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Alfonso
Arbib, rabbino capo
di Milano
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La parashah comincia con il verso "E uscì
Ya'akòv da Beer Sheva e andò a Charàn". Rashì nota che l'uso del verbo
uscire è inutile (è già compreso nell'espressione "e andò") e spiega
che vuol indicare il vuoto lasciato da Ya'akòv nel luogo da cui esce.
Quel luogo viene privato della luce spirituale. Rav Wolbe nota che, in
genere, quando nella Torah compare il verbo uscire riferito a qualcuno,
viene interpretato dai Chakhamim negativamente. Per esempio è usato il
verbo uscire a proposito del mekalèl - bestemmiatore - e i Chakhamìm
dicono "e uscì dal mondo". Uscire ha un significato spirituale, si esce
dal proprio mondo, dal proprio ambiente, dal proprio contesto
spirituale. È un'operazione estremamente complicata e pericolosa, il
rischio è che uscire significhi anche perdersi. Solo uno tzaddìk come
Ya'akòv può uscire senza subirne le conseguenze. Ya'akòv rimane Ya'akòv
dovunque vada ed è il mondo che lo circonda che gode della sua
influenza positiva.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Catalogo delle ragioni per non lasciare la
comunità ebraica (dedicato a Moni Ovadia, perché ci ripensi):
non lascio, perché se me ne vado la comunità perde una voce libera
non lascio, perché anche se lo facessi sarebbero comunque gli altri a
identificarmi con la comunità
non lascio, perché ho passato gran parte della mia vita a lavorare per
l’apertura e per l’inclusione, e se non sono io per me, chi è per me?
(R.Hillel, Pirqe Avot)
non lascio, perché voglio che una comunità ebraica nella diaspora sia
libera come è libera la società israeliana
non lascio, perché questa è stata la casa dei miei bisnonni, dei miei
nonni e dei miei genitori, e vorrei che lo fosse per i miei figli e i
miei nipoti
non lascio, perché la società italiana ha bisogno di una comunità
ebraica aperta e democratica
non lascio, perché c’è bisogno di me e io ho bisogno degli altri (non
per niente siamo comunità)
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Cultura e istruzione
per difendere la Memoria |
“L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
ha più volte ribadito che la Memoria si tutela al meglio, ma
soprattutto si difende nel modo migliore privilegiando le armi della
cultura e dell'istruzione, impegni perenni e prioritari che nessuno
potrà mai porre in secondo piano anche perché le leggi stesse devono
sempre trovare una solida base nella coscienza collettiva”. Lo scrive
il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo
Gattegna in un editoriale che apparso sul quotidiano La Stampa. Per
questo Gattegna annuncia l'intenzione di coinvolgere le strutture
dell'UCEI “nel rivolgere un pressante appello e invitare a un confronto
e a una collaborazione diverse categorie che in un modo o nell'altro si
trovano in prima linea nella diffusione di cultura e di informazione
nella nostra società”. Educatori, docenti, intellettuali, giornalisti.
Ma anche coloro, come i bibliotecari e gli addetti alla vendita di
libri e di giornali, “che a contatto con la popolazione svolgono
attività di diffusione e che inconsapevolmente si trovano spesso a
essere strumento di chi pubblica appelli all'odio e all'ignoranza”.
L'intervento del presidente UCEI arriva a seguito dell'articolo in cui
il quotidiano torinese annunciava, in esclusiva, il ritiro del disegno
di legge sul negazionismo e la sua trasformazione in aggravante di
reati già esistenti.
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Voci a confronto
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Un luogo segreto per evitare processioni di
nostalgici; lontano da Roma per il rispetto dovuto alla città e alle
sue vittime. La scelta di mantenere la segretezza sulla sepoltura del
criminale Erich Priebke (come a rivelato Repubblica ieri, la salma si
trova nel cimitero di un carcere italiano) trova l’apprezzamento del
mondo ebraico italiano. “Credo sia una soluzione dettata dalle esigenze
individuali delle istituzioni italiane che invitano al silenzio –
spiega al giornalista Gabriele Isman di Repubblica il presidente UCEI
Renzo Gattegna – E’ comunque una persona deceduta e io voglio accettare
e rispettare questo invito”. Dello stesso parere, Riccardo Pacifici
presidente della Comunità ebraica di Roma, “Ci auguriamo che l’oblio lo
avvolga per sempre e che resti perpetua la memoria delle vittime da lui
causate”. Lontano da Roma, dunque (e secondo il Fatto sepolto in
Sardegna), grazie all’opposizione delle istituzioni della città: il
sindaco Ignazio Marino afferma, “Non potevo non fare ciò che ho fatto,
cioè oppormi fino all’ultimo alla tumulazione di quell’essere in una
città da lui così gravemente violentata” (Corriere della Sera).
