermi al mare, a lottare con le onde. Proprio
qui, a pochi metri da dove 75 anni fa sbarcò Mussolini, tengo
ormeggiata la mia barca a vela. Anzi, l'ho appena tirata su. Questa è
la stagione giusta per lavorare alla manutenzione, prima di alzare
ancora le vele.
A 90 anni, non è ancora stanco?
Bisogna guardare avanti senza avere paura. Nessun orizzonte, a
settembre, può spiegarlo più chiaramente di quello che si ammira da
questa piazza. Basta ricordarsi di non volgere la spalle al mare, come
abbiamo fatto noi in quel giorno di 75 anni fa. Guido Vitale (Pagine Ebraiche ottobre 2013)
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QUI TRIESTE
La
grande
sinagoga
protagonista su Bell'Italia
Memoria,
impegno. Ma anche cultura, turismo, progetti di vita. I bambini della
Scuola della Comunità ebraica di Trieste raccolti fra la folla questa
mattina nel luogo dove 75 fa Mussolini annunciò le persecuzioni,
trascinando l'Italia nel disonore e nella rovina, non hanno solo
partecipato a una rievocazione storica. Ma anche preso in consegna il
messaggio di vita e di speranza che gli ebrei italiani si tramandano
nei millenni. La Memoria viva e il nostro amore per la libertà e per la
giustizia non possono restare disgiunti dallo slancio verso il futuro.
Lo straordinario servizio che il prestigioso mensile Bell'Italia
dedica, nel numero di settembre attualmente in distribuzione, alla
grande sinagoga di Trieste, dimostra come l'Italia ebraica abbia molto
da dire non solo sotto il profilo di una storia difficile e gloriosa,
ma anche sotto quello della valorizzazione dei beni culturali, dello
sviluppo della conoscenza, del turismo, del nuovo impulso all'economia
e della reattività alla crisi.
gv
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