Dimenticare il volto ma non le responsabilità del carnefice delle Fosse
Ardeatine e torturatore di Via Tasso. Un volto che anche la scuola
tedesca di Bariloche, di cui Priebke fu direttore, non vuole ricordare:
sul Venerdì di Repubblica Leonardo Cohen, citando Pagine Ebraiche (che
sul numero di novembre pubblica le fotografie in questione) e
l’articolo del collaboratore Alessandro Treves, riprende le immagini
graffiate del gerarca nazista, in posa con gli alumnos maturandi
dell’istituto Primo Capraro. “Favorevoli all’apertura di nuove moschee,
purché esse siano rispettose delle leggi italiane e le attività svolte
all’interno siano alla luce del sole”. Con una lettera a Repubblica,
Riccardo Pacifici chiarisce il suo pensiero in merito al dialogo con
l’islam. Il presidente della Comunità ebraica della Capitale, che ieri
ha incontrato il sindaco Matteo Renzi – colloquio da cui sono emersi
due appuntamenti: il primo al World Jewish Congress che si terrà a
Gerusalemme; il secondo, una visita al Tempio Maggiore di Roma
(Messaggero) – ha voluto sottolineare che in occasione della visita del
sindaco Marino in sinagoga “precisato che nessuna richiesta di chiusura
delle moschee a Roma è stata avanzata nei confronti del sindaco di
Roma”. Furio Colombo, sul Fatto, ritorna sull’offensivo paragone
dell’ex premier Silvio Berlusconi tra la situazione della sua famiglia
e le vittime della Shoah. “Un offesa grave, gratuita e stupida”,
sostiene Colombo che poi cita le affermazioni del presidente UCEI
Gattegna: “ogni paragone con le vicende della famiglia Berlusconi è
quindi non soltanto improprio e incomprensibile, ma anche offensivo
della memoria di chi fu privato di ogni diritto e, dopo atroci e
indicibili sofferenze, della vita stessa”. Sul fronte della politica
interna, in particolare sulla nomina del segretario del Pd di Rom, il
Corriere parla di accordo a un passo con Tobia Zevi, forte del exploit
nelle primarie, a fare da ago della bilancia. Sempre sulle pagine del
quotidiano di via Solferino, Sergio Romano risponde a un lettore che si
chiede perché governi e istituzioni di fronte alle notizie della
persecuzione ebraica non intervennero subito. Del cambiamento di
equilibri e alleanze in Medio Oriente si occupa invece Fiamma
Nirenstein, spiegando la strategia saudita di fronte al progetto di
armamento nucleare dell’Iran.
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Provvedimenti antinegazionismo
Un coro a molte voci |
Il dossier raccolto dalla redazione circa il
denso dibattito a proposito dei provvedimenti antinegazionismo che vede
protagonisti storici, intellettuali e giuristi.
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la
testimonianza
“Grazie
a Gino arrivai a Haifa”
“Dopo
le persecuzioni, dopo la Shoah, ho voluto cambiare vita. E ho creduto
nel sogno Israele”. Lo racconta a Pagine Ebraiche Giorgio Goldenberg,
l'ebreo fiumano la cui testimonianza si è rivelata decisiva per
attribuire a Gino Bartali il titolo di Giusto tra le Nazioni.
L'incontro avviene a tre anni dall'intervista in cui, sulle colonne del
giornale dell'ebraismo italiano, aprì un fronte inedito sul coraggio di
Ginettaccio. Non solo staffetta clandestina di documenti falsi ma anche
protettore di una famiglia in un appartamento di sua proprietà in via
del Bandino, quartiere Gavinana, a Firenze. I Goldenberg, appunto.
Giorgio è in Italia, ospite di una trasmissione televisiva. Per
abbracciare Andrea, il figlio di Gino. Ma soprattutto per testimoniare
ai giovani questa incredibile storia di sport, valori e solidarietà.
Adam Smulevich, Pagine
Ebraiche novembre 2013
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informazione
Berlusconi,
la Shoah
e il paragone impossibile
Carta
stampa, ma anche radio e televisione: le deliranti affermazioni dell’ex
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e la pronta risposta del
presidente UCEI Renzo Gattegna continuano a catalizzare l'attenzione
dei media.
Clicca qui per visualizzare servizi e interviste della
giornata di ieri
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israele
Sesame,
la luce e la pace
Attraversare
il deserto sulla strada per Gerico, in mezzo agli accampamenti beduini,
nella luce del primo mattino, è già uno spettacolo di per sé. Passare
in Giordania dal ponte di Allenby con una delegazione di giornalisti e
scienziati israeliani, normalmente non autorizzati a varcare qui il
confine, è stata però un'emozione ancora più grande. Per chiunque
conosca la storia di questo paese, il check point Allenby rappresenta
una luogo mitico dove, fin dai tempi del mandato britannico,
transitavano le autorità e le spie, gli amici, i nemici e, non ultimi,
i prigionieri oggetto di scambio.
Dopo innumerevoli soste e controlli alle barriere raggiungiamo la
nostra meta: Sesame, l'acceleratore di particelle in costruzione a
qualche decina di chilometri da Amman, in mezzo al deserto, al cui
progetto partecipano scienziati israeliani, palestinesi, giordani,
egiziani, turchi, greco ciprioti, iraniani e pachistani.
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QUI
ROMA
Storia
di una presenza millenaria
Storia
di una presenza millenaria. Dietro alla riscoperta della catacomba di
ebraica di Monteverde, a cui è dedicato il volume di Daniela Rossi e
Marzi Di Mento presentato ieri al tempio Beth Michael di Roma, si cela
il racconto dell’intreccio tra ebraismo e la Capitale. Come hanno
ricordato i relatori, le catacombe della città sono il simbolo di un
binomio che vede la minoranza ebraica perfettamente integrata nella
città eterna. A raccontare l’importanza del lavoro svolto in questi
anni sul sito di Monteverde, Fabio Bellini, conigliere della Regione
Lazio, il direttore dell’Ufficio rabbinico della Comunità ebraica di
Roma, rav Ariel Di Porto; Chiara Maltese, presidente Municipio XII;
Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica della Capitale;
Alessia Salmoni, presidente del consiglio del Municipio XII. A moderare
l’incontro Claudio Procaccia, direttore per i beni culturali della
Comunità di Roma.
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Strumentale
a cosa?
Personalmente
ho trovato la replica del nostro ex presidente del Consiglio ancora più
inquietante della sua stessa sparata. Ormai sappiamo che da lui ci si
può aspettare di tutto e certi paragoni assurdi se arrivano da quella
direzione possono offendere, ma non certo sorprendere. Però di solito
nel giro di 24-48 ore smentisce, nega di avere mai detto certe cose,
afferma di essere stato frainteso, ecc. Invece questa volta (almeno per
ora) non ha ritrattato, ma anzi si può dire che abbia addirittura
rilanciato quando, di fronte all’indignazione quasi unanime
dell’ebraismo italiano e dei suoi rappresentanti istituzionali, ha
parlato di “polemica strumentale”. Cosa significa strumentale?
Strumentale a cosa? Si vuole insinuare che gli ebrei italiani si
fingono indignati per un qualche fine recondito? E quale sarebbe? E di
chi, poi, saremmo lo strumento? Di qualche potere occulto che trama
nell’ombra? Perché dobbiamo sentire offendere la nostra memoria,
sminuire e banalizzare le sofferenze patite dalle nostre famiglie e non
possiamo neppure esprimere il nostro sconcerto senza essere accusati di
agire al servizio di qualcuno o di avere un secondo fine?
Almeno ci sia concesso il diritto di sentirci offesi liberamente e in
santa pace.
Anna Segre, insegnante
Una
fragile armonia
Pochi
giorni fa, in un cineclub genovese, mi è capitato per caso di vedere un
film del regista israelo-americano Yaron Zilberman dal titolo "Una
fragile armonia" ("A late Quartet"). Il film, di un equilibrio
stilistico davvero apprezzabile, affronta - in un intreccio concitato,
ma assai credibile - il conflitto tra la vita dei professionisti della
musica classica e il mondo dei loro affetti privati.
Laura Salmon, slavista
